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domenica 27 maggio 2018

Lo Sapevate Che: E' Possibile un umanesimo tecnologico?...


È Possibile Reperire il senso della vita e della storia, che la fede in Dio garantiva, in un mondo costruito secondo criteri di razionalità, giustizia e bellezza, senza bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali? E chi dovrebbe scrivere questo nostro catechismo? Un pensiero pragmatico può rispondere a questa domanda esaltando il ruolo fondamentale di una società democratica, in cui la scienza e la tecnologia si accollino in maniera sempre più credibile il ruolo di speranza e promessa per le malattie, la miseria e l’incremento progressivo della vita media, senza bislacche promesse di vita eterna e resurrezioni della carne. La tecnologia funziona, ma la scienza che ne è la premessa logica non viene adeguatamente accettata, anche perché l’universo educativo non riesce ad assumere questo compito che diventa ogni giorno più difficile, se si pensa alla velocità con cui la biologia e la fisica macinano i risultati dirompenti che pongono, questi sì, domande filosofiche essenziali del tipo: “Quale senso è possibile al di fuori delle rivelazioni della scienza? Ma quale scienza? La scienza non è un costrutto mentale neutro, per cui esiste il problema etico fondamentale d scegliere. Ma a chi spetta questa scelta? Alla politica. E quindi fondamentalmente a noi, che siamo bombardati dalle fake news e da prospettive di una vita sana e bella. È possibile uscire da questo circolo furioso senza invocare il nichilismo? È possibile un Umanesimo tecnologico come io auspico? Giuseppe Sambri  g_sambri@gmail.com

Convengo Con Lei che Dio garantisce all’esistenza e alla storia un senzo e una giustificazione perché, nella concezione religiosa, il tempo, lungi dall’essere un semplice trascorrere di giorni, è iscritto in un disegno di salvezza dove alla fine si realizza ciò che all’inizio era stato promesso. Questo sguardo ottimistico è tuttora rintracciabile nella scienza che guarda al futuro come progresso, nella sociologia che, quando vi riesce, cerca di immaginare e di promuovere un miglioramento delle condizioni umane, nella medicina che, nel desertificarsi della fede nella salvezza, s’ impegna senza sosta a promuovere almeno la salute. Ma in questo progressivo affermarsi della razionalità della scienza e della tecnica che caratterizzano il nostro tempo, lei avanza l’ipotesi che forse per trovare un senso, non abbiamo più bisogno di costruzioni metafisiche o religiose. E però si domanda: “Chi dovrebbe scrivere questo nuovo catechismo in cui si progetta una società basata su razionalità, giustizia e bellezza?”. Lei auspica un “umanesimo tecnologico” capace di sostituire alla “rivelazione divina” le “rivelazioni della scienza”, perché, a suo dire, nessun senso è possibile al di fuori di queste rivelazioni. Ma la scienza pone anche dei problemi etici. N questo caso, lei dice, deve intervenire la politica per decidere quali risultati raggiunti dalla scienza possono essere accolti e quali respinti. Ora le sa meglio d me che la politica, al pari della morale, è del tutto impotente di fronte alla tecnica a cui le scoperte scientifiche approdano, perché come è possibile impedire alla tecnica che può Morale e Politica dovrebbero disporre di un potere più possente della presenza della tecnica. Ma questa condizione non si dà, per cui a regolare il mondo sarà la tecnica senza particolari impedimenti. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità, la tecnica “funziona”, e siccome il suo funzionamento diventa planetario, nessuno può sottrarsi al suo dettato. Lei ad esempio, può benissimo non avere un telefonino o un computer, ma se non li ha non è semplicemente privo di due strumenti tecnic, ma subisce un’esclusione sociale se l’informazione e le comunicazioni passano quasi interamente attraverso questi strumenti. Come vede la tecnica agisce anche fuori dal suo ambito, modificando il nostro modo non solo di comunicare, ma di vivere e di pensare. La tecnica, infine, è regolata da una logica stringente che consiste nel raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo de mezzi. Questo è il principio fondante la sua razionalità, per cui se dice all’amata “ti amo”, ogni parola in più, dal punto di vista della razionalità tecnica, è inutile, sovrabbondante, e al limite irrazionale. Ma l’uomo è anche irrazionalità, non solo quando ama, ma anche quando soffre, quando sogna, quando immagina, quando progetta. E se la razionalità della tecnica diventa l’unica dominante, l’uomo viene messo ai margini della storia, per cui come non convenire con Gunter Anders là dove scrive: “La domanda non è più cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma cosa la tecnica può fare di noi”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 19 maggio 2018 -

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