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giovedì 10 maggio 2018

Lo Sapevate Che: La Scelta impossibile della buona causa....


Mi Attendono A Casa bambini africani affamati, processione di madri macilente, sguardi strazianti d cani in gabbia, processioni di reduci maciullati dalle guerre, profughi, sfollati, malati, orfani di ogni colore, latitudine, continente che attendono da me la salvezza. La mia cassetta della posta trabocca di appelli disperati. Ogni giorno l’immensa e infinta industria benefica della carità, che negli Stati Uniti vale 400 miliardi di dollari all’anno, mi costringe a fare la parte di Dio e decidere se devo salvare la vita a un bambino malnutrito in Africa o a un paziente pediatrico, se siano più importanti i can abbandonati o se debba invece contribuire a strappare un elefante al fucile del bracconiere. Ricevo in media cinque diverse richieste al giorno, ormai inghiottito dal gorgo della beneficenza, che si espande perché enti e organizzazioni caritatevoli si trasmettono la lista dei benefattori in una catena di Sant’Antonio senza fine, ora che in Rete nulla è più riservato. Dalle agenzie delle Nazioni Unite alla stazione di pompieri alle ambulanze del mio quartiere, dalla Croce Rossa Internazionale alla parrocchia che organizza le mense dei poveri, la processione dei questuanti è interminabile. Lo Stato non esita a bruciare almeno 200 milioni di dollari in 20 minuti per bombardare il nulla in Siria, ma non trova quella stessa cifra per tenere aperto l’unico policlinico pubblico della capitale, a Washington. Questa incomprensibile, imperdonabile indifferenza morde la coscienza, ma l’inevitabile charity fatigue, l’“esaurimento da carità” denunciato ormai dai ricercatori, ti affetta e ti accascia. E il terrore di attirarsi un uragano di richieste rende prudenti e diffidenti. Alcuni mesi or sono decisi di contribuire a una catena di ospedali pediatrici specializzati in oncologia, dove sono accolti piccoli pazienti dagli Usa e dal resto del mondo, per loro senza alcuna speranza. Le strutture furono fondate 50 anni fa da un famoso e ricchissimo comico; oggi sono totalmente sorrette da lasciti e donazioni. Poche settimane più tardi, dozzine di ospedali finanziati da benefattori privati avevano individuato il mio nome, e lanciato il bombardamento. Un ventaglio di impossibili scelte e di ricatti morali si spalanca davanti a chi voglia contribuire alle buone cause e non possa, come Bill Gates di Microsoft, destinare buona parte dei propri miliardi a una sola fondazione. Quale catastrofe naturale meriti soccorso? E perché? Quale causa politica, quale movimento è più meritevole? I ragazzi che hanno formato un’organizzazione per limitare la diffusione delle armi d’assalto, dopo la strage al liceo in Florida, sono più o meno apprezzabili della storica associazione che si batte per la difesa di libertà e diritti civili? E se ho escluso contributi e partiti politici dopo un incauto versamento di 20 dollari alla campagna elettorale di Barack Obama nel 2008, che mi fece esplodere il telefono con chiamate di instancabili robot, ogni ospedale, ogni ente benefico, ogni fondo di emergenza merita pari attenzione, anche escludendo quelli che hanno fama di sprecare troppi soldi in spese amministrative. Alla fine, l’esaurimento da beneficenza, l’aggressività dei cercatori di fondi induriscono il cuore, incalliscono le mani, generano insomma autodifesa. Getto via bracciate di bambini famelici, cani perduti, reduci mutilati. Ignoro le adozioni a distanza di orfani centroamericani. Ignoro le adozioni a distanza di orfani centroamericani per solo 2 dollari al mese e lascio gli elefanti al loro destino. Scelgo fra tragedie da ignorare e altre da alleviare, in un esercizio di disumana selezione che lascia sempre in bocca il rimorso per quello che non ho dato.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 5 maggio 2018 -

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