Troppi giovani non
hanno fiducia perché sono persuasi, come scrive il sociologo Falko Blask, che:
“Se la vita è uno stupido scherzo, dovremmo almeno riderci sopra”
Sono una ragazza di 13 anni e frequento la scuola media in un
paese nelle Dolomiti. Vivo in una famiglia di umili condizioni e in una piccola
casa. Sono la più piccola di 5 fratelli e il mio sogno è sempre stato sparire
da qui, perché sono stata vittima di bullismo, i miei compagni sono
superficiali, razzisti, prendono in giro, non leggono nulla. La mia classe è
composta da ragazzi che si credono fighi. Se non hai il cellulare da 700 euro
non puoi essere mio amico, e così pure se non hai le scarpe della Nike, se non
ti vesti alla moda, se non hai Facebook, se non hai cose firmate, se non sei
scollata, se non scii(e io non so sciare perché non ho i soldi per pagarmi le
lezioni di sci), se vivi in una casa piccola che sta cadendo a pezzi. Se studi
e fai i compiti ti prendono in giro e ti escludono dal gruppo. E poi volano
tantissime bestemmie e parolacce. I professori non fanno niente, nessuno se ne
accorge.
Io non posso dire ai miei compagni che il mio cantante
preferito è gay e che ascolto musica classica, perché loro ascoltano solo
musica truzza, vedono video porno e guardano le tette di tutte le ragazze della
classe. Che futuro avranno questi ragazzi? E che futuro avrò io, vivendo la mia
adolescenza così Lucia C.
Sono un ragazzo di 16 anni. Spesso mi capita di osservare le
persone e considerarle a partire da particolari utili per identificarle, come i
vestiti che indossano, i discorsi che fanno, la postura che assumono, il
linguaggio che usano. Noto sempre più spesso che i loro discorsi sono volgari.
Mai che parlino di politica, di arte, di musica, di cultura in generale. Spesso
discutono del Grande Fratello e di altri volgari programmi televisivi. La loro
aspirazione è di diventare veline o calciatori. Questa condizione giovanile mi
porta ad avere una visione tragica dell’Italia.
Omar Uger
Quando eravamo poveri,
penso agli anni Cinquanta e ai primi anni Sessanta, i valori impartiti in
famiglia coincidevano con quelli della società. Oggi, che stiamo diventando poveri,
ma in una società che non nasconde l’opulenza, la famiglia insegna ancora,
anche se sempre più debolmente, valori che sollecitano l’impegno,
l’applicazione, la disciplina, il rispetto, mentre la società, sempre meno
etica e sempre più mercantile, diffonde valori che sollecitano il consumo, il
successo, il potere, avendo come alleato il principio del piacere a cui i
giovani sono già naturalmente portati.
La partita è impari e
la famiglia cede e si rassegna. Chi si impegna a costruire il proprio futuro, oltre
la fatica, deve sopportare anche il disprezzo e l’isolamento. Di questo si
lamentano i due ragazzi che mi hanno scritto, che non si sentono migliori dei
loro compagni, ma semplicemente emarginati.
Di questa
emarginazione, che è la porta spalancata per la depressione, la famiglia non si
accorge e la scuola, economicamente e culturalmente sempre più povera, ha
scarsi strumenti e capacità per intervenire
La mancanza di
prospettive future già da una ventina d’anni ha inaugurato l’epoca nichilista
che Nietzsche aveva predetto e così definito: “Manca lo scopo, manca la
risposta al perché, tutti i valori si svalutano”.
Oggi che l’unico valore
egemone nella nostra società è il denaro che tutto può comprare, persino il
sesso e il potere, cosa si pensa che possano acquisire e volere i giovani, se
non “le belle cose”, come scrive Platone, che sfilano davanti alla caverna dove
sono incatenati gli schiavi? E però, come nel mito della caverna, uno schiavo
si libera dalle catene, esce dall’antro e prende a guardare e ad ammirare le
“cose vere”. E’ un percorso difficile, che avviene in solitudine, accompagnato
dal riso e dal disprezzo di quanti dalla caverna non sono usciti, rassicurati
dalla loro prigionia.
Una prigionia, che, al
pari degli schiavi di cui parla Platone, i giovani di oggi non avvertono come
schiavitù, perché le catene sono dorate e luccicanti. E perciò pensano di
essere, più degli altri, all’altezza dei tempi, perché hanno lasciato alle
spalle libri e cultura, impegno e rispetto. Valori d’altri tempi, anche se
verrà il giorno in cui avvertiranno il vuoto che li circonda e il nulla in cui
orientarsi. Ma resta pur sempre il divertimento con cui distrarsi, il vivere il
presente in presa diretta 24 ore su 24, anche se nel frattempo la loro vita,
vissuta da virtuosi dell’irresponsabilità, si srotola in un esperimento
dall’esito incerto.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 12 aprile 2014
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