Nei romanzi è nascosto
il segreto dell’io
Giudicare se stessi in modo oggettivo è
un’arte difficile da mettere in pratica. Ma può venirci in soccorso la grande
letteratura
(…)
Oggi racconto il viaggio che ho effettuato dentro me stesso.
Non c’è ovviamente niente di eccezionale in queste due dimensioni della propria
vita e nel raccontare lo svolgimento; coincidono con la vita di ciascuno,
quella vita terrena che tutti sappiamo essere un transito con un inizio e una
fine.
Quello che avviene nel mondo che ci circonda ciascuno in
qualche modo se lo ricorda; l’altro, quello dentro di sé, non tutti sono
consapevoli di farlo e quindi non tutti se lo ricordano e pochi lo mettono
sotto esame. Lo fanno, ma spesso senza saperlo e quindi senza ricordarlo se non
in alcuni tratti principali: il rapporto con i genitori, con i fratelli e le
sorelle, gli amici più vicini e più fedeli, il primo amore e quelli successivi,
i propri figli, i propri nipoti, ma per quello che sono non per quello che
hanno significato per noi.
E’ questo Il Viaggio
Dentro Di Noi? Non
esattamente. Diciamo che queste ne sono le premesse, ma la vera essenza
consiste nel capire come e perché questi eventi ci hanno cambiati.
All’inizio dei suoi “Essais” Montaigne avverte i lettori che
in quel libro parlerà soltanto di se stesso. Perciò li avverte: se
quest’argomento non vi interessa è inutile che proseguiate la lettura, chiudete
il libro e basta così. Ma se invece il tema vi incuriosisce sappiate che io non
vi racconterò la mia storia ma piuttosto un passaggio perché ciascuno di noi
cambia continuamente, non è mai lo stesso di prima e anche la memoria cambia,
il mondo del nostro passato ci appare col trascorrere del tempo in modo diverso
da come lo ricordavamo qualche anno prima. Questo è il passaggio di cui parla
Montaigne.
Vogliamo dire un nome
che meglio orienti chi si sofferma su questi problemi? Diciamo psicanalisi e
facciamo il nome di Freud e della sua scuola che è stata al tempo stesso una
terapia che cura alcuni disturbi mentali e una filosofia che serve a mettere in
luce quel passaggio del quale scrive Montaigne.
La psicanalisi presuppone il confronto tra due persone:
l’analista e l’analizzato. Ma è possibile l’autoanalisi? E’ possibile che una
persona analizzi se stessa? Il viaggio dentro di sé è appunto un’autoanalisi ma
è evidente che questo procedimento solitario presenta notevoli rischi il primo
dei quali è il giustificazionismo. Noi tendiamo, ma naturalmente senza saperlo,
a giustificare noi stessi, a non cogliere i nostri difetti, a rimuovere le
nostre cattive azioni verso il prossimo privilegiando invece le nostre virtù o
chiamando tali quelle che un altro giudicherebbe invece debolezze, vizi o
addirittura malvagità.
Insomma Un Giudizio presuppone un giudice. L’analisi è
fatta, come sappiamo da due persone. La confessione, che è un sacramento
cristiano, si svolge anch’essa tra un penitente ed un confessore. L’autoanalisi
la fa una sola persona che riassume in sé l’imputato e il giudice, il paziente
e il medico, il penitente e il confessore.
Il rischio l’abbiamo già detto, è la tendenza a rimuovere gli
aspetti sgraditi o a giustificarli adducendo circostanze interpretate secondo
la propria convenienza. Il tutto – non dimentichiamolo – avviene
inconsapevolmente perché è la nostra natura che guida e anche la verità è
relativa.
Qual è il rimedio per evitare un’eccessiva distorsione della
verità e recuperare nella misura del possibile l’oggettività dell’analisi?
Il rimedio è quello di pensare noi stessi come oggetto, il
che significa usare il pensiero come strumento spassionato di indagine su noi
stessi. Distaccare la mente dall’io e mettere l’io sotto esame. E’ possibile?
Teoricamente Sì, E’
Possibile. Come
tutti sappiamo, ciò che distingue la specie umana dalle altre specie animali è
proprio il pensiero, la psiche, la mente riflessiva, la consapevolezza di avere
un io. Questo fu l’ “homo sapiens” quando l’evoluzione rese possibile all’uomo
di alzarsi in piedi e di guardare le stelle e poi di scoprire che esiste il
tempo, che il tempo trascorre attimo per attimo, che il nostro corpo invecchia
e invecchiano le cellule che lo compongono, e infine che noi moriremo perché
tutte le cose che hanno un inizio hanno anche una fine.
Lo strumento per l’autoanalisi è dunque questo: la mente che
teoricamente è in grado di distaccarsi dall’io e di sottoporlo ad un esame né
malevolo né benevolo ma oggettivo.
Si fa presto a dirlo, assai più difficile farlo. Che cosa può
aiutarci? Spero non si stupiscano i lettori se dico ci può aiutare la letteratura,
il romanzo, il racconto. La ragione è semplice: l’autore d’un romanzo crea i
personaggi e li fa agire. Accadono fatti, si accendono sentimenti, si scatenano
passioni d’amore, di odio, di potere, si descrivono concupiscenze, crimini,
carità, solidarietà. Tutte queste vicende nascono nella mente dell’autore e dal
talento che ha nel raccontare, ma è evidente che l’autore trae da se stesso,
dalla propria esperienza, dal proprio vissuto la guida per muovere i suoi
personaggi.
La grande letteratura è questo, i grandi scrittori sono
questo: testimonianze, spesso anch’esse inconsapevoli, del proprio se stesso
calato in personaggi creati, inesistenti, ma quanto mai significativi. I
“Promessi sposi”, la “Recherche du temps perdu”, “Anna Karenina”, “Delitto e
castigo” e tantissimi altri non sono che una sorta di autoanalisi che l’autore
mette a disposizione dei suoi lettori.
La cultura nasce dalla vita e a sua volta aiuta a vivere.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 3 aprile 2014
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