Se una malattia sfugge
alle diagnosi, si finisce a volte per
ritenerla frutto della propria mente. Stefania è guarita quando ha smesso di
farlo
Stefania, quando questa storia cominciò, aveva 31 anni e faceva l’impiegata. Abitava in provincia, amava i
cani, sognava una famiglia con tre bambini e aveva incontrato Massimiliano da
poco. “Fu un colpo di fulmine”, racconta sorridendo, anche con gli occhi.
Era sempre stata bene, prima di allora. “Era novembre. Ricordo
il giorno e il momento. Per la prima volta ebbi dolore, durante un rapporto con
il mio compagno”. Fu l’inizio della malattia. “Andai dal ginecologo. Candida,
fu la diagnosi. La curai ma non cambiò niente”, racconta Stefania, i cui dolori
e fastidi aumentavano. “Mi rivolsi a un altro ginecologo. ‘Papilloma virus’,
disse. Curai anche quello ma stavo sempre peggio”.
Inizialmente Stefania strinse i denti e si tenne per sé quel
disturbo che divenne sofferenza cronica e logorante. Poi fingere non fu più possibile.
“Erano passati re anni da quel novembre in cui tutto cominciò. Avevo male,
prurito, bruciore in tutta l’area. Non potevo stare seduta, andare in
bicicletta, nuotare jeans e persino camminare. Avere rapporti sessuali era
divenuto impossibile. Al lavoro era imbarazzante: come fai a dire al tuo capo
perché stai così male?”.
I ginecologi non azzardavano più diagnosi ( “Una dottoressa
un giorno, dopo la visita, disse: “Lei è a posto. Il suo è stress” “). Stefania
si rivolse anche ad altri specialisti, invano. “Mi convinsi che era un problema
psicologico. Pensai anche che Massimiliano non fosse l’uomo giusto, che non lo
amavo e che il mio corpo avesse trovato questa via dolorosa per dirmelo”.
Il rapporto di coppia girava ossessivamente intorno ai
sintomi. “Io, sofferente, passavo la vita ad auscultarmi e lui, preoccupato, la
passava a domandare come stessi”. Per due anni l’amore fu solo quello bianco,
del sostegno reciproco e del dolore condiviso.
“ “ Non ce la faccio più: se continua così mi ammazzo”, mi sfogai
un giorno con un’amica. Lei mi consigliò il suo ginecologo. Non avevo niente da
perdere e presi appuntamento con il dottor Murina”. In sala d’attesa, Stefania
lesse un volantino che parlava di Vulvodinia, un disturbo dal nome ignoto ma
dai sintomi terribilmente familiari. La sua vita ricominciò da una diagnosi,
quella giusta.
Secondo un’indagine condotta dall’Associazione Italiana
Vulvodinia Onlus (AIV, www.vulvodinia.org),
di cui Stefania è tra i soci fondatori, le donne che soffrono di questa
patologia in Italia sono circa il 5,8%, pari a oltre 440mila. A causa della
scarsa conoscenza della malattia, l’incidenza potrebbe essere superiore e
raggiungere, in base a indagini epidemiologiche Usa, il 16% della popolazione
femminile.
Secondo i racconti delle donne dell’Associazione Viva
(Vincere Insieme la VulvofiniA, www.associazioneviva.org)
, gli specialisti coinvolti prima di ottenere la diagnosi corretta sono ginecologo, gastroenterologo ,
dermatologo, nutrizionista , psicologo/psichiatra, con esami e terapie, senza
successo, che durano in media 2 o 3 anni.
La Vulvodinia si cura con una terapia che può variare da
paziente a paziente e che coinvolge diversi specialisti tra cui ostetriche,
fisioterapisti, neurologi e psicologi, per un costo complessivo tra i 4mila e i
6milaeuro.
Per diffondere la conoscenza della patologia, contenere le
spese di cura e riconoscere l’invalidità per le donne che non riescono più a
lavorare, questa primavera sarà avviato, grazie all’attività di AIV e di VIVA,
l’iter per il riconoscimento ufficiale della malattia da parte del Ministero
della Sanità.
Stefania sta bene e ha messo la sua esperienza al servizio di
altre donne che oggi percorrono quella strada che lei non conosce e ha
faticosamente superato.
Ha due figli. Forse, chi lo sa, un giorno ne arriverà un
terzo, come sognava da piccola. A luglio sposerà Massimiliano che, a differenza
di molti uomini che incontrano la Vulvodinia e si arrendono o si esasperano, ha
preso per mano Stefania e, con amore, pazienza e partecipazione, l’ha aiutata a
uscirne.
Elasti@repubblica.it - Donna di Repubblica – 5 aprile 2014
Nessun commento:
Posta un commento