(…)
“Vuoi fare un giornale”. Lo sapeva. Gliene avevo fatto cenno
più volte. “Faremo un giornale, Benedetti e io. Un quotidiano. Stiamo stendendo
il piano editoriale e quello finanziario. Poi dovremo cercare chi ce lo
finanzia”. “Sai bene che la Comit non finanzia giornali”. “Ma certo che lo so”.
“Vi ci vorrà un anno”. “A dir poco”. “Tu però sei senza lavoro. Hai beni di
famiglia?”. “No”. “Tuo suocero ti mantiene?” “Finora non ce n’è stato bisogno
ma il problema comunque non si pone”. “Già, non si pone. Potresti fare il
consulente finanziario, l’esperienza ce l’hai”. “Sì, ci ho pensato”. “Bruno ti
potrebbe dare una mano”. Bruno era Visentini. Lui era sinceramente preoccupato
per me e la cosa mi toccò molto. Glielo dissi. Mi rispose con una proposta:
“Potresti scrivermi una lettera tutte le settimane?”
Non capii il senso di ciò che mi aveva detto. “Una lettera?
Di che genere?” “Una lettera. Tu vedrai persone, i tuoi amici giornalisti,
editori, uomini politici. Mi scrivi e mi racconti quello che succede e che si
fa in quegli ambienti. Diciamo un bollettino. Ti va?” “Mi va benissimo. Lo farò
con gran piacere”. “Non aspettarti che io ti risponda. Tu scrivi a me e io li
leggo”. “Splendido. Del resto ogni tanto verrò a Milano, l’avvertirò prima”.
“Centocinquanta ti va bene?”
Restai a bocca aperta, questa proprio non me l’aspettavo.
“Non ho capito” risposi. Ed era vero. “Centocinquantamila lire al mese”. “A me?
Ma per che cosa?” “Ti ho chiesto un bollettino settimanale. Ti devo pur compensare”. “Non
parla nemmeno. Per me non sarà un lavoro ma un piacere”. “Senti, non ho molto
tempo e lo stiamo perdendo a dirci cazzate. Tu ti imbarchi in una scommessa di
cui non conosciamo l’esito e comunque ti ci vuole tempo, Dovrai arrangiarti e
tra gli arrangiamenti mettici anche questo”. “Non voglio assolutamente. La
ringrazio molto, ma non voglio”.
Lo ricordo come fosse adesso: si alzò e riprese il suo posto
dietro la scrivania, dette un pugno sul tavolo e disse: “Questa banca esiste
perché l’ho ripresa io dal fallimento e ne ho fatto la prima banca italiana e
se voglio mantenere un figlio agli studi è mio diritto farlo. Mi sono spiegato?
Quei soldi li avrai ogni mese e li riceverai dalla Caboto. Quando avrai fatto
il tuo giornale scriverai su quello e non più le lettere per me”.
Valentino aveva socchiuso la porta e aveva fatto cenno col
dito che gli amici della serata erano arrivati. Io mi alzai. “Stai seduto. Ci
siamo detti tutto”.
(…)
Eugenio Scalfari – Racconto Autobiografico – Einaudi –
l’Espresso-la Repubblica
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