È Senza Casa
e invalida.
Ha le idee chiare sul mondo in cui viviamo. Opinionated, si dice qui in
America. Noi tradurremmo “senza peli sulla lingua”. Federica e Stefania sono
andate a salutare Esmeralda nella casa di riposo dove le hanno trovato
accoglienza, a Westchester. La visitano regolarmente, ma stavolta dovevano
annunciarle una lunga assenza: con Federica, Stefania e altri amici stiamo
partendo per un paese islamico. Esmeralda in vita sua ha fatto un solo viaggio
molto lungo, dal suo paese in Sudamerica agli Stati Uniti. Dove il destino non
l’ha accolta a braccia aperte. Da una sventura all’altra, è rimasta senza casa
né famiglia. Di recente un’infezione degenerata in cancrena ha reso necessaria
l’amputazione di una gamba. Dietro la miseria affiora il passato di una persona
istruita. Esmeralda ha ascoltato con attenzione, quando Federica e Stefania le
hanno descritto le regole d’accesso e i modi in cui le straniere devono
vestirsi per visitare il paese che stiamo per visitare. Ha riflettuto, poi ha
concluso: “Io a quelle condizioni non ci andrei. Non vedo perché dovrei subire.
Loro, qui negli Stati Uniti, si vestono come vogliono e guai a criticare.
Perché non rispettano i nostri costumi, come noi rispettiamo i loro?”. Le hanno
risposto: in fondo è un piccolo sacrificio da fare per conoscere una terra
dalla storia antichissima, erede di una grande civiltà. Esmeralda: “Buon per
loro. Io mi limiterei a studiarli guardando un documentario. Andarci no, se m
‘impongono vestito e copricapo”. Esmeralda nel suo buonsenso non è politically
correct, entra in modo brutale su un tema delicato. Ma non è ingenua, ha colto
la questione. Il velo o burka o hijab o comunque lo si voglia chiamare non è un
abbigliamento qualsiasi, è un simbolo forte, è un messaggio politico e
valoriale. Quando le donne arabe negli anni ’50 e ’60 vollero contestare apertamente
il maschilismo e il paternalismo dentro la famiglia e la società, quando
vollero conquistare il diritto di andare all’università, contare di più nei
loro paesi, come prima cosa si tolsero il velo. Se le loro figlie o nipoti
fanno l’esatto contrario e se lo rimettono a Parigi o a Londra, non si può
fingere di non capire cosa ci stanno dicendo: che il nostro mondo e i nostri
presunti valori gli fanno schifo. Esmeralda può puntare il dito sul tema
rovente della reciprocità, forse perché viene da un paese che fino a poco tempo
fa era Terzo mondo. Quindi non ha una remora che blocca noi occidentali: il
senso di colpa. Molti di noi sono convinti che dovremo espiare per sempre gli
orrori do colonialismo e imperialismo, perciò non abbiamo alcun “valore” da difendere.
Ma davvero l’Occidente ha il monopolio del male? Anche questa idea, in fondo,
trasuda arroganza e ignoranza. Ci consideriamo l’ombelico del mondo, il centro
dell’universo, l’alpha e l’omega
della storia umana, se pensiamo di aver commesso tutte le atrocità mentre le
altre civiltà sarebbero state le nostre vittime. No, non ci sono stati imperi
buoni nella storia. Quando la Cina fu la nazione più potente, il suo dominio
soverchiante non fece regali a nessuno dei popoli vicini. Gli Inca e gli
Aztechi, gli Ottomani e i Moghul dominarono le etnie sconfitte con la stessa
prepotenza dell’impero britannico o russo. Lo schiavismo, macchia terribile
nella storia degli Stati Uniti, fu praticato per secoli su scala industriale da
arabi e africani, in parte lo è tuttora. Esmeralda è nata in uno dei paesi
colonizzati dagli europei, poi schiacciati dagli yankee, perciò non sente l’obbligo di stare sempre dalla parte
degli altri, i cosiddetti deboli. Soprattutto se gli altri sono i nuovi
prepotenti, che considerano la tolleranza una debolezza.
Federico Rampini – Opinioni – Donna
di La Repubblica 12 maggio 2018 –
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