Sono Una Ragazza di 17 anni italiana, papà tunisino, mamma marocchina. Le scrivo perché
sono stanca di essere etichettata come terrorista solo perché sono musulmana.
Ultimamente non si fa altro che parlare degli atti terroristici dell’Isis che,
in nome di Allah, terrorizza il mondo e mette in cattiva luce l’Islam e i suoi
praticanti. So che è un argomento difficile da discutere e che ci vuole davvero
coraggio per parlarne, ma ormai sono stufa di sentire sempre le solite battute.
Per questi atti di bullismo verso la mia religione e verso di me sono stata
ricoverata più di una settimana all’ospedale Sant’Anna. La dottoressa…..la
dottoressa….e il dottor……ne sono testimoni poiché hanno seguito il mio caso. E
tutto questo solo perché sono una praticante della religione islamica. Siamo
nel 21esimo secolo e continuiamo a credere a stupidi stereotipi diffusi dai
social network e dai media, invece di fare ricerche e di leggere onde evitare
di rimanere nel terrore dell’ignoranza e giudicare le persone solo perché
praticanti di una religione che tutti credono sia la distruzione dell’umanità e
l’artefice di tutti gli atti terroristici, quando invece è solo una religione
il cui obbiettivo è diffondere rispetto reciproco, amore e supporto verso il
prossimo. Lo insegna il Corano con il suo saluto assalamo alaikom che ormai tutti più o meno conoscono e il cui
significato è “che la pace di Dio sia su di voi”. Ditemi come una religione,
che già nel saluto nomina la pace, possa essere una minaccia? Lettera firmata
Ricominciamo dai medici che all'ospedale l’hanno curata, di
cui tralascio i nomi per evitare che vengano identificati senza una loro
esplicita autorizzazione. Non so a quale religione appartengano, ma il loro intervento
prescindeva dal loro credo e si atteneva unicamente al giuramento ippocratico
che prevede che si curi chiunque ne abbia bisogno. Vede come è vantaggioso,
tante volte, comportarsi a prescindere da qualsiasi religione di appartenenza.
Detto questo, la religione per alcuni è una componente importante della propria
identità, soprattutto se si vive in una nazione dove la maggior parte della
popolazione appartiene a una cultura religiosa diversa. Nel suo caso, chi la
assimila ai terroristi proviene da quella fascia di popolazione che vive di
stereotipi e pregiudizi che non possono essere giustificati o condonati
adducendo lo scarso livello d’iscrizione. Ma, prima che si traducano in atti
violenti, detti pregiudizi vanno perseguiti, perché pericolosi non solo per chi
appartiene a na religione diversa (non dimentichiamoci le persecuzioni ebraiche
del secolo scorso), ma anche per i senza tetto, per i poveracci che dormono
sulle panchine o nei ripari delle stazioni ferroviarie, e per tutte quelle
vittime che tali sono o diventano unicamente per il fatto che non li sentiamo
simili a noi, o perché, ed è ancor peggio, come denuncia la lettrice Loretta
Ward (lorettaworld@gmail.com) , “pensiamo che gli altri devono
assomigliarci se vogliamo stargli vicino”. Se guardiamo la storia non possiamo
evitare di constatare che le guerre più violente e sanguinose sono quelle che
si caricano di una valenza religiosa che espande senza misura il potenziale
distruttivo. E questo perché il conflitto, che magari nasce per la difesa degli
opposti interessi dei belligeranti, non appena si carica di sacralità,
coinvolge l’identità. L’appartenenza, la cultura, la fede dei contendenti e
tutte quelle figure irrinunciabili che, quando entrano in gioco, per il loro
carattere assolutamente tipico di ogni religione monoteista, non concepiscono
altre soluzioni che non siano l’annientamento dell’avversario o la propria
morte. Per questo noi occidentali, dopo secoli di cristianesimo, siamo approdati
all’illuminismo, che ha messo in primo piano l’uso della ragione la quale,
anche se talvolta è più cinica della misericordia religiosa, ha almeno il prego
di prescindere da quegli sfondi simbolici che ospitano tutte quelle dimensioni
irrazionali in cui si radica l’identità di un individuo, di un popolo, di una
cultura, di una razza, di una fede. Sia il Corano sia la Bibbia, sia il Vangelo
parlano di pace, anche se le loro parole parlano d pace, anche se le loro
parole non sono né convincenti né credibili, perché i fedeli di queste
religioni di guerre non ne hanno risparmiate, per cui lei non convincerà
nessuno citando le parole pacifiste del Corano. Quel che le consiglio, se mai
posso addentrarmi in quell’abisso infuocato che è la sua fede, è di affiancare al
suo credo religioso un atteggiamento illuminista, che a lei consentirà di
praticare il suo credo senza il dogmatismo che preclude il dialogo, e ai suoi
detrattori di mostrare che lei dispone di quel tratto di ragionevolezza che a
loro manca, dal momento che per discutere non sanno usare le parole, ma solo i
gesti, e per giunta, come nel suo caso, gesti violenti.
umbertogalimbert@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 31 marzo
2018 -
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