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venerdì 28 febbraio 2014

Pensieri: Saluto...


Foto di Caffeina -

Buon fine settimana a tutti e ricordatevi, domani in onore della cultura, compriamo un libro e soprattutto...leggiamolo!

Pensieri: Saluto...


Carla Cassinelli Bianco - foto Tu e Io "Il Nostro Mondo"

Proprio così!!!

Buona giornata a tutti!!

Lo Sapevate Che: Perchè Non Sono Su Facebook..


Non ho nulla contro i social network, ma dipende dall’uso che se ne fa. E oggi troppe volte servono solo per sostituire i veri incontri che non abbiamo più

Lei è su Facebook? Io sono scappata dalle foto di amici, fidanzati, grigliate, dal tasto “mi piace” e dalle richieste di amicizia circa un anno fa, poco prima dell’esame di maturità, e ho cancellato la mia iscrizione al sito. Mi sentivo tremendamente inadatta.
Nella mia pagina non c’erano foto di discoteche, non c’erano baci romantici davanti al Ponte Vecchio, non c’erano messaggi delle mie amiche che mi scrivevano quanto ci divertissimo insieme. A ogni momento di noia ero là a controllare gli altri e confrontare la loro la loro vita con la mia, non certo vuota di impegni, amicizie e divertimenti, ma sicuramente meno caotica e travolgente di quanto mi sembrasse quella dei miei “amici” virtuali.
Mi sentivo inadatta e inferiore, ma nello stesso tempo trovavo gli altri irrimediabilmente finti.
A cosa serve far sapere alla rete artificiosa dei tuoi amici, conoscenti e mai visti che non sei più single?
E’ appena mancato un tuo parente, stai andando al mare, stai studiando in biblioteca, hai fatto un incidente in biblioteca, hai fatto un incidente in macchina e perché, per prima cosa, lo scrivi su face book? Per non parlare delle micro citazioni dei vari Pasolini, Bukowski, Da Andrè e altri seminate qua e là. Capisci e condividi quello che leggi e che osservi o ti spacci solo per un giovane intellettuale alla moda? Insomma: fai le cose per il gusto di farle o per mostrarti?
Stella G.

No, non sono su Facebook, non si sono mai stato e mai ci sarò. Anche se qualcuno si spaccia per me e scrive e risponde come se fossi io. La polizia informatica mi ha detto che non può nulla contro queste intrusioni e, giustamente, ha cose più importanti da controllare. Dopo di che non ho nulla contro i social network, come al solito dipende dall’uso che se ne fa. E magari c’è anche un buon uso, in questa nostra società fatta di solitudini di massa. Anche se recenti studi americani condotti dal Jeffersonian Institute di Washington  hanno individuato forme di dipendenza da Facebook e simili da cui è molto difficile liberarsi.
E questo vale soprattutto per i giovani che passano molto tempo a incontrarsi nel mondo virtuale, invece che in quello reale, dicendo cose di scarso interesse per il mercato che, individuati i gusti, bombarda i malcapitati con una pioggia di messaggi pubblicitari per assecondare i loro desideri o i loro sogni.
Passare molte ore a controllare i propri profili e, come lei dice, senza aver nulla di davvero interessante da dire, ma solo per assaporare il gusto di avere tanti contatti che danno la sensazione di sentirsi davvero esistenti e per giunta interessanti, lascia intendere il grado di solitudine in cui siamo precipitati e quanta desuetudine stiamo alimentando a incontrare gli altri senza le maschere di false identità.
Se a questo si aggiunge che, rubando la password delle persone che ci interessano ci mettiamo a controllarne la vita, i sentimenti, gli scambi epistolari che non ci riguardano, costruendo e decostruendo l’immagine che abbiamo dell’altro a partire delle informazioni che desumiamo, allora il pericolo della paranoia è in agguato. E questo bisogno di controllo totale prende il posto dell’innocenza da cui una relazione dovrebbe prendere le mosse, accettando quella prima condizione di ogni incontro autentico che è quella che l’altro è davvero un altro e non una risposta che si acconci perfettamente alla nostra prefigurazione, perché questo non soddisfa tanto il nostro bisogno d’amore, quanto il nostro bisogno di controllo e quindi di potere.
E’ persuasione comune che la tecnologia ci ha fatto progredire, ma leggendo la sua lettera l’impressione che ne ricavo è che siamo tornati al pettegolezzo di paese, dove tutti sapevano i comportamenti e gli stili di vita di tutti e li commentavano, inquadrando le persone in stereotipo, intorno ai quali si alimentava la conversazione quando non anche la maldicenza. Del resto di pettegolezzi sono infarcite molte trasmissioni televisive pomeridiane, dove la messa in piazza dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, dei propri desideri sconfina nella spudoratezza fatta passare per sincerità. “Non ho nulla da nascondere, nulla di cui vergognarmi”, quando la “vergogna (parola che significa “temo la gogna”, ossia l’esposizione) è già nel fatto che mi privo, mettendola in piazza, della mia interiorità. Uno spogliarello dell’anima che considero più indecente di quello del corpo.

umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 22 febbraio 2014 -

Lo Sapevate Che: Carta Canta...


C’erano una volta le primarie…..

Sono servite per incoronare il segretario del Pd.
Ma poi si sono pressoché estinte, come si è visto per Emiliano, Pigliaru, Chiamparino: è sempre più difficile trovare un non renziano disposto a sfidare gli uomini del nuovo leader

A chi gli rimprovera di essersi presto acconciato ai giochetti di palazzo, Matteo Renzi sbatte in faccia i “tre milioni di voti delle primarie”. Un dato incontestabile, anche se a essere precisi l’8 dicembre i votanti furono ufficialmente 2.814.801 e a scegliere Renzi furono 1.895.332, contro 510.970 di Gianni Cuperlo e i 399.473 di Pippo Civati. Il fatto è che, una volta servite a incoronare il sindaco di Firenze alla segreteria, trampolino di lancio per Palazzo Chigi, le primarie si sono pressoché estinte. Eppure l’articolo 18 dello Statuto del Pd parla chiaro: “I candidati alla carica di Sindaco, Presidente di Provincia e Presidente di Regione vengono scelti attraverso il ricorso alle primarie di coaizione”. Quanto ai segretari e alle assemblee regionali, sono eletti col sistema delle “primarie aperte a tutti gli elettori”.
In Sardegna Il Pd ha appena schierato come candidato governatore l’economista renziano Francesco Pigliaru, paracadutato dall’alto all’ultimo momento al posto della europarlamentare Francesca Barracciu, liquidata in extremis perché inquisita. In Piemonte, dove si voterà in maggio per rimpiazzare la giunta plurimputata del governatore abusivo Roberto Cota, è quasi certo che correrà il turborenziano Sergio Chiamparino, già (due volte) sindaco di Torino e presidente uscente della Compagnia San Paolo (la fondazione che controlla il gruppo bancario Intesa San Paolo). Il quale non fa che ripetere di non aver nulla in contrario alle primarie, purché “siano vere e non servano a valutare spostamenti dello 0,5 per cento”. Il successore Piero Fassino sulla poltrona di primo cittadino sulla poltrona di primo cittadino torinese le ha già financo escluse a priori: il candidato dev’essere Chiamparino,  punto e basta. Perché? Perché sì. Come se lo Statuto che le primarie le impone, e non le lascia certo al buon cuore dei candidati favoriti, fosse un optional.
Per evitare brutte sorprese nell’elezione dei segretari regionali domenica scorsa, si è fatto in modo quasi dappertutto che gli aspiranti fossero uno per regione, così da rendere inutili le primarie.
Che infatti, da regola che erano, sono diventate una rarissima eccezione. In Toscana il candidato unico era il renziano Dario Parrini. In Puglia il sindaco di Bari Michele Emiliano, anche lui fedelissimo del segretario nazionale (aveva un paio di rivali, ma si sono prontamente ritirati). Stessa sorte per Roger De Menech in Veneto, per Alessandra Grim in Friuli Venezia Giulia, Fulvio Centoz in Valle d’Aosta. E anche là dove i candidati erano più di uno e dunque si sono aperti i gazebo, l’affluenza è crollata. La “base” è rimasta a casa, in preda a un diffuso senso di inutilità.
Insomma, Lo Strumento democratico per eccellenza che a fine 2012 col duello Bersani-Renzi e a fine 2013 con la sfida Renzi-Cuperlo-Civati aveva galvanizzato l’elettorato democratico ed elettrizzato i sondaggi, si è improvvisamente afflosciato. Tant’è che è sempre più forte la tentazione di abbandonarlo nelle prossime consultazioni per le cariche interne e istituzionali.
Anche perché l’inesorabile renzianizzazione del Pd, già in atto dopo le primarie, è proseguita inarrestabile con la cacciata del governo Letta. E oggi è sempre più difficile trovare un dirigente non renziano (della prima e soprattutto dell’ultima ora) disposto a sfidare gli uomini del segretario-padrone. Nessuno, al momento, nota l’involuzione personalistica di un partito che Veltroni chiamò “democratico” anche perché vantava una diretta e continua interazione fra vertice e base: troppo vivo è il ricordo di almeno due decenni di risse correntizie e fratricide che hanno lastricato di cadaveri (politici) il campo del centrosinistra italiano. Ma questo non basta a dissipare un paradosso di un partito nato orizzontale (almeno a parole) e divenuto rapidamente verticale. Berlusconi e Grillo, ma anche Di Pietro e Monti, accusati fino all’altroieri proprio dal Pd di guidare partiti personali a scarso tasso di democrazia interna, hanno di che sorridere. Fra un po’ potranno salutare Renzi con un affettuoso “benvenuto nel club”.

