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sabato 5 maggio 2018

Lo Sapevate Che: Quando la violenza non desta alcuna risonanza emotiva...


Si Moltiplicano Ormai gli episodi (che evidentemente non sono più solo episodi) di aggressioni fisiche da parte di studenti e genitori ai danni dei professori, come il caso della professoressa di Alessandria che è stata legata alla sua sedia, percossa e ripresa con un cellulare, quindi il video è stato postato su Instagram. Chi conosce la scuola sa come ormai il clima di tensione che si respira nei confronti dei soggetti più deboli sia arrivato a livelli estremi. Ciò che invece ci ha lasciato stupidi è stato da un lato il provvedimento di una sospensione scolastica di un mese, per giunta con l’obbligo di frequenza, nei confronti degli autori di questo crimine, e dall’altro le parole della stessa docente oltraggiata che ha fatto: “È stata una goliardata, sono stati presi provvedimenti e i ragazzi mi hanno anche chiesto scusa. Spero non lo facciano mai più”. Una goliardata? C’è da ritenere adeguato questo termine, dettato forse da una sorta di sudditanza psicologica, che a sua volta è il frutto di una sudditanza sociologica in cui versa l’istituzione scolastica nei confronti appunto di un quadro ormai completamente disgregato della vita aggregata? Quale razionalità ancora ci permette di distinguere (e insegnare questa distinzione ai ragazzi) fra la vigliaccheria e la goliardia? Fra il gioco e il giogo, che oggi va sott la vulgata inflazionata, ma a quanto pare non sanzionata, di bullismo?
Giuseppe Cappello info@giuseppe.it

A Suo Tempo Kant scriveva che la differenza tra il bene e il male potremmo anche non definirla, perché ciascuno la sente naturalmente da sé. Uso proprio il verbo “sentire” (fühlen). Oggi non è Più così. E l’episodio che lei racconta, non dissimile da tanti altri analoghi, lo dimostra. Lei interpreta la risposta della professoressa, che ha definito l’episodio una “goliardata”, come una forma di sudditanza psicologica dell’insegnante, dovuta a sua volta alla sudditanza sociologica in cui versa oggi la classe dei professori, se non addirittura l’intera istituzione scolastica. Può essere come lei dice, ma io penso anche che con quella risposta la professoressa abbia voluto segnalare il senso che quell’episodio rivestiva per i ragazzi: niente di più che una “goliardata”. Attribuire all’episodio questo significato, come solitamente fanno i ragazzi e i loro genitori, è enormemente più grave dell’episodio stesso, perché segnala che quei ragazzi non avvertono alcuna risonanza emotiva che consenta loro di “sentire”, come diceva Kant, la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è grave e ciò che grave non lo è, tra parlar male di un professore come tutti abbiamo fatto e prenderlo a calci, tra corteggiare una ragazza o stuprarla. Se in questi ragazzi s’inceppa questo sentimento, il terribile è già accaduto. Qualcosa di più terribile dell’episodio in sé, perché in loro si è spenta, o addirittura non si è mai accesa, quella sensibilità che non ti consente di compiere certi atti così deprecabili. La desertificazione della vita emozionale, oltre all’inaridimento della vita interiore, porta all’insubordinazione alle norme sociali in soggetti che non si sentono mai se stessi, mai sufficientemente attivi se non quando superano se stessi senza riguardo alcuno, probabilmente senza nessuno percezione del concetto di limite, mai acquisito, perché n famiglia mai nulla è stato loro negato. L’effetto di questa educazione permissiva, tipica del nostro tempo, che ha contagiato non solo i ragazzi, ma anche i loro genitori e qualche loro insegnante, non consente più di riconoscere il limite tra un atto di esuberanza e una vera aggressione, tra una forma di insubordinazione e un misconoscimento di ogni autorità, tra un comportamento seduttivo e un abuso sessuale. E tutto ciò accade tra la preoccupazione tardiva dei genitori, l’impotenza degli insegnanti e il complessivo disorientamento nella società, dove a conoscere questi ragazzi, meglio dei loro genitori e dei loro insegnanti, sono gli operatori di mercato. Che fare per ridurre il livello di questo modo di vivere e di comportarsi per effetto di quella sindrome che gli psichiatri chiamano “sociopatia”? Ricostruire quei luoghi di socializzazione che un tempo erano gli oratori, le sezioni di partito e i centri sportivi, per facilitarne l’aggregazione e consentire a questi ragazzi di dire “noi” non solo riferendosi al cascame della socializzazione che è la banda. Offrire insomma alternative agli unici luoghi di ritrovo che sono i bar dove si beve, e le discoteche dove, oltre ai percorsi della droga (inutile nascondercelo), si sperimenta quello stordimento dell’apparato emotivo che innesca atteggiamenti oscillanti tra l’opacità dell’indifferenza e l’esaltazione della violenza che non si può rubricare tra le goliardie.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 28 aprile 2018 -

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