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martedì 15 aprile 2014

Lo Sapevate Che: Palazzo Madama Val Bene Una Messa...



  
C’è un filo che lega quanto successo a Parigi con l’avanzata di Marine Le Pen e la riforma del Senato promessa da Renzi: o la politica cambia o muore sommersa dai populismi.
Con giudizio, ma bisogna agire.

A lungo annunciata, pur largamente prevedibile, la valanga lepenista in Francia (con l’eccezione di Parigi) inquieta e preoccupa chiunque abbia a cuore il futuro dell’Europa. Perché prefigura ciò che potrebbe succedere nelle elezioni per il Parlamento di Bruxelles, perché non riguarda esclusivamente la Francia ed è figlia non solo della grande delusione Hollande, ma di una malattia più profonda che da tempo ha colpito tutto il Vecchio Continente. Ecco perché il trionfo del Front National ci offre più di una lezione.
La prima è che la classica divisione tra destra e sinistra non regge più. Accanto alle forze tradizionali, figlie delle grandi scuole di pensiero del secolo passato, nascono movimenti inediti e trasversali difficilmente collocabili secondo schemi consueti. Inoltre, le ricette finora sperimentate appaiono ormai rituali, insufficienti a sanare contraddizioni nate da problemi sovranazionali – globalizzazione, immigrazione, crisi economica – ma che producono drammatiche conseguenze interne: i tre milioni e mezzo di disoccupati in Italia misurati dall’Istat sono una realtà da incubo.
Seconda Lezione Quando la crisi incalza e i cittadini si sentono stritolati dalle tasse, vessati dalle banche, abbandonati dalla politica, la loro rabbia finisce facile preda di populismi, demagogie  e sciovinismi che condizionano gruppi e movimenti o addirittura ne generano  di nuovi, sia a destra che a sinistra. E’ la tendenza istintiva a chiudersi in casa, a temere l’invasore, a demonizzare la moneta unica, come se alzare un ponte levatoio bastasse a contenere l’onda. Dentro le mura del castello, Le Pen non è sola : (“l’Espresso” n.11): in Ungheria impazza l’estrema destra di Jobbik; in Grecia quella di Alba dorata; in Olanda il partito per la libertà di Geert Wilders; in Austria la formazione guidata da Heinz-Christian Strache. In Germania si agitano gli euroscettici del professor Bernd Lucke; in Italia sono contro questa Europa sia la Lega e Berlusconi che il movimento di Beppe Grillo e la lista di sinistra di Alexis Tsipras. Messi insieme, formano una massa d’urto notevoleL’unica risposta possibile all’ondata sarebbe proprio cancellare vizi, ritardi e impotenze che alimentano quelle stesse esasperazioni .
Prima di tutto la disoccupazione, appunto; e poi la politica come privilegio; l’immobilismo dei governi. Per questo, da quando ha mandato a casa Letta, Matteo Renzi ripete che è necessario fare le riforme, che se non vince la scommessa molla e buonanotte, e con lui la politica tutta. Così ha preso a correre, a cambiare passo – o almeno dà l’impressione di volerlo fare – dopo aver annunciato un fitto calendario di riforme, ferramente scadenzato come tappe di una via crucis.
La Più Impegnativa, l’operazione simbolo della stagione Renzi, è certo la trasformazione del Senato nella camera dei poteri emergenti, i sindaci, cioè la fine di quel bicameralismo perfetto che da almeno trent’anni viene individuato come l’origine dell’immobilismo e della difficile governabilità. Ma anche come uno dei pilastri sui quali è stato costruito il sistema Italia. Inevitabili dunque le reazioni di chi frena, di chi teme che picconare l’impalcatura esistente possa far cadere l’intero palazzo. In fondo, è da qui che si sono mossi quanti difendono la Costituzione più bella del mondo temendo che venga snaturata, (…).
Non è facile il cammino per Renzi. Anche il suo partito – l’unico ancora strutturato e con forti valori di riferimento – non lo segue compatto nella corsa, come dimostra la spericolata contestazione firmata dal presidente  del Senato Pietro Grasso. E questo contribuisce a seminare ulteriore confusione. Il vero rischio, a questo punto, è che nello scontro tra il riformismo estremo del rottamatore fattosi premier e la continuità dei rivoluzionari fattisi conservatori vinca il nulla di fatto. Con grande gioia di Grillo, che non a caso si è affrettato ad abbracciare Rodotà e Zagrebelsky che solo pochi mesi fa aveva insultato. O, al contrario, che dalla fretta e dallo scontro frontale nascano riforme piccine, monche, parziali. E però questa non è solo una campagna elettorale, qua si sta costruendo un edificio che dovrebbe durare per molte generazioni ancora. Chissà se per una volta non valga la pena scommettere.
Però non facciamolo al buio. E prima pensiamoci bene.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – L’Espresso – 10 aprile 2014

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