Marco Travaglio – L’Espresso – 27 febbraio 2014

Delizia di Pere...


Pere con Zabaione al Cioccolato

Per 2 persone

2 pere Williams, 2 tuorli, 120 gr di zucchero, 1,8 dl di latte, 50 gr di cioccolato fondente.


Mettete le pere sbucciate in una pentola. Unite metà dello zucchero e coprite con acqua. Cuocetele per 20 minuti e fatele raffreddare nel liquido. 
Sciogliete il cioccolato spezzettato in un pentolino con 4 cucchiai di latte a bagnomaria. In un altro pentolino mettete i tuorli con lo zucchero e mescolate, unite il cioccolato e il latte rimasto. Cuocete a bagnomaria, mescolando con una frusta. Quando la crema è calda, sbattetela, senza farla bollire. 
Mettete una pera in ogni bicchiere e versatevi sopra lo zabaione. 

Sfiziosi Piatti di Pesce...


Polpo Stufato alla Maltese, ricetta Maltese

Per 4 persone

700 gr di polpo, 2 cipolle, 2 spicchi d’aglio, 200 gr di piselli sgusciati freschi o surgelati, 1 carota, 50 gr di passata di pomodoro, un bicchiere di vino rosso, 12 olive nere, origano, basilico, menta, olio.


Pulite il polpo, togliendo le interiore contenute nella sacca, l’occhio, il becco che si trova alla base dei tentacoli. 
Lavatelo bene sotto l’acqua corrente. Tagliatelo a pezzi. 
Sbucciate le cipolle e l’aglio, tritateli insieme. Raschiate la carota e grattugiatela. 
In una casseruola con 3 cucchiai d’olio, fatevi appassire la cipolla e l’aglio. Prima che inizino a dorare, unitevi il polpo. Fate cuocere a fuoco medio finchè quasi tutta l’acqua sia evaporata. 
Unite la carota, i piselli, il pomodoro, il vino e le olive tagliate in due. Unite gli aromi e mezzo cucchiaino di sale. Lasciate cuocere a fuoco basso per 50 minuti, finchè il polpo sarà tenero, aggiungendo, se fosse necessario, un po’ d’acqua durante la cottura. Regolate il sale e insaporite con una generosa macinata di pepe. 


Torta di Salmone e Gamberi

Per 6 persone

300 gr di farina, 1 uovo, 1 dl di panna, 150 gr di burro, 350 gr di filetto di salmone, 250 gr di gamberi, 1 spicchio d’aglio, 1 cucchiaio di erba cipollina tritata, 1 cucchiaio di prezzemolo, vino bianco, olio, sale e pepe. Burro e farina per la tortiera.

In una terrina mettere la farina con 150 gr di burro a dadini, un pizzico di sale e 2 cucchiai di acqua gelata. Mescolare rapidamente gli ingredienti, formare una palla con la pasta, raccoglierla in una pellicola e metterla in frigorifero per ½ ora. 
Nel mentre togliere se c’è la pelle al salmone, eventuali lische, lavarlo e asciugarlo, tagliare la polpa a pezzettini di circa 2 cm di lato. 
Pulire i gamberi dal carapace e dal filettino nero intestinale, lavarli e asciugarli. 
In una padella con 3 cucchiai d’olio fare rosolare lo spicchio d’aglio, toglierlo, aggiungere il salmone, rosolare per 5 minuti, aggiungere i gamberi, mescolare rosolare per 1 minuto, aggiungere ½ bicchiere di vino bianco, fiammeggiare, cuocere ancora per 1 minuto, salare, pepare e togliere dal fuoco. Lasciare raffreddare. 
In una terrina battere l’uovo, aggiungere la panna e le due erbe, salare leggermente, aggiungere i pesci e mescolare delicatamente il tutto. 
Su di un piano leggermente infarinato appoggiare la pasta e stenderla ad uno spessore di 3 mm. 
Foderare con la pasta una pirofila rotonda di circa 25 cm di diametro, bucherellare il fondo della pasta con i rebbi di una forchetta e riempire la tortiera con il composto preparato. Fare cuocere in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti. Servirla tiepida.


Paella Marinara

Per 6 persone

1 kg di cozze, 200 gr di totani, 750 gr di scampi, 2 cipolle, un peperone verde e uno rosso, 2 zucchine, gr 200 di pomodori, 2 spicchi d’aglio, gr 250 di riso, gr 250 di piselli, una bustina di zafferano, burro, sale, pepe, 12 cappesante, ½ bicchiere di vino bianco.

Lavate le cozze e mettetele in un tegame, fatele aprire a fuoco vivo. Sgocciolatele, privatele del mezzo guscio vuoto. Passate il liquido di cottura attraverso un telo fine e tenetelo da parte. 
In un tegame con l’olio, fate soffriggere le cipolle tritate, gli scampi con la corazza, i peperoni tagliati a piccoli pezzi, sale e pepe. Mescolate, lasciate cuocere a pentola coperta per 10 minuti. 
Aggiungete le zucchine tagliate a piccoli pezzi, i pomodori senza pelle e sminuzzati, proseguire la cottura per ¼ d’ora. 
Unire il riso e lo zafferano, l’acqua delle cozze e altra acqua calda, sino a ricoprire gli ingredienti. Lasciate cuocere per 20 minuti. Dieci minuti prima della fine della cottura, unire le cozze, i totani a rondelle, prima puliti dalle interiora contenute nella sacca e dagli occhi e il becco al centro dei tentacoli, e i piselli. 
Mentre la paella cuoce, lavate le cappesante, togliete i molluschi dal guscio, lavateli, asciugateli e fateli insaporire in poco burro, bagnateli col vino e succo di limone, spolverizzateli con prezzemolo, facendoli cuocere ancora qualche minuto. Salate e pepate, togliere i molluschi dal tegame e rimetterli nelle loro conchiglie pulite e asciugate. 
Disponete la paella al centro di un piatto da portata e attorno disponete le cappesante.


giovedì 27 febbraio 2014

Pensieri: Saluti...


