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giovedì 24 maggio 2018

Lo Sapevate Che: Niente Politically Correct Sul Velo...


È Senza Casa e invalida. Ha le idee chiare sul mondo in cui viviamo. Opinionated, si dice qui in America. Noi tradurremmo “senza peli sulla lingua”. Federica e Stefania sono andate a salutare Esmeralda nella casa di riposo dove le hanno trovato accoglienza, a Westchester. La visitano regolarmente, ma stavolta dovevano annunciarle una lunga assenza: con Federica, Stefania e altri amici stiamo partendo per un paese islamico. Esmeralda in vita sua ha fatto un solo viaggio molto lungo, dal suo paese in Sudamerica agli Stati Uniti. Dove il destino non l’ha accolta a braccia aperte. Da una sventura all’altra, è rimasta senza casa né famiglia. Di recente un’infezione degenerata in cancrena ha reso necessaria l’amputazione di una gamba. Dietro la miseria affiora il passato di una persona istruita. Esmeralda ha ascoltato con attenzione, quando Federica e Stefania le hanno descritto le regole d’accesso e i modi in cui le straniere devono vestirsi per visitare il paese che stiamo per visitare. Ha riflettuto, poi ha concluso: “Io a quelle condizioni non ci andrei. Non vedo perché dovrei subire. Loro, qui negli Stati Uniti, si vestono come vogliono e guai a criticare. Perché non rispettano i nostri costumi, come noi rispettiamo i loro?”. Le hanno risposto: in fondo è un piccolo sacrificio da fare per conoscere una terra dalla storia antichissima, erede di una grande civiltà. Esmeralda: “Buon per loro. Io mi limiterei a studiarli guardando un documentario. Andarci no, se m ‘impongono vestito e copricapo”. Esmeralda nel suo buonsenso non è politically correct, entra in modo brutale su un tema delicato. Ma non è ingenua, ha colto la questione. Il velo o burka o hijab o comunque lo si voglia chiamare non è un abbigliamento qualsiasi, è un simbolo forte, è un messaggio politico e valoriale. Quando le donne arabe negli anni ’50 e ’60 vollero contestare apertamente il maschilismo e il paternalismo dentro la famiglia e la società, quando vollero conquistare il diritto di andare all’università, contare di più nei loro paesi, come prima cosa si tolsero il velo. Se le loro figlie o nipoti fanno l’esatto contrario e se lo rimettono a Parigi o a Londra, non si può fingere di non capire cosa ci stanno dicendo: che il nostro mondo e i nostri presunti valori gli fanno schifo. Esmeralda può puntare il dito sul tema rovente della reciprocità, forse perché viene da un paese che fino a poco tempo fa era Terzo mondo. Quindi non ha una remora che blocca noi occidentali: il senso di colpa. Molti di noi sono convinti che dovremo espiare per sempre gli orrori do colonialismo e imperialismo, perciò non abbiamo alcun “valore” da difendere. Ma davvero l’Occidente ha il monopolio del male? Anche questa idea, in fondo, trasuda arroganza e ignoranza. Ci consideriamo l’ombelico del mondo, il centro dell’universo, l’alpha e l’omega della storia umana, se pensiamo di aver commesso tutte le atrocità mentre le altre civiltà sarebbero state le nostre vittime. No, non ci sono stati imperi buoni nella storia. Quando la Cina fu la nazione più potente, il suo dominio soverchiante non fece regali a nessuno dei popoli vicini. Gli Inca e gli Aztechi, gli Ottomani e i Moghul dominarono le etnie sconfitte con la stessa prepotenza dell’impero britannico o russo. Lo schiavismo, macchia terribile nella storia degli Stati Uniti, fu praticato per secoli su scala industriale da arabi e africani, in parte lo è tuttora. Esmeralda è nata in uno dei paesi colonizzati dagli europei, poi schiacciati dagli yankee, perciò non sente l’obbligo di stare sempre dalla parte degli altri, i cosiddetti deboli. Soprattutto se gli altri sono i nuovi prepotenti, che considerano la tolleranza una debolezza.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica 12 maggio 2018 –

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