Etichette

giovedì 3 maggio 2018

Lo Sapevate Che: E' proprio difficile uscire dal team...


Arrivano Nelle Stesse ore due notizie importanti nella casa di uno dei miei nipotini, che poi nipotini cominciano a non essere più, essendo ormai alti come me, che non è molto, ma loro a 13 anni si accontentano. (Da mesi non parlavo più di nipotini, perdonate, ho accumulato un certo credito e una buona dose di astinenza). La prima notizia riguarda la scuola. Dopo settimane di prove scritte e orali, di test di matematica e di lingua, di contorcimento di mani e insonnia di mamme, il nipotino viene accettato, bontà loro, nel prestigiosissimo e antico liceo di Washington dove hanno studiato presidenti americani, vice presidenti, senatori, deputati, governatori, uomini di scienza e di lettere. La seconda notizia arriva dal “coach”, dall’allenatore della squadra di calcio che decreta l’esclusione del medesimo nipotino dalla squadra ufficiale della scuola, perché lo informa spietato, “non è risultato ancora tecnicamente pronto” ai provini. Nella stessa casa, nello stesso giorno, piombano insieme la gioia dei parenti e la disperazione del fanciullino, che avrebbe volentieri rinunciato all’ammissione nel prestigiosissimo liceo in cambio di una maglia nel team della scuola, anche a scaldare la panca col sedere. Tutta la gamma dell’orgoglio genitoriale e della delusione filiale, si dispiega, spalancando l’abisso che separa la visione del mondo e della vita di un tredicenne e degli adulti che lo circondano. È inutile cercare di spiegargli che le sue probabilità di diventare da adulto un calciatore professionista sono più o meno le stesse di essere colpito da un meteorite, mentre un titolo di studio conseguito in una scuola che lo ha accettato per meriti può aprire la porta di buone università e quindi di migliori occasioni professionali. Che il pallone è un gioco, un divertimento, un’ottima attività sportiva che al massimo farà di lui un futuro campione nelle partite di calcetto fra scapoli e ammogliati con pancetta del reparto pagine e contributi e il resto è la vita vera, dove la differenza fra sbagliare o fare un goal può significare un buon lavoro gratificante o un’esistenza a friggere hamburger in un fast food. Soprattutto in questi Stati Uniti d’America dove i titoli di studio non hanno valore legale e la differenza è fatta dal marchio della scuola, del liceo, dell’università stampato sul diploma. Neppure provo, io il nonno, ad annoiarlo con trombonate sulla gerarchia delle cose importanti nella vita perché mi sentirei intollerabilmente ipocrita. Ricordo troppo bene la bruciante umiliazione nell’essere escluso dalla squadra di basket del mio liceo perché giudicato, come si dice nel gergo tecnico più sofisticato una “pippazza”, o la fatica per essere arruolato in squadrette di calcio come portiere soltanto perché quello è il ruolo riservato agli scarsi, che nessuno dei forti vuol coprire. Quell’esclusione dal “top team” è la prima scoperta dei propri limiti, del fatto che non sei il più bello, il più intelligente, il più bravo come ti ripetono i tuoi quando ti portavano in passeggino. Esattamente come quei genitori e nonni dovranno rassegnarsi al fatto che i loro figli non diventeranno tutti Ronaldo, se giocano al pallone, Federica Pellegrini se nuotano e Steve Jobs se smanettano coi computer. Vorrei dirgli che è da come affronti l’incontro coi tuoi limiti che viene la speranza di una vita adulta utile e non rancorosa, di un accettabile serenità e dimolte gioie, lavorando attorno a quello che non puoi fare, valorizzando quello che sai fare. Vorrei dirglielo, ma non glielo dico, perché lo imparerà da solo, come i più fortunati di noi hanno imparato a fare senza esserne schiacciati. E le partite fra scapoli e ammogliati, mio caro nipotino, sono più divertenti di una finale dei Mondiali.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 28 aprile 2018 -

Nessun commento:

Posta un commento