Liana Dainese - ha condiviso la sua foto
Son talmente ambientalista che non calpesto nemmeno i prati, figuriamoci le persone...liana

Buona serata a tutti!

Pensieri: Saluto...


Luciana Topini -

" Buon giorno! Non vi dimenticate mai quanto è bella e vera la vita..."  Elisenda )

Buona giornata a tutti!

Lo Sapevate Che: Salute in Primo Piano...


Suoni e spie luminose 
I rischi del “junk sleep”

Addormentarsi con musica o con dispositivi elettronici accesi porta ad un riposo di bassa qualità: Allerta per le luci dei display

Con la televisione accesa, le cuffie nell’orecchio e l’Ipad sulle gambe: sono sempre di più le persone che si addormentano così, con il sottofondo – di luci e suoni – dei vari dispositivi elettronici entrati ormai prepotentemente anche nelle case. Quando accade, i disturbi del sonno sono inevitabili e allora gli esperti parlano di “junk sleep”, ovvero di un sonno a bassa qualità continuamente interrotto da tutti i tipi di dispositivi elettronici: telefono, computer, Tv, radio ecc.
La crisi economica che ha colpito molte famiglie italiane ha acuito queste cattive abitudini poiché molti si mettono a letto con la preoccupazione del lavoro precario, del prestito da pagare o del futuro dei figli. E poiché non riescono a prendere sonno, preferiscono “stordirsi” di suoni, musica o chat per riuscire a staccare la spina. Ma  se una percentuale di persone riesce ad addormentarsi così, ce ne sono molte altre che, invece, soffrono di vera e propria insonnia digitale. Uno studio condotto dai ricercatori del Lighting Research Center di New York collega questo problema alla luce del display dei devices elettronici. La prolungata esposizione allo schermo retro-illuminato inibisce la produzione di melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno-sveglia. In due sole ore, può ridursi del 22%. “Anche se sembra poca, la luce emessa dai cari dispositivi è l’assassino della melatonina che è fondamentale per il sonno”, spiega”, spiega Liborio Parrino, presidente dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno. Anche l’essere sempre connessi non giova al sonno e così i vari social network e le app come i giochi online stimolano il cervello anziché favorire il relax. “Nessuna soluzione può funzionare se non si va all’origine del problema e si capisce perché si ha difficoltà a dormire”, prosegue il presidente dell’Aims. “Anche stare troppo tempo davanti al computer dopo cena o addormentarsi sul divano guardando il televisore, ostacola il sonno notturno”. Il fenomeno colpisce soprattutto gli adolescenti che passano buona parte del tempo libero (incluso quello destinato al riposo) navigando, chattando o giovando online. La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale ha lanciato proprio in questi giorni l’allarme “retomania”, la cosiddetta internet-dipendenza in aumento in questi mesi invernali  tra gli adolescente ma anche tra i bambini ai quali i genitori concedono il telefonino e tablet. Ma nonostante gli esperti continuino a ripetere che tanta tecnologia non giova al sonno, sono numerosissime le app ideate e commercializzate per combattere l’insonnia. Si va dalla meditazione guidata, alla classica conta delle pecorelle in versione digitale, ai generatori dei cosiddetti “rumori bianchi”, suoni a bassa frequenza che rilassano come onde che si infrangono su una spiaggia e il suono rilassante della pioggia che cade. Funzionano davvero? “E’ una contraddizione: tutti i dati scientifici dimostrano che i dispositivi elettronici ostacolano il relax, quindi non è possibile che una app che richiede l’uso di uno smartphone o di Ipad  faciliti il sonno”, avverte Parrino.

(i.d’a.) La Repubblica – 4 febbraio 2014

Lo Sapevate Che: Legge e Libertà...


Re Giorgio uno e trino

All’inizio silente.
Poi protagonista.
Ora di nuovo dietro le quinte perché i partiti vogliono riprendersi lo spazio. Sono le tre versioni con cui Napolitano ha interpretato il mandato. Ma non è cambiato lui. Semmai i tempi…

Che cos’è la Fata Morgana? Una foto meteora,, un miraggio, un’illusione ottica. Si manifesta nello stretto di Messina, all’alba, rovesciando la città a mezz’aria. Ed è un fenomeno raro, di più: eccezionale. Sennonché questo fenomeno accompagna da vent’anni la nostra vita pubblica. Magari non ci facciamo caso, però siamo irretiti da un gioco di specchi, di falsi riflessi. Crediamo che la seconda Repubblica abbia allevato un sistema bipolare, invece ha moltiplicato i piccoli partiti (nel 2006 furono in 11 a sostenere Prodi; oggi la Camera si divide in 10 gruppi, e il gruppo misto in 4 componenti). Pensiamo d’eleggere il Premier, ma gli ultimi tre governi (Monti, Letta,Renzi) sono stati generati da manovre di Palazzo, senza un’investitura popolare. Infine si siamo convinti che il Quirinale ospiti un trono, quello su cui siete Re Giorgio. E infatti negli ultimi tempi c’è chi progetta il regicidio. Ecco, fermiamo per un attimo lo sguardo sull’immagine di Napolitano. Davvero ha abusato del suo ruolo? E perché il presunto abuso lo ha trasformato per una stagione nella stampella della Patria (con picchi di popolarità ben oltre l’80 per cento), mentre adesso merita l’impeachment? E’ cambiato l’arbitro oppure i giocatori? E che tipo d’arbitraggio imporrebbe la Carta del 1947?
Quest’Ultima Domanda non potrà mai ottenere una risposta univoca. In primo luogo perché nei 9 articoletti che la Costituzione dedica al Capo dello Stato il non detto prevale su quanto i costituenti ci hanno detto. In secondo luogo perché quell’organo s’incarna in un uomo, “con i suoi vizi e con le sue virtù”, come scriveva nel 1960 il giurista Carlo Esposito. Contano dunque gli accidents of personality, per dirla con gli inglesi. E in terzo luogo perché contano altresì gli accidents of history, le  stagioni politiche in cui ciascun presidente svolge il proprio operato. Nel sistema costituzionale non c’è quindi il presidente, bensì piuttosto i presidenti, l’uno diverso dall’altro. E magari pure da se stesso, se dura a lungo, se nel frattempo mutano i contesti.
E’ forse questa la metamorfosi sperimentata dal nostro più longevo presidente. Gli è toccato in sorte d’attraversare tre epoche diverse, e perciò d’interpretare tre diverse  presidenze. In principio fu il silenzio, rotto talvolta da moniti e richiami, però quasi sussurrati. Lui stava dietro le quinte, non al centro della scena. Perché la scena era occupata da governi bagnati dal voto popolare: Prodi nel 2006, Berlusconi nel 2008. Da qui pertanto un’equazione: politica forte, presidente debole.
Ma l’Equazione E’ Rovesciabile. Ed è esattamente questo che è accaduto negli anni successivi. La politica ha perso la sua base di consenso, sicché si è incattivita. Cominciano gli scontri fra Napolitano e Berlusconi, e gli italiani si schierano col primo. Per esempio quando (nel 2009) Napolitano rifiuta di firmare il decreto per Eluana Englaro. Oppure quando (nel 2010) provoca le dimissioni di Brancher, neoministro nominato al solo scopo d’avvalersi della legge sul legittimo impedimento. Ma soprattutto dal 2011 in avanti, gli anni dello stallo, in politica come nell’economia. Così il Quirinale diventa l’estremo baluardo contro i venti della crisi. E’ l’interlocutore dei governi stranieri, è la levatrice dei governi nazionali (prima Monti, poi Letta).E infatti nel 2013 Napolitano viene rieletto con un plebiscito; ai suoi 10 predecessori con un plebiscito; ai suoi 10 predecessori non era mai accaduto.
Ma adesso? Perché ogni settimana piovono sul Colle critiche, contumelie, sgarbi? L’impeachment, certo, ma non solo. Durante le ultime consultazioni, due partiti (Lega e M5S) hanno perfino rifiutato d’incontrarlo. Risposta: perché siamo entrati in una terza stagione. Quella in cui la politica vuole riprendersi gli spazi perduti, quella dominata da Renzi, un leader forte come Braccio di Ferro. Sicché Napolitano si è trasformato in un intralcio, oltre che nel testimone d’un tempo imbarazzante. Lui ha ridotto i suoi interventi, è rientrato dietro le quinte della scena. Ma a quanto pare alla politica non basta, e d’altronde ormai l’incendio è divampato. Più che un presidente, servirebbe un estintore.

