Renzi in Europa, ma non
per lamentarsi
Per convincere gli
alleati a Bruxelles non serve o mostrare i muscoli.
Il ricordo dei
tentativi falliti di Berlusconi e Tremonti è ancora fresco. L’unica strada
possibile per Matteo è mostrarsi davvero affidabile
Nei rapporti internazionali più del peso economico o, come si
sarebbe detto un tempo, della potenza militare, vale una risorsa immateriale:
la reputazione. Lo storico handicap italiano è proprio quello di una
reputazione claudicante dovuta ad una scarsa affidabilità.
Dai giri di valzer all’8 settembre, le oscillazioni dei
nostri governanti in tema di alleanze e di mantenimento degli accordi hanno
impresso sull’Italia lo stigma di un paese che considera gli impegni presi “à
la carte”: variabili e mutevoli a seconda delle circostanze. Se a questo
aggiungiamo i frequenti cambi di governo, e quindi le diverse personalità che
hanno incarnato la nostra politica estera, il problema di identificare un
interlocutore affidabile da parte degli altri paesi aumenta esponenzialmente.
Sul Piano
Internazionale la
fine della guerra fredda non ha modificato le nostre linee guida di politica
estera e quindi atlantismo ed europeismo sono rimaste le stelle polari anche se
con enfasi diverse, calibrate sul colore politico delle coalizioni di governo
che si sono succedute negli ultimi vent’anni. A un centro-sinistra fortemente
impegnato nel progetto europeo e fedele all’alleanza atlantica si è alternato
un centro-destra sbilanciato sulla sponda atlantica per compensare lo scarso
feeling in sede Ue. Tuttavia, anche il latente euroscetticismo della coppia
Berlusconi-Bossi nulla ha potuto di fronte ai vincoli dei trattati e delle
norme adottate in sede comunitaria. Per fortuna, ovviamente. Senza quei vincoli
il peronismo mediterraneo di stampo berlusconiano ci avrebbe condotto su una
china argentina, come già alcuni analisti, nel gennaio 2011, al meeting annuale
di Davos, preconizzavano.
Però la virtuosità imposta ai nostri conti pubblici
(sfasciati) ha un costo, riassumibile in minor risorse da investire. Questo
crea tensioni e impazienze. La disinvoltura finanziaria del centro-destra
giustamente ne soffriva, ma altrettanto ne soffrono i tentativi di rilancio
dell’economia attraverso investimenti e spese prefiguranti dell’attuale
governo. L’unica strada per poter rimodulare in altra forma alcune voci di
spesa è quella di trovare un consensus generalizzato tra i partner europei. Si
tratta cioè di creare una coalizione di interessi che faccia pressione, nelle
sedi proprie, su quei governi che rimangono scettici sulla capacità di
conciliare rigore e crescita nei paesi in maggiore difficoltà. E, per
convincere gli altri, la reputazione di nazione “seria e affidabile” è
fondamentale.
Per Sua Fortuna Matteo Renzi arriva dopo Mario Monti
ed Enrico Letta, due leader tra i più stimati in Europa e soprattutto nelle
istituzioni comunitarie. Il terreno è stato quindi ben preparato, ma il ricordo
delle uscite improvvide di Berlusconi e Tremonti è ancora ben vivo nelle
memorie delle cancellerie europee. Quelle posture assertive e proto
nazionaliste esibite dal nostro presidente del Consiglio nei primi incontri
europei rischiano di richiamare le posizioni di quella coppia infausta e non la
serietà dei suoi immediati predecessori. Le sue dichiarazioni burbanzose
sull’Europa che deve cambiare sono controproducenti a Bruxelles, dove è meglio
lasciar lavorare la diplomazia. E lo sono, anche e soprattutto, sul piano
interno. Perché inevitabilmente sollecitano il sentimento di diffidenza e
distacco verso l’Europa.
Di fronte ad un arco di forze euroscettiche quanto mai ampio,
che va da Grillo a Berlusconi passando per la Lega e altri gruppi minori, il Pd
e il governo devono innalzare senza remore gli ideali europeisti.
Una politica lamentosa o rivendicativa nei confronti della’Ue
porta acqua al mulino degli avversari, oltre a far di nuovo inarcare
sopraccigli a Bruxelles. Il Pd rischia un tonfo alle prossime elezioni europee
se non si smarca dal coro antieuropeo. Non è seguendo la corrente euroscettica
grillina che si sottraggono voti al M5S, tutt’altro: così facendo si dimostra
che la loro posizione era corretta. Grinta e coraggio non mancano alle
leadership di Renzi: li dimostri andando contro la corrente. Come mostrano le
elezioni locali in Francia, le forze populiste sono in crescita. Vanno
contrastate, non blandite.
Piero Ignazi – L’Espresso – 3 aprile 2014
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