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giovedì 17 aprile 2014

LO sapevate Che: Solitari e ribelli: così i ragazzi si salvano dal nulla...



                                                  
Troppi giovani non hanno fiducia perché sono persuasi, come scrive il sociologo Falko Blask, che: “Se la vita è uno stupido scherzo, dovremmo almeno riderci sopra”

Sono una ragazza di 13 anni e frequento la scuola media in un paese nelle Dolomiti. Vivo in una famiglia di umili condizioni e in una piccola casa. Sono la più piccola di 5 fratelli e il mio sogno è sempre stato sparire da qui, perché sono stata vittima di bullismo, i miei compagni sono superficiali, razzisti, prendono in giro, non leggono nulla. La mia classe è composta da ragazzi che si credono fighi. Se non hai il cellulare da 700 euro non puoi essere mio amico, e così pure se non hai le scarpe della Nike, se non ti vesti alla moda, se non hai Facebook, se non hai cose firmate, se non sei scollata, se non scii(e io non so sciare perché non ho i soldi per pagarmi le lezioni di sci), se vivi in una casa piccola che sta cadendo a pezzi. Se studi e fai i compiti ti prendono in giro e ti escludono dal gruppo. E poi volano tantissime bestemmie e parolacce. I professori non fanno niente, nessuno se ne accorge.
Io non posso dire ai miei compagni che il mio cantante preferito è gay e che ascolto musica classica, perché loro ascoltano solo musica truzza, vedono video porno e guardano le tette di tutte le ragazze della classe. Che futuro avranno questi ragazzi? E che futuro avrò io, vivendo la mia adolescenza così Lucia C.

Sono un ragazzo di 16 anni. Spesso mi capita di osservare le persone e considerarle a partire da particolari utili per identificarle, come i vestiti che indossano, i discorsi che fanno, la postura che assumono, il linguaggio che usano. Noto sempre più spesso che i loro discorsi sono volgari. Mai che parlino di politica, di arte, di musica, di cultura in generale. Spesso discutono del Grande Fratello e di altri volgari programmi televisivi. La loro aspirazione è di diventare veline o calciatori. Questa condizione giovanile mi porta ad avere una visione tragica dell’Italia.
Omar Uger


Quando eravamo poveri, penso agli anni Cinquanta e ai primi anni Sessanta, i valori impartiti in famiglia coincidevano con quelli della società. Oggi, che stiamo diventando poveri, ma in una società che non nasconde l’opulenza, la famiglia insegna ancora, anche se sempre più debolmente, valori che sollecitano l’impegno, l’applicazione, la disciplina, il rispetto, mentre la società, sempre meno etica e sempre più mercantile, diffonde valori che sollecitano il consumo, il successo, il potere, avendo come alleato il principio del piacere a cui i giovani sono già naturalmente portati.
La partita è impari e la famiglia cede e si rassegna. Chi si impegna a costruire il proprio futuro, oltre la fatica, deve sopportare anche il disprezzo e l’isolamento. Di questo si lamentano i due ragazzi che mi hanno scritto, che non si sentono migliori dei loro compagni, ma semplicemente emarginati.
Di questa emarginazione, che è la porta spalancata per la depressione, la famiglia non si accorge e la scuola, economicamente e culturalmente sempre più povera, ha scarsi strumenti e capacità per intervenire
La mancanza di prospettive future già da una ventina d’anni ha inaugurato l’epoca nichilista che Nietzsche aveva predetto e così definito: “Manca lo scopo, manca la risposta al perché, tutti i valori si svalutano”.
Oggi che l’unico valore egemone nella nostra società è il denaro che tutto può comprare, persino il sesso e il potere, cosa si pensa che possano acquisire e volere i giovani, se non “le belle cose”, come scrive Platone, che sfilano davanti alla caverna dove sono incatenati gli schiavi? E però, come nel mito della caverna, uno schiavo si libera dalle catene, esce dall’antro e prende a guardare e ad ammirare le “cose vere”. E’ un percorso difficile, che avviene in solitudine, accompagnato dal riso e dal disprezzo di quanti dalla caverna non sono usciti, rassicurati dalla loro prigionia.
Una prigionia, che, al pari degli schiavi di cui parla Platone, i giovani di oggi non avvertono come schiavitù, perché le catene sono dorate e luccicanti. E perciò pensano di essere, più degli altri, all’altezza dei tempi, perché hanno lasciato alle spalle libri e cultura, impegno e rispetto. Valori d’altri tempi, anche se verrà il giorno in cui avvertiranno il vuoto che li circonda e il nulla in cui orientarsi. Ma resta pur sempre il divertimento con cui distrarsi, il vivere il presente in presa diretta 24 ore su 24, anche se nel frattempo la loro vita, vissuta da virtuosi dell’irresponsabilità, si srotola in un esperimento dall’esito incerto.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 12 aprile 2014

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