Michele.ainis@uniroma3.itMichele AinisL’Espresso – 27 febbraio 2014

Un pò di Buona Proteina!....


Stinco di Vitello al Gusto di Mela Renetta

Per 4 persone

1 stinco di vitello, 2 mele renette, 50 gr di lardo, 50 gr di burro, 1 cipolla, 1 costa di sedano, 1 rametto di rosmarino, qualche foglia di salvia, 3 bacche di ginepro, 1 spicchio d’aglio, vino bianco secco, brodo vegetale q.b., olio, olio, pepe in grani.


Incidere lo stinco di maiale con l’aiuto di un coltello, onde formare delle fessure nella carne e introdurre in ognuna il lardo ridotto a listerelle. 
Passare al mixer la salvia, gli aghi di rosmarino, il ginepro e 5 granelli di pepe con un poco di sale. Distribuire il trito sullo stinco, legarlo con il refe e infarinarlo leggermente. Metterlo in una casseruola che possa andare in forno.
 Fare rosolare lo stinco sul fuoco con metà del burro e 2 cucchiai d’olio. Non appena sarà dorato da tutte le parti, aggiungere la cipolla e il sedano puliti, lavati e tritati, l’aglio intero e le mele sbucciate, private del torsolo e ridotte a piccoli spicchi. Insaporire con sale e pepe, bagnare con 1 bicchiere di vino, il brodo caldo che dovrà ricoprire a ¾ il contenuto della casseruola. 
Fare cuocer lo stinco a casseruola coperta e a fuoco basso per circa 2 ore e 30 minuti. Dopo passare il fondo di cottura al mixer. 
Rimettere la salsa nella casseruola con lo stinco e unirvi il burro rimasto. Regolare di sale e pepe. Continuare la cottura in forno preriscaldato a 220° per 20 minuti. 
Servire la preparazione ben calda, affettando lo stinco in tavola.


Tasca di Vitello con Frutta Secca

Per 4 persone

1 pezzo di vitello di circa 600 gr tagliato a tasca dal macellaio, 150 gr di salsiccia, 80 gr di albicocche secche, 1 scalogno, due rametti di rosmarino, qualche foglia di salvia, vino bianco secco, burro, olio, sale, pepe.

Versare del vino in un contenitore stretto e mettere a bagno le albicocche per 2 ore per farle rinvenire. 
Sminuzzare finemente lo scalogno mondato e mescolarlo alla polpa della salsiccia spellata e tritata, salare, pepare. 
Asciugare bene le albicocche, dividerle a metà e unirle all’impasto. 
Riempire la tasca con il ripieno e richiuderla, cucendo bene l’apertura con un ago e refe da cucina. 
Strofinare la carne con il sale, adagiare il pezzo in una pirofila oliata, nel cui fondo poserete i rametti di rosmarino e le foglioline di salvia. 
Ricoprire il pezzo di carne  con del burro a fiocchetti. 
Fare cuocere in forno preriscaldato 200° per 20 minuti. Dopo questo tempo, bagnare con 1 bicchiere di vino, abbassare la temperatura a 180° e proseguire la cottura ancora per 1 ora, girando ogni tanto il pezzo, con delicatezza. 
Servire la tasca affettata, coprendola col sugo di cottura e accompagnandola con purea o insalatina stagionale.


Le Scaloppine, da non dimenticare mai!: al Limone, alla Pizzaiola, alla Panna e funghi, con Salsa Piccante
(si possono realizzare con qualsiasi tipo di carne e filetti di pesce)

Per 4 persone

 Al Limone

4 fettine di vitello di circa 100 gr. ciascuna, una cucchiaiata di farina, gr 40 di burro, il succo di 2 limoni, sale, pepe e prezzemolo.
Fate sciogliere il burro in una padella, infarinate le fettine e immergetele nel burro. Friggetele 3 o 4 minuti per parte. 
Tritate finemente un pugnetto di prezzemolo. 
Salate, pepate la carne, irrorate con il succo dei limoni, cospargetela col prezzemolo e servite.


Alla Pizzaiola

4 fettine di vitello di circa 100 gr. ciascuna, 2 spicchi d’aglio , 3 cucchiai d’olio, 4 pomodori freschi, maturi, (o una scatola di pelati), origano abbondante , sale e pepe.

Fate rosolare 2 spicchi d’aglio schiacciato o a fettine, in 3 cucchiaiate d’olio, poi unitevi le fettine di carne e fate cuocere 2 minuti per parte. 
Unite i pomodori (se freschi pelati), tagliati a pezzetti, origano abbondante , sale e pepe. Lasciate al fuoco 5 minuti, mescolando spesso , rivoltando la carne e servite.


Alla Panna e Funghi

4 fettine di vitello, di circa 100 gr l’una, 50 gr. di funghi porcini o champignon, 40 gr. di burro, una tazzina di panna liquida, sale e pepe.

Mondate i funghi, affettateli e fateli rosolare per 5 minuti in gr. 40 di burro, unite la carne e fatela soffriggere da entrambi i lati, insieme ai funghi, poi aggiungete una tazzina di panna liquida. 
Salate, pepate, fate restringere e servite.


Con Salsa Piccante

2 spicchi d’aglio, una cucchiaiata di capperi, 3 acciughe sotto sale, 3 cucchiai d’olio, un bicchierino di bianco secco, sale e pepe.

Preparate un trito finissimo con 2 spicchi d’aglio, una cucchiaiata di capperi e tre acciughe sotto sale (lavate e diliscate). Versare il tutto in una padella, dove avrete fatto scaldare 3 cucchiai d’olio. 
Lasciate insaporire per 2 o 3 minuti, quindi unite le fettine di carne, che farete insaporire da entrambi le parti. Irrorate con un bicchierino di vino bianco secco, che farete evaporare a fuoco vivo. Assaggiate di sale, aggiungete il pepe macinato al momento. Servite subito.

mercoledì 26 febbraio 2014

Pensieri: Saluto...


Miriam Da Costa

Dalla vita 
chiediamo e speriamo la felicità

mentre la vita
ci chiede il coraggio d'essere felici.

