Tutta l’Ingiustizia
Scritta Nelle Multe
Destra e sinistra,
governi di ogni epoca, burocrati sembrano vedere nell’automobilista un suddito
da vessare e tartassare.
Ecco un campionario
delle piccole e grandi iniquità cui viene sottoposto il cittadino al volante.
La giustizia? Cerchiamola nelle piccole cose. Se i grandi
mali dell’umanità sono inguaribili, potremmo occuparci degli acciacchi più
lievi, ma non meno dolenti. Ne sa qualcosa il popolo delle quattro ruote.
Tartassato da governi tecnici e politici, di destra e di sinistra. E senza la
possibilità di scioperare, per difendersi dalle ancherie di Stato. Altrimenti
avrebbe incrociato le braccia (pardon, le ruote) nel giugno 2013, quando
l’esecutivo Letta decise un prelievo di 120 milioni, aumentando le tasse e
balzelli tre mesi dopo l’aumento precedente. D’altronde gli automobilisti
italiani pagano 50 centesimi al litro in
accise sul prezzo della benzina, compresa quella per la guerra dell’Abissinia
del 1935. Nel frattempo le infrazioni calano, ma le contravvenzioni aumentano;
soprattutto per sosta vietata. Per
forza, quando a Roma circolano 2 milioni e 800 mila vetture. Mentre i posti
auto sono poco più di 100 mila. E i divieti? In California è proibito superare
le 60 miglia l’ora per i veicoli senza guidatore; in Italia chi viaggia con un
cocker addormentato sul sedile posteriore paga una multa di 65 euro. Poi si può
scrivere un bel ricorso al prefetto, benché si traduca quasi sempre in
un’ulteriore perdita di tempo. Nel febbraio 2011 ne ha scritto uno lo stesso
prefetto di Milano: il ricorso a se medesimo.
Ma Chi E’ Il Medesimo, quale cosa può dirsi la medesima
cosa? Ecco, la materia della circolazione stradale offre un buon banco di prova
per questi interrogativi filosofici. Proprio perché è materia infima, pedestre
(nel senso dei piedi, ma anche dei pedoni). E perché dunque ci permette
d’osservare le disuguaglianze al microscopio, piccole e minuscole al contempo.
Succede quando a Napoli la RC auto costa il triplo rispetto alle città del
Settentrione: troppe truffe, sicchè le compagnie assicurative si cautelano. E
l’automobilista onesto sconta una responsabilità per fatto altrui. Succede
quando il motociclista paga lo stesso pedaggio autostradale dell’automobilista;
eppure il primo inquina meno, occupa meno spazio, usura di meno l’asfalto
autostradale. Senza dire che ogni vettura può trasportare 4 o 5 persone, le
quali potranno poi dividere il costo del pedaggio; mentre in motocicletta ci si
va al massimo in 2. E infatti nella maggior parte degli Stati europei (ma anche
in Italia, fino al 1989) s’applicano tariffe differenziate. Succede, in ultimo,
quando il governo Monti (dicembre 2011) introduce il superbollo per le
supercar, cioè quelle che superano i 185 kW; dunque paga la Mercedes, non paga
la Porche Cayenne turbodiesel. E l’importo resta uguale per l’auto di lusso con
5 giorni di vita e per quella che gira da 5 anni sulle strade, ammaccata e
svalutata.
Ma Un Epitaffio all’ingiustizia è iscritto in ogni
multa. Perché vi si riflette una giustizia di classe, come direbbe un
bolscevico. Prendiamo l’infrazione più comune: l’uso del telefonino durante la
guida. 5 punti patente, 160 euro da scucire. Sennonché per non perdere i punti
basta omettere la comunicazione di chi fosse il conducente. Dopo di che scatta
un’ulteriore multa di 284 euro: i ricchi possono pagarla, i poveri no. E gli
altri 160 euro? Il codice stradale non distingue fra Berlusconi e il suo
garzone; ma per il primo corrispondono a una mancia, il secondo con quella
cifra ci mangia. L’azione è uguale, la sanzione disuguale, quantomeno misurarne
la capacità afflittiva, l’effetto deterrente. Difatti altrove (per esempio in
Svizzera o in Finlandia) si tiene conto della potenza del motore, oppure dei
redditi del conducente. In Italia la prima soluzione è stata prospettata dal
deputato Michele Dell’Orco, in un progetto di legge depositato nell’ottobre
2013; tuttavia può risultare punitiva per le famiglie numerose, che hanno
bisogno di potenza perché la loro autovettura deve trasportare molti
passeggeri. La seconda soluzione ha avuto come sponsor l’ex sottosegretario
Erasmo D’Angelis; ma alle nostre latitudini rischiano di farla franca gli
evasori, dato che i gioiellieri dichiarano in media 15 mila euro l’anno. Dalla
teoria alla pratica, l’eguaglianza è sempre un rompicapo.
Michele.ainis@uniroma3.it
– Michele Ainis – L’Espresso – 10 aprile 2014
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