Sanzioni Tedesche
Contro l’Europa
La severità della
signora Merkel contro i paesi che non hanno i conti in ordini, ricorda quella
degli alleati verso la Germania sconfitta nella Grande Guerra. Allora fu un
errore catastrofico, oggi è ancora possibile evitarlo
Grande è la confusione nei cieli d’Europa ma la situazione –
al contrario di quello che diceva il presidente Mao – appare tutt’altro che
eccellente. Ci si avvicina, infatti, al rinnovo del parlamento di Strasburgo in
un clima che (ahimè) fa ragionevolmente temere l’elezione di focosi manipoli di
deputati decisi a sfasciare anche quel poco di autentica Unione che si è
riusciti a mettere in piedi negli ultimi cinquant’anni. Lo schieramento dei
contestatori è indubbiamente variopinto ma accumunato da rivendicazioni che
hanno un po’ dappertutto l’identico sapore di una registrazione collettiva
verso la rozza difesa di interessi nazionalistici. Con sfumature che ricordano
fin troppo da vicino la trista equazione fra Patria e Fascismo. Una tendenza
più esplicita in Ungheria ma evidente, ancorché malamente dissimulata, nella
Francia lepenista e nell’Italia leghista mentre nella Grecia depauperata assume
addirittura connotazioni naziste.
Non C’E’ Al Fondo di questa marea montante alcuna visione
della costruzione europea, ma essenzialmente una volontà agorafobica di ritorno
al passato alimentata da un’inconfessata nostalgia dell’autarchia curtense.
Come dimostra il fatto che molti fautori di un abbandono della moneta unica
indicano in questo passo la necessaria premessa al ripristino dei dazi
commerciali. Dinanzi alla sfida dei grandi spazi aperti dalla globalizzazione
economica ci si richiude su se stessi nel maldestro tentativo di nascondere un
diffuso sentimento di paura che è il chiaro riflesso di un’incapacità a pensare
il futuro in termini di darwiniana sopravvivenza. Prospettiva esiziale per la
sorte dell’Unione europea e soprattutto delle centinaia di milioni di contadini
del vecchio continente.
E, tuttavia, ciò che più allarma in questo scenario non sono
tanto i pericoli insiti in un possibile successo elettorale delle predicazioni
antieuropeiste quanto l’imbelle paralisi di azione politica ed economica da
parte di chi – nelle istituzioni comunitarie e nei governi dei maggiori paesi –
si dice anche preoccupato da simili
minacce ma, appunto, nulla fa per contrastarle. E si che non ci vorrebbe un
raffinato cultore di storia europea per scoprire inquietanti precedenti con
quanto accaduto nel vecchio continente meno di un secolo fa. All’indomani della
prima guerra mondiale l’esplosione di movimenti nazionalistici altro non fu se
non la conseguenza dell’ottusa arroganza con la quale i governi della allora
maggiori democrazie imposero ai vinti (ed anche a parte dei vincitori) il dazio
di una propria supremazia economica che rendeva intollerabile la convivenza
sociale all’interno dei paesi più deboli. Né il fascismo di Mussolini né poi il
nazismo di Hitler furono figli di un destino cinico e baro.
In Particolare, a decretare il fallimento dell’esperienza
di Wiemar e la veloce corsa verso la dittatura nazista furono le insostenibili
condizioni di vita economica che i “grandi” di Versailles imposero al popolo
tedesco. E oggi sembra di dover assistere a una sorta di nuova Versailles ma
alla rovescia, nella quale le derive nazionalistiche – dalla Francia
all’Italia, dalla Grecia all’Ungheria – raccolgono crescenti consensi
principalmente a causa della politica d’austerità che, con la sua egemonia
sulle istituzioni europee, la Germania sta imponendo a molti paesi dell’Unione.
Che alcuni di questi abbiano i conti in disordine è un dato
di fatto, com’era nel secolo scorso innegabile che la Germania sconfitta
dovesse pagare il fio della propria tracotanza imperiale. Ma è sempre la storia
europea più recente a insegnare che la strategia delle sanzioni ottiene i suoi
frutti migliori se sapientemente graduata nei tempi e nei modi: come è avvenuto
nel secondo dopoguerra proprio nei confronti della neonata repubblica federale
tedesca. Scelta lungimirante su cui allora pesò non poco la minaccia del blocco
sovietico sui confini orientali. Dobbiamo forse augurarci un’invasione russa
dell’Ucraina per scoprire che il modello Merkel con le sue sanzioni rischia di
disfare l’Europa?
Massimo Riva – L’Espresso – 17 aprile 2014
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