Miry
*Foto/immagine by Kim Anderson

Buona giornata a tutti!

Lo Sapevate Che: Le Nostre Parole Mentono Per Noi...


Scrive il sociologo inglese Stanley Cohen: “La negazione è un modo per mantenere segreta a noi stessi la verità che non abbiamo il coraggio di affrontare”oggi

Non pensa che oggi si ricorra alla “parola”  solo per falsificare la realtà? Che si ricorra a metafore ed eufemismi per non denunciare chiaramente quelli che sono  i “mali” della contemporaneità? La “parola” si è fatta maschera del “vero” e tutti o quasi sottostanno alla colonizzazione delle proprie menti da parte di un sistema sociopolitico decadente. Ora più che mai, ciascuno dovrebbe riflettere sul significato delle parole e andare  ad appropriarsene rileggendosi il Vocabolario della lingua italiana. Si dice per esempio “senza tetto” o “barbone” per non dire che le persone hanno perso il lavoro e quindi…Oppure “integrazione”: quale l’implicito? “Interculturalità”: su quali basi e perché? Potrei così continuare all’infinito, ma non ho intenzione di tediarla. Forse, ripartendo dalla “parola”, potremmo tutti incominciare a sfuggire l’incultura dilagante, assumendoci la responsabilità delle nostre azioni, evitando di adagiarci su figure di comodo che hanno solo l’obiettivo di rendere leggibile e visibile una realtà “resa cieca”. Oggi chi sono gli intellettuali, detentori della parola “vera” e quale sarebbe il loro compito? Forse quello di svelare alle masse narcotizzate la grande menzogna agitata sistematicamente  dal Sistema?
Cosa ne pensa?
Maristella Greco, Lecce

Oggi sappiamo cosa succede nel mondo non perché ne siamo testimoni, ma per l’informazione che i mezzi di comunicazione ci offrono. E qui il linguaggio fa i suoi giochi di verità e menzogna che lei giustamente denuncia con i suoi esempi: “Senza tetto”, “Barbone” sono parole che inducono un leggero sentimento di compassione, senza che da parte nostra ci sia un minimo di interessamento per la sorte di chi si trova in quelle condizioni. Al massimo una leggera indignazione verso quelle amministrazioni che non risolvono il problema, perché noi ci sentiamo esonerati dall’interessarci di quel disagio. “Integrazione” significa di fatto che l’immigrato deve diventare come uno di noi negli usi e nei costumi che ci caratterizzano, senza che noi si faccia un passo per comprendere i suoi usi e i suoi costumi. In fondo, anche se non abbiamo la spudoratezza di dirlo (anche se ogni tanto qualcuno lo dice), ci consideriamo la “civiltà superiore” e quindi riteniamo che sarebbe un bene che anche gli immigrati raggiungano il nostro livello.
Ma il luogo eminente della falsificazione tramite il linguaggio avviene a livello politico, quando una pulizia etnica si chiama “scambio di popolazione”, come se non comportasse alcuna sofferenza lo sradicamento della propria terra. Allo stesso modo, l’abbiamo sentito dire più volte, un massacro si chiama “danno collaterale”, dove è sottinteso “non l’abbiamo fatto apposta”, “non era nelle nostre intenzioni”, e per la morale dell’intenzione, che ancora non ha recepito il messaggio di Max Weber che ha proposto la morale della responsabilità, siamo tutti assolti. Non parliamo poi della guerra e delle sue atrocità che la nostra ipocrisia ha la spudoratezza di chiamare “missione di pace”.
La falsificazione non riguarda solo l’informazione politica o mediatica, ma si nasconde segretamente nell’anima di ciascuno di noi. Espressioni quali : “chiudere un occhio”, guardare dall’altra parte”, “mettere la testa sotto la sabbia”, “non sollevare un polverone”, “lavare i panni sporchi in casa propria”, che cosa significano se non “non voler vedere” e quindi non prender coscienza del male di cui pure abbiamo conoscenza, ma di cui neghiamo o attenuiamo l’esistenza?
Fatte le debite proporzioni, assomigliamo a quei tedeschi o a quei polacchi intervistati da Gordon  Horwitz (si veda Nell’Ombra della morte, Marsilio) che chiedeva se non sapevamo proprio nulla di quei campi di concentramento non lontani dalle loro case. Le risposte furono che si vedevano dei fumi, si sentivano delle dicerie, ma tutto questo li sollecitava a verificare quanto accadeva.
Freud chiama questa ipocrisia del linguaggio “negazione (Verneinung)”. Il risultato è una falsificazione del nostro apparato “cognitivo” – che misconosce ciò che in verità conosce – “emoziona!” – perché sterilizza i nostri sentimenti nell’indifferenza -, “morale” – perché esonera da ogni responsabilità – di “azione” – perché non promuove alcuna risposta a quanto si conosce. Come vede, la purificazione del linguaggio, prima che pubblica o politica, deve incominciare dentro di noi.

umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica 30-marzo-2013

Lo Sapevate Che: Contromano.....

  
Un Paese di Principini che Machiavelli non
L’ha studiato bene

Si discute se Matteo Renzi assomigli di più a Blair, a Craxi o a certi capi democristiani, un Fanfani dell’era internet, ma dovrebbe essere chiaro
ormai che il modello del segretario fiorentino è quello proposto dal
 Segretario fiorentino, l’immortale Niccolò Machiavelli. Renzi è un Principe della nostra epoca, simulatore e gran dissimulatore, leone, volpe e centauro, rapido e astuto cacciatore di potere. Fortunato.
E’ diventato sindaco di Firenze perché Massimo D’Alema  e Walter Veltroni litigavano sui candidati e l’ha spuntata lui, terza scelta e assoluto outsider cittadino, per una manciatina di voti. Ha perso le primarie con Pier Luigi Bersani e si è rivelata la migliore delle vittorie, visto il repentino disastro dell’avversario. Quindi ha vinto con plebiscito la guerra di successione nel Pd, giusto in tempo per far fuori un Enrico Letta ormai bollito, ma alla vigilia di una ripresina economica e di una gigantesca ondata di nomine pubbliche. Descrivo i fatti, senza giudizi morali. Vediamo se il fine avrà giustificato i mezzi.
Il machiavellismo, nell’accezione più volgare, è del resto il metodo di tutti i leader italiani, tanti piccoli principi. E’ un principino della destra Silvio Berlusconi, che fra tante balle ne racconta una colossale da anni ai propri elettori. La storia che senza di lui l’Italia, il Paese più a destra d’Europa, cadrebbe nelle mani dei comunisti. Così si mantiene sulla scena a ottant’anni, con una condanna alle spalle e altre all’orizzonte, nonostante il suo declino sia visibile. Vent’anni fa era stato lui a fregare il principino di turno della sinistra D’Alema, e stavolta invece tutto lascia intendere che Renzi abbia fregato Berlusconi.
Sono principini machiavellici gli altri, i vecchi e i nuovi, da Pier Ferdinando Casini e Angelino Alfano, oggi impegnati in un gioco delle parti che domani potrebbero scambiarsi, fino a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, maestri nell’ingannare il popolo al seguito e nel farlo rimanere “soddisfatto e stupito”, in cambio di un concreto nulla. Alla fine, siamo milioni di principini machiavellici noi italiani.
Ma il vero Segretario fiorentino, con l’aria di riverire il Principe, si rivolgeva agli italiani, un popolo  allora di schiavi, per liberarli dall’inganno, svelando i meccanismi del potere. Vedeva una grande nazione abitata da un piccolo popolo spaventato, ignorante, debole e ingenua preda di ogni scellerato avventuriero, tanto facile all’entusiasmo e alla depressione quanto duro nel comprendere la meccanica spietata nel potere. Questo Machiavelli però, a quanto pare, non ha ispirato nessuno.

