Forse La Ricordate ancora, alta nel suo metro e ottanta con il 43 di
piede, robusta, nera e bella nei suoi fiorenti 54 anni sotto un casco
lussureggiante di capelli mossi. Si chiama Michelle LaVaughan Rbinson, ma è più
nota con il cognome del marito: Obama. Occupata, nella casa di Washington
comperata con Barack, a ultimare le memorie che usciranno in novembre (tradotte
in 29 lingue), per le quali ha ricevuto 65 milioni di dollari in comunione con
il marito, Michelle non si fa vedere in pubblico se non per le sortite in
palestra e qualche rara occasione. Ma quando parla in pubblico, come è avvenuto
all’inizio di aprile in una conferenza-intervista, il rimpianto per questa
donna non soltanto intelligente, preparatissima (è avvocato con lauree a
Princeton e Harvard), disinvolta senza mai essere arrogante, prende chiunque la
guardi, senza pregiudizi politici o culturali. Rinunciò a una professione gà
molto ben avviata in un mega studio legale di Chicago, per seguire un giovanotto
che la portava in giro su un catorcio talmente arrugginito che s’intravvedeva
la strada sotto il fondo corroso. Ciò che oggi colpisce in lei è la naturalezza
con la quale racconta e si racconta. <<<<<<durante la prima
campagna elettorale di Barack, nel 2008, gli chiarì che avrebbe dedicato tre
giorni a settimana a lui, a discorsi, comizi, bambini accarezzati e comparsate
mano nella mano, ma per gli altri quattro nessuno avrebbe dovuto disturbare il
tempo dedicato alle figlie e a se stessa. Nella visita ufficiale in Gran
Bretagna, dopo la cena ufficiale con la regina a Buckingham Palace dove la
cucina è notoriamente avara e mediocre, rimasta sola con ol marito nella suite
d’onore fu colta da un’improvvisa voglia di patate fritte. Come due ragazzini, gli
Obama decisero di mettere alla prova il servizio reale e le chiesero al
valletto di turno, prontamente arrivarono. “Buonissime”, riconosce. Ma tra i
ricordi e racconti della signora che servì la nazione nel ruolo, per lei
asfissiante, di First Lady, mi ha colpito la sua paura all’inizio della vita
pubblica, negli incontri internazionali. Per istruita e intelligente che fosse,
Michelle, era pur sempre una quarantenne afroamericana cresciuta fra università
e studi legali a Chicago, senza molte esperienze in più. Era spaventata,
intimidita, paralizzata dal timore di fare gaffe che mettessero in imbarazzo il
marito e gli Stati Uniti davanti ai potenti della Terra. Ma dopo averli
conosciuti da vicino, in palazzi sontuosi in tutto il mondo, Michelle Obama si
è resa conto che la maggior parte di loro erano ometti, personaggi tronfi e
vuoti dietro la prosopopea del potere, equivalenti politici del Mago di Oz.
“Tutto qui?”, si è domandata spesso, alla fine di strazianti banchetti
ufficiali. “Avevo paura di sfigurare accanto a questo qu?”. È uscita da queste
esperienze non soltanto più sicura di sé come First Lady, ma come donna, perché
per quanto carica di titoli fosse, nel fondo c’era l’insopprimibile sospetto
femminile che i maschi avessero qualche dote superiore, qualche talento
irraggiungibile, che spiegava perché quasi tutti i potenti che incontrava
fossero uomini. Tutto questo Michelle racconta senza superbia, senza
artificiosità, con naturalezza, per ora, senza ambizione recondita, a
differenza di un’altra celebre ex First Lady, che riusciva a non sembrare
sincera anche quando lo era. Non so dire se mai la signora Michelle Robinson in
Obama sceglierà di provare le cupe emozioni della politica, ma se lo farà, io
le darò il mio voto. Chi osa mangiare patatine a Buckingham Palace a
mezzanotte, merita di essere eletta.
Vittorio Zucconi – Opinioni
– Donna di La Repubblica – 21 aprile 2018 -
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