Etichette

sabato 19 maggio 2018

Lo Sapevate Che: Robin Hood delle dogane (per volere di mamma)...


Sola Con La sua colpa nella borsa, davanti allo sguardo inquisitore del doganiere Crystal Taddock sentì il brivido del crimine scorrerle lungo la schiena. “E questa cos’è?”, le chiese l’uomo nell’uniforme blu della guarda di frontiera, rovistando. “Una mela…”, balbettò Crystal senza capire. “Da dove viene?”. “Dalla Francia”, rispose le, appena sbarcata da un volo diretto Parigi-Minneapolis. “E’ stata una vacanza costosa?”, le domandò la guardia. “Beh, mah, insomma…”, disse, senza capire dove lui volesse andare a parare. “Se non è stata costosa lo diventerà adesso, perché questa mela le costerà 500 dollari. L’importazione di frutta da altre nazioni è proibita”. La storia di Crystal e della mela più cara del modo ha fatto notizia, per tutte le scontate allusioni alle fiabe famose e alla nota, per quanto mai dimostrata, trasgressione della nostra antenata Eva. In me il suo caso ha aperto una cascata di ricordi, e agitato la mia lunga coda di paglia. Sono un contrabbandiere abituale di tortellini, salsicce, bottarghe, cotechini, cioccolato, ciccioli modenesi, mortadelline, quarti di prosciutto sottovuoto, torroni e, tra le altre voci di una merceologia criminale che dura da trent’anni, i micidiali “ovetti”, proibitissimi perché contengono sorpresine di plastica giudicate potenzialmente letali per i bambini che accidentalmente le inghiottano. Come se non potessero ingoiare tutti i pezzettini e i mattoncini di plastica che formano altri giocattoli. Soltanto nel 2013 la dogana Usa ha sequestrato 60mila di questi celebri ovetti. Contrabbandare è un vizio di famiglia. Mia madre, nell’unica visita fatta negli Stati Uniti sfidando il terrore delle 9 ore di volo Milano-New York, fu sorpresa da un doganiere con un’arancia nella borsa, che lui procedette immediatamente a sequestrare e a gettare nell’inceneritore, reggendola fra il pollice e l’indice come un sorcio morto. Fu lei ad avviarmi, insieme con i miei fratelli e sorelle, a una vita di crimine, quando riusciva a convincere mio padre a passare la frontiera svizzera con buste di alluminio del Caffè La Chiassese nascoste nelle nostre braghine (pungevano le gambe, con quegli angoli aguzzi perché costava molto meno di quello comperato a Milano. Il mio duello con le dogane è ormai da tempo una battaglia ideologica, più che economica o gastronomica. Non ci sono più alimentari italiani che non si trovino anche qui (a parte i cotechini Made in Usa, che continuano a fare schifo) e la differenza di sapore fra l’ortofrutta italiana e quella americana, un tempo fortissima, è ormai minima. Né mi sognerei di importare oggetti o manufatti realmente ignobili, come oggetti d’avorio, pellicce o piccoli coccodrilli imbalsamati (ancora sequestrati ai turisti che li portano dal Messico come souvenir; 300 nel 2016). Semplicemente odio tutte e frontiere, sono allergico ai muri e alle garitte, forse sa quando trascorsi tre anni dietro la Cortina di Ferro imparando a detestarli, nella loro torva, disumana, burocratica prepotenza. Capisco la necessitò di controllare traffici di sostanze micidiali, droghe, danaro sporco ed esseri umani. Apprezzo la fatica del doganiere, assalito da orde di trafficanti che lui o lei dovrebbero fermare a colpi d’occhio nel flusso di viaggiatori che rilasciano dichiarazioni menzognere. Ma quando riesco a passare la frontiera americana con un cotechino di Modena nascosto in un tubo di cartone da disegno, a far passare una confezione di bottarga sarda infilata tra libri, due etti di ciliegie di Vignola, un paio di “tarocchi” siciliani dalla polpa rossa, mi sento libero. Come Eva, quando diede un morso alla mela della libertà.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 12 maggio 2018 –

Nessun commento:

Posta un commento