Curzio Maltese – Il Venerdì di Repubblica – 21 febbraio 2014

Delizia Dolce con Semolino...


Chalvas con Semolino, Ricetta Greca

Per 6 persone

gr 225 d’olio, gr 350 gr di semolino, 650 gr di zucchero, 1 lt d’acqua, cannella in polvere.

Mettere l’olio in una casseruola e scaldare. Aggiungere il semolino e cominciare a farlo abbrustolire girandolo con un cucchiaio di legno fino a farlo imbiondire. 
Intanto mettere l’acqua con lo zucchero a bollire in un’altra casseruola per 10 minuti. Quando il semolino sarà pronto, versarvi lo sciroppo di zucchero, aggiungere abbondante cannella e continuare a girare abbassando il fuoco fino a che non si addensi. Il chalvas è pronto quando si staccherà dalle pareti della casseruola. 
Metterlo in uno stampo bagnato con acqua e quando si sarà raffreddato capovolgerlo in un grande piatto da portata e spolverarlo con cannella.

Può essere accompagnato da marmellate di frutta, crema al cioccolato, panna. 

Specialità con Formaggi, Uova, Verdure....


Tofu in Fagottini con Broccoletti

Per 4 persone

100 gr di tofu, 350 gr di broccoletti, 2 uova, 30 gr di farina, peperoncino piccante, 30 gr di pinoli, scorza d’arancia, una confezione di sfoglia fresca, olio, sale.


Pulite i broccoletti, riduceteli a cimette e cuoceteli a vapore per 20 minuti. Lasciateli raffreddare. Tenetene da parte 50 gr e frullate gli altri in un mixer, unendo anche 1 uovo, la farina, un pizzico di sale e uno di peperoncino piccante. Incorporate al composto il tofu, sgocciolato e tagliato a dadini, un cucchiaino scarso di scorza d’arancia e i pinoli leggermente tostati in forno. 
Ricavate dalla pasta sfoglia 8 dischetti di 9 cm di diametro e mettete al centro di ciascuno un cucchiaino colmo di impasto di broccoletti, spennellate i bordi della pasta con un albume, richiudeteli sul ripieno in modo da ottenere dei fagottini. 
Trasferiteli sulla teglia del forno foderata con una carta da forno oliata, spennellate i fagottini con il tuorlo d’uovo diluito con poche gocce d’acqua. Cuoceteli in forno preriscaldato a 200° per 20 minuti. Sfornateli, lasciateli intiepidire e servite decorando con i pezzetti di broccoletti tenuti da parte. 



Raita allo Yogurt con Grissini al Peperoncino

Per 6 persone

200 gr di yogurt greco, 300 gr di feta, 100 gr di mascarpone, un ciuffo di coriandolo, mezzo cucchiaino di semi di senape nera, 1 kg di farina, 30 gr di lievito di birra, 20 gr di sale marino fino, 2 cucchiaini di zucchero, 1 dl di olio, 15 peperoncini little Wonder.

Versate su un piano da lavoro la farina, formate la fontana e sbriciolatevi al centro il lievito di birra, il sale e lo zucchero. Versate poco alla volta 1/2 lt d’acqua tiepida, mescolando fino a sciogliere il lievito. Aggiungete 1 dl di olio e impastate sino ad ottenere una pasta liscia. 
Schiacciatela col palmo della mano e distribuitevi sopra i peperoncini privati del picciolo, dei semi interni e tagliati a pezzettini. Impastate nuovamente, formate un filone, ungetelo d’olio, copritelo con un foglio di pellicola e lasciatelo lievitare per mezz’ora. 
Frullate lo yogurt greco con la feta e il mascarpone. Salate e pepate, incorporandovi un ciuffo di coriandolo tritato grossolanamente e mezzo cucchiaino di semi di senape nera. Trasferite il composto (raita) in una ciotola e mettetela in frigo sino al momento di servire. 
Eliminate la pellicola che copre il filone di pasta e tagliatelo a bastoncini dello spessore di 2,5 cm nel senso della larghezza.
 Prendete ogni bastoncino con le mani per le due estremità e allargando le braccia, lasciando che il suo stesso peso lo faccia raddoppiare in lunghezza, depositateli su una placca unta d’olio, lasciando uno spazio di un paio di cm fra un grissino e l’altro, in modo che non si attacchino fra loro durante la cottura. 
Cuocete in forno preriscaldato a 200° per 15 minuti, poi sfornate i grissini, lasciateli raffreddare e serviteli con la raita.


Omelette Caprese

Per 4 persone

8 uova, latte, una presa di origano, una mozzarella di bufala da 200 gr., 2 pomodori maturi, 4 filetti di acciuga sott’olio, salsa di pomodoro, burro, sale e pepe.

Tagliate a dadini una mozzarella di bufala e mettetela a colare in un colino, tagliate a filetti i pomodori. 
Sgusciate le uova, unitevi 4 cucchiai di latte, un pizzico di origano, sale e una macinata di pepe. Sbattete leggermente con una forchetta. Cuocete le 4 omelette una alla volta in una padella in cui avrete fatto sciogliere 15 gr di burro ogni volta.
 Quando l’omelette è rappresa da un lato e la parte superiore sarà cremosa, distribuitevi al centro prima un quarto dei pomodori e poi un quarto della mozzarella e un filetto di acciuga sott’olio, asciugato a pezzi. 
Ripiegate l’omelette su se stessa e tenetela al caldo. Cuocete le altre 3. 
Servite con sopra un cucchiaio di salsa di pomodoro.

martedì 25 febbraio 2014

Pensieri: Saluto...


Liana Dainese - foto di Le frasi più belle dei fan



"Gli uomini fanno bene a tapparci la bocca. Si ma con un bacio!."

(Pensiero di Liana Dainese)

Buona giornata a tutti!

Lo Sapevate Che: Sottovuoto...


Quindi Lei Ha Sognato Un Governo A Tempo Indeterminato

D’altronde, come dicono spesso i guardamacchine e i filosofi, cresce in tutti il bisogno di qualche sicurezza. Un bisogno che si riflette dal presente al passato, che cambia i ricordi, che induce illusioni. Si ricorda un governo balneare che diventò natalizio e poi marziano. Un governo di transizione, poi di requisizione, infine di spedizione. Oggi se inviamo al governo una lettera anonima, arriva se va bene, al governo successivo. Il governo di legislatura, abbiamo quasi avuto anche quello, ricorda la vita sospesa e la nutrizione artificiale.
Tutti in attesa che qualcuno o qualcosa lo stacchi dalle macchine.
Però sempre più gente non vota, si afferma. Ma quelli che se intendono, l’ho visti io, fanno un sorrisetto. L’importante è che tutti seguitino a pagare. Per il governo si vedrà.

www.massimobucchi.com – Venerdì di Repubblica – 21 febbraio 2014

LO sapevate Che: Per Posta...


