È Possibile Reperire il senso della vita e della storia, che la fede in Dio garantiva, in un
mondo costruito secondo criteri di razionalità, giustizia e bellezza, senza
bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e
morali? E chi dovrebbe scrivere questo nostro catechismo? Un pensiero
pragmatico può rispondere a questa domanda esaltando il ruolo fondamentale di
una società democratica, in cui la scienza e la tecnologia si accollino in
maniera sempre più credibile il ruolo di speranza e promessa per le malattie,
la miseria e l’incremento progressivo della vita media, senza bislacche
promesse di vita eterna e resurrezioni della carne. La tecnologia funziona, ma
la scienza che ne è la premessa logica non viene adeguatamente accettata, anche
perché l’universo educativo non riesce ad assumere questo compito che diventa
ogni giorno più difficile, se si pensa alla velocità con cui la biologia e la
fisica macinano i risultati dirompenti che pongono, questi sì, domande
filosofiche essenziali del tipo: “Quale senso è possibile al di fuori delle rivelazioni
della scienza? Ma quale scienza? La scienza non è un costrutto mentale neutro,
per cui esiste il problema etico fondamentale d scegliere. Ma a chi spetta
questa scelta? Alla politica. E quindi fondamentalmente a noi, che siamo
bombardati dalle fake news e da
prospettive di una vita sana e bella. È possibile uscire da questo circolo
furioso senza invocare il nichilismo? È possibile un Umanesimo tecnologico come
io auspico? Giuseppe Sambri g_sambri@gmail.com
Convengo Con Lei che Dio
garantisce all’esistenza e alla storia un senzo e una giustificazione perché,
nella concezione religiosa, il tempo, lungi dall’essere un semplice trascorrere
di giorni, è iscritto in un disegno di salvezza dove alla fine si realizza ciò
che all’inizio era stato promesso. Questo sguardo ottimistico è tuttora
rintracciabile nella scienza che guarda al futuro come progresso, nella sociologia
che, quando vi riesce, cerca di immaginare e di promuovere un miglioramento
delle condizioni umane, nella medicina che, nel desertificarsi della fede nella salvezza, s’ impegna
senza sosta a promuovere almeno la salute. Ma in questo progressivo affermarsi
della razionalità della scienza e della tecnica che caratterizzano il nostro
tempo, lei avanza l’ipotesi che forse per trovare un senso, non abbiamo più
bisogno di costruzioni metafisiche o religiose. E però si domanda: “Chi
dovrebbe scrivere questo nuovo catechismo in cui si progetta una società basata
su razionalità, giustizia e bellezza?”. Lei auspica un “umanesimo tecnologico”
capace di sostituire alla “rivelazione divina” le “rivelazioni della scienza”,
perché, a suo dire, nessun senso è possibile al di fuori di queste rivelazioni.
Ma la scienza pone anche dei problemi etici. N questo caso, lei dice, deve
intervenire la politica per decidere quali risultati raggiunti dalla scienza
possono essere accolti e quali respinti. Ora le sa meglio d me che la politica,
al pari della morale, è del tutto impotente di fronte alla tecnica a cui le
scoperte scientifiche approdano, perché come è possibile impedire alla tecnica
che può Morale e Politica dovrebbero disporre di un potere più possente della
presenza della tecnica. Ma questa condizione non si dà, per cui a regolare il
mondo sarà la tecnica senza particolari impedimenti. Ma la tecnica non tende a
uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non
svela la verità, la tecnica “funziona”, e siccome il suo funzionamento diventa
planetario, nessuno può sottrarsi al suo dettato. Lei ad esempio, può benissimo
non avere un telefonino o un computer, ma se non li ha non è semplicemente
privo di due strumenti tecnic, ma subisce un’esclusione sociale se
l’informazione e le comunicazioni passano quasi interamente attraverso questi
strumenti. Come vede la tecnica agisce anche fuori dal suo ambito, modificando
il nostro modo non solo di comunicare, ma di vivere e di pensare. La tecnica,
infine, è regolata da una logica stringente che consiste nel raggiungere il
massimo degli scopi con l’impiego minimo de mezzi. Questo è il principio
fondante la sua razionalità, per cui se dice all’amata “ti amo”, ogni parola in
più, dal punto di vista della razionalità tecnica, è inutile, sovrabbondante, e
al limite irrazionale. Ma l’uomo è anche irrazionalità, non solo quando ama, ma
anche quando soffre, quando sogna, quando immagina, quando progetta. E se la
razionalità della tecnica diventa l’unica dominante, l’uomo viene messo ai
margini della storia, per cui come non convenire con Gunter Anders là dove
scrive: “La domanda non è più cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma cosa la
tecnica può fare di noi”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 19 maggio
2018 -
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