L’irragionevole epidemia di nazionalismo straccione sulla
Vicenda dei due marò


Caro Serra, sul caso dei due marò mi sono posto alcune domande. Spero di non essere tacciato di antipatriottismo, mi auguro che Salvatore e Massimiliano tornino al più presto in Italia, ma le domande restano inevase.
Si può dire che la dinamica dei fatti è ancora misteriosa? Si può far notare che i due militari sono stati artefici di un madornale errore di valutazione? Possibile che una petroliera alta 40 metri sia “spaventata” da un peschereccio che immagino sgangherato e lento? Si può dire che la stampa di destra ha strumentalizzato il caso? Come se l’esaltazione acritica dei nostri militari sia condizione imprescindibile? Si può dire che la legge tanto voluta dal ministro La Russa è stata promulgata incompleta, come spesso capita, senza linee di guida di ingaggio specifiche e soprattutto chiare? Ci voleva una grande mente per immaginare che un incidente privato con personale militare a bordo avrebbe potuto trasformarsi in una crisi tra governi? Si può dire che non ho sentito parlare di procedure acustiche o manovre elusive o dissuasive prima di passare alle armi?
Si può far notare che in quelle acque non sono mai avvenuti attacchi di pirateria?
Il capitano della Enrica Lexie è un civile e risponde al suo armatore, infatti è tornato in porto assecondando le autorità indiane. Un  corto circuito inevitabile. Perché i due marò appena scesi a terra hanno prima sostenuto di non essere stati loro e poi si essere stati loro ma in acque internazionali? Si può sommessamente far notare che le vittime sono i due poveri pescatori indiani che per un pugno di rupie erano usciti in mare mai immaginando di non tornare vivi? Si può dire che assoldare “personale specializzato” non è solo ridurre al minimo il rischio d’assalto alle navi, ma anche tagliare i costi assicurativi sempre più esosi? Si può dire che la Marina militare per ogni giorno di imbarco di un marò incassa 5oo euro ed è una entrata difficile da rifiutare? Si può dire che l’Italia è l’unico Paese ad aver deciso un uso così esteso di forze armate su mercantili privati (grazie Silvio)? Si può sottolineare che i due marò non hanno mai passato un solo giorno nelle spaventose carceri indiane? Si può dire che i due marò non godono di immunità in quanto militari perché non lavoravano per conto dello Stato, ma di una compagnia privata? Ultimo ma non minore: in questo pasticcio internazionale quanto costa la nostra povera rilevanza nazionale e scarsa credibilità politica?
Marco Bernardi

Caro Bernardi, pubblico per intero la sua lunga lettera perché esprime, in forma documentata, civile e ragionevole il forte disagio che la gestione politica e mediatica di questo spinosissimo caso ha suscitato in molti. Senza pretendere di entrare nel dettaglio giuridico, l’impressione è che si sia trattato di un penosissimo errore che è costato la vita a due innocenti. Ovvio che non ci sia stato alcun dolo da parte dei due marinai italiani; altrettanto ovvio che si sia tutti preoccupati della loro sorte, non essendo giusto né logico che per un incidente, sia pure tragico, si scomodi la legislazione antiterrorismo (ci sono state speculazioni politiche e forzature del diritto anche da parte delle autorità indiane). Ma la grottesca campagna che si è scatenata in Italia, trasformando i due marò da artefici di un maledetto era quasi eroi, da celebrare con sbandieramenti e imbarazzanti proclami di orgoglio patriottico, ci fa davvero riflettere sulla modesta statura della nostra identità nazionale. Che la destra peggiore, con uno stile post-littorio che fa venire il latte alle ginocchia, abbia strillato e stia strillando le sue sciocchezze, è cosa che – purtroppo – si poteva mettere nel conto. Ma mi hanno colpito (e l’ho critto, a suo tempo) i modi e i toni con i quali i due marò, in occasione della loro licenza natalizia, sono stati accolti al Quirinale. Un conto è la solidarietà per due lavoratori italiani incappati in una brutta storia di morte, ai quali si augura di pagare un prezzo equo, dunque il più basso possibile, a una situazione di cui – dopo i due pescatori indiani – essi sono anche le vittime. Altro conto è l’imbarazzante, irragionevole, ingannevole epidemia di nazionalismo straccione che ci sta facendo fare la figura di un Paese al tempo stesso vanitoso e impotente. Nel solco – lo dico molto amaramente – della nostra penosa tradizione fascista e post fascista.

Michele Serra – Il Venerdì di Repubblica – 21 febbraio 2014

Il Dessert "Profumato alle Rose"!...


Dessert al Latte Firni del Kashmire, cucina Indiana

Per 6 persone

4/4 di lt di latte, 5 gocce di essenza di rose, 4 cucchiai di farina di riso, 5 cucchiai di zucchero, 3 cucchiai di mandorle pelate, tostate e tritate, ½ cucchiaino di cardamomo in polvere, una presa di zafferano in pistilli.


Mescolare in una ciotola la farina di riso con le mandorle e poco latte. In una casseruola portare a ebollizione il latte rimanente con i pistilli di zafferano, unire lo zucchero, mescolare fino a che sia ben sciolto. Togliere dal fuoco e unire il composto di farina e mandorle, mescolare bene e rimettere sul fuoco, mescolare con attenzione con un cucchiaio di legno anche sul fondo del recipiente perché il composto non attacchi. Far cuocere sin quando il composto formerà una crema. Aggiungere le gocce di essenza di rose, il ½ cucchiaino di cardamomo, mescolare bene. Trasferire la crema in ciotole piccole da portata singola. Fare raffreddare e servire con qualche pistillo di zafferano e qualche petalo di rosa in superficie. 

Il Riso....in compagnia!....


Riso in Teglia con Ratatouille

Per 4 persone

300 gr di riso Basmati, 1 melanzana, 1 peperone rosso, 1 peperone giallo, 2 pomodori maturi, 120 gr di fagiolini verdi, 1 cipolla rossa, un pizzico di origano, qualche foglia di basilico, olio, sale e pepe.


Pulite, tagliate a tocchetti le verdure. Mettetele in una teglia da forno che possa stare anche sul gas, con 3 cucchiai d’olio, un pizzico di origano e un poco di sale e pepe. Lavate ripetutamente il riso sotto l’acqua corrente. Poi scolatelo bene. Rosolate leggermente le verdure, aggiungete il riso, mescolate e unite 3 dl di acqua bollente. Salate, portate a ebollizione, unite il basilico tritato, poi chiudete bene la teglia o con un coperchio o con carta di alluminio. Sistematela in forno preriscaldato a 180° per 15 minuti. Trascorso il tempo, sfornate e scoprite. Lasciate intiepidire e portate la preparazione in tavola direttamente nella teglia.



Riso alla Cinese con Verdure e Tofu, ricetta Cinese

Per 4 persone

300 gr di riso Basmati, 50 gr di carote tagliate a julienne, 50 gr di cavolo verde a julienne, 50 gr di germogli di soia, 1 zucchina, 100 gr di tofu, un cucchiaio di semi di sesamo, 4 cucchiai di salsa di soia, un pezzo di radice di zenzero, olio, sale.

Lessate il riso in abbondante acqua leggermente salata e scolatelo al dente. Pelate lo zenzero e tagliatelo a bastoncini, lavate e spuntate la zucchina, grattugiatela con una grattugia a fori grossi.
 Scaldate 6 cucchiai d’olio in una larga padella, unitevi lo zenzero, il sesamo e fateli dorare per 3 minuti. Aggiungete le verdure e cuocete a fiamma alta per 4 minuti, finchè diventino croccanti.
Scaldate in un padellino un cucchiaio d’olio, unite il tofu a dadini, fateli saltare e spruzzateli con un cucchiaio di salsa di soia.
 Mettete il riso nella padella con le verdure, saltatelo per qualche secondo, unite i germogli e la salsa di soia e il tofu. Servite.


Spaghetti di Riso Vietnamita con Straccetti di Vitello, Ricetta Vietnamita

Per 6 persone

400 gr di spaghetti di riso secchi, una lattuga, verde, un ciuffo di basilico, 2 carote, ½ cetriolo, 1 cipolla, 250 gr di carne di vitello a strisce di 2 cm, ½ bicchiere di Marsala, farina, sale, pepe.

Fare rinvenire in acqua tiepida gli spaghetti di riso secchi per 20 minuti. Pulire e lavare la lattuga e il basilico. Tagliare a striscioline 8 foglie di lattuga e 12 foglie di basilico. Pulire e lavare le carote e il cetriolo. Ridurre le carote e il cetriolo a fiammifero. Infarinare leggermente la carne a strisce, scaldare 2 cucchiai di olio in una padella e fare rosolare la cipolla tagliata molto fine, unire la carne, scuotendola per staccare tutta la farina eccedente, rosolare per pochi minuti, sfumare col vino, salare, pepare e tenere in attesa al caldo.
Scolare gli spaghetti di riso e farli cuocere per 1 minuto in una casseruola con abbondante acqua salata in ebollizione. Scolarli con delicatezza, pochi alla volta, con una schiumarola. 
Distribuirli nelle ciotole di portata, insieme alle verdure affettate e mischiate. Distribuire gli straccetti di vitello sopra il riso e le verdure e servire subito. 

lunedì 24 febbraio 2014

Pensieri: Saluto...


Un cuore a spasso di Antonio Curnetta -

E quel che abbiamo visto rimarrà per sempre nei nostri occhi,
quel che abbiamo fatto rimarrà nelle nostre mani,
quel che abbiamo sentito rimarrà nella nostra anima.

A. Baricco

Buona serata a tutti!

Pensieri: Saluto...


Liana Dainese -



A volte la vera forza e' nel sapersi mettere il cuore in pace.
Sara' doloroso, ma ne devi esser capace...liana

Buona giornata a tutti!

Lo sapevate che: Elogio della Frugalità...


L’anticipazione / Nel suo nuovo libro Paolo Legrenzi riflette sulla natura di una parola che ha risvolti psicologici ed economici

Giulio Nascimbeni, sul Corriere della Sera dell’8 maggio 1994, raccontava di una crociata avviata dal mensile Il Migliore, diretto da Sergio Claudio Perroni. Si trattava di salvare parole “che rischiano di diventare arcaiche e quindi svanire”. Una di queste parole era frugale, una parola con una lunga storia. Compare nella prima metà del Trecento in un testo di Giovanni Cassiano dove si parla di “virtù frugali”.
Oggi grazie all’uso del motore di ricerca google Trende, potete scrivere “frugalità”, abbondanza” e accorgervi che la crociata di Pierroni non ha sortito grandi effetti. La vittoria dell’abbondanza sulla frugalità è schiacciante. Se però consultate i due termini inglesi “ frugality, abundance”, scoprirete che il primo termine riaffiora grazie ad articoli come quello di Arthur Frommer sul Francisco Chronicle del 20 luglio 2009, dal titolo: FrugalityNow Fashionable–And Necessary. Quando si parla di frugalità, di che cosa stiamo esattamente parlando?
1.     La frugalità non è la povertà E’ una scelta, non una costrizione. Se si sembra frugali perché si è poveri, in realtà non si è frugali. Oggi, in Italia i poveri sono circa cinque milioni. Si tratta di persone che l’Istat, nel suo rapporto, classifica come “poveri assoluti”. Si potrebbe pensare che, in una società ricca, gli “assolutamente poveri” diminuiscano. E invece aumentano. Dal 5,7 per cento delle famiglie assolutamente povere del 2011 siamo passati all’8 per cento delle famiglie del 2012.
2.     La frugalità non è neppure l’avarizia. L’avarizia, come la povertà, non è una vera e propria scelta: alla povertà siamo costretti dalle circostanze esterne, all’avarizia dalle nostre ossessioni mentali. Da questo punto di vista il prototipo dell’avarizia è la figura tragica di Mazzarò, il protagonista della novella La roba di Giovanni Verga (1883). Vi si narra il Mazzarò che, partendo da zero, col passare del tempo, accumula una fortuna appropriandosi delle terre di un barone: “Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore, o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava pensando alla sua roba(…) quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.
Mazzarò diventa vecchio. Pensa che sia “un’ingiustizia di Dio” dover lasciare la roba dopo essersi logorata la vita per accumularla: “Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la su roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con me!”.
Non sembre l’avarizia è un’ossessione che arriva a coinvolgere l’aldilà, più spesso è una passione terrena, solitaria e triste. Comunque p ben lontana dalla frugalità, almeno nelle forme in cui l’avarizia si manifestava ai tempi di Verga.
3. La  frugalità non è nemmeno una decisione di risparmio. A questo proposito, vorrei raccontare quella che credevo fosse una semplice leggenda familiare, tramandata da mio “nonno Tano”. Il “nonno Tano” (in realtà era il mio bisnonno Gaetano Rossi, morì l’8 giungo del 1947) mi è rimasto impresso perché ero l’unico nipote ammesso nella sua camera e, quando lo vidi morire, credevo si trattasse di un sonno prolungato.
Il papà di Gaetano, Alessandro, industriale tessile, aveva una nuora, Maria, madre dei suoi nipoti prediletti. Maria gli chiede di acquistare un carrettino per far giocare i nipoti: lei aveva già comprato un pony a Verona. Ecco la risposta di Alessandro: “Duolmi, o mia carissima, di non poter aderire alla tua richiesta: non comprerò la charrette, e non approvo l’acquisto del cavallino. Con lo stesso corriere, insieme alla tua letterina, m’è pervenuta la relazione settimanale di Fochesato (direttore del lanificio) il quale mi avverte doversi licenziare due operai recentemente assunti in prova, perché il loro rendimento non corrisponde al salario che per conto loro inciderebbe sul bilancio dell’opificio. Considera, figliola carissima, che prezzo di poney e charrette corrisponde al salario dei due che devonsi licenziare”.
In questa risposta c’è l’essenza della frugalità, che è una scelta di stile e di buon gusto. A differenza delle decisioni collegate al risparmio, e finalizzate all’acquisto di beni, o a sconfiggere l’incertezza del futuro, la frugalità non ha altro scopo se non se stessa. Una volta, chi faceva scelte frugali spesso non si accorgeva di farle, semplicemente perché gli sembravano ovvie: si palesava solo se trascurata, come nel caso di Maria, che vi è costretta da un’imposizione di Alessandro (…).
Questo episodio chiarisce bene il rapporto che c’era un tempo tra frugalità e risparmio. Sembrano due concetti imparentati ma, a ben vedere, ciò che li avvicina è soltanto il non consumo opulento, il rifiuto del superfluo. Il risparmio, ci rende robusti, meno vulnerabili, perché la riserva costituita dal risparmio ci permette di affrontare avversità future, oggi non prevedibili. Inoltre il risparmio lascia un margine di manovra nelle scelte di vita, una sorta di cuscino di sicurezza. La frugalità, invece, produce risparmi solo come effetto collaterale: l’abitudine al poco è una difesa preventiva che ci rende invulnerabili ai rovesci della sorte.
(…).La frugalità è un concetto darwiniano, nel senso che ci rende più adattabili a scenari in rapido mutamento. La robustezza economica, invece, è più ostaggio degli eventi, e ci difende solo dalle avversità finanziarie, non da quelle della vita. La frugalità è un sapere tacito, che s’impara da piccoli in famiglia, non un sapere che s’impara a scuola.
(…)
Paolo Legrenzi – La Repubblica – Cultura – 21 febbraio 2014