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sabato 28 aprile 2018

Lo Sapevate Che: La Prima domanda quando nasce un amore!...


Intorno Ai Vent’Anni ebbi un amore breve e bruciante. Ci conoscemmo a Napoli a Capodanno, guardando i fuochi d’artificio sul mare durante una festa da amici. Quando scoccò la mezzanotte e si scatenò l’inferno dei botti, ci ritrovammo improvvisamente avvinghiati l’uno all’altra come naufraghi. Quando la nebbia dei petardi e dei razzi si diradò e le nostre coscienze perdute rinsavirono, osservai con maggiore attenzione lo sconosciuto che avevo accanto e lo scoprii bellissimo. Forse a conquistarmi furono proprio la sua grazia eterea, i suoi tratti aristocratici, il suo incarnare la mia idea di Tadzio, il sublime adolescente di Marte a Venezia. Forse invece mi sedussero i suoi lunghi silenzi perché nel non detto si può intuire la meraviglia o il nulla, a seconda della predisposizione d’animo. Restammo insieme alcuni mesi, uniti da un rapporto a distanza che io vivevo macerandomi nello struggimento e lui restando fedele al suo criptico e incantevole mutismo interrotto solo da qualche vecchia canzone della tradizione classica napoletana che interpretava solo per me durante i viaggi in macchina. Mi lasciò un giorno di primavera, con una signorile comunicazione telefonica che liberò lui e devastò me. “È finta”. “Perché?”. “Mi annoio”, rispose laconico. Pensai a tutti i suoi vuoti che mi ero sentita in dovere di riempire con sproloqui, storielle e numeri di arte varia che intrattenessero un amore taciturno. Pensai all’impegno e agli sforzi profusi ottenni e la misura del mio fallimento. Non solo non ero stata in grado di divertirlo ma lo avevo annoiato. Significava che ero un essere noioso? Niente mi agghiacciava di più ditale eventualità. Piansi tutte le mie lacrime non so dirvi se per lui o per le sue rare ma impietose parole. Poi la vita continuò e di lui volli conservare il ricordo di una bellezza commovente e cancellare il tedio. Eppure certi tarli mettono radici invisibili che ci inchiodano ai nostri fantasmi senza alcun preavviso. Ero immersa nella seconda stagione di The Crown, la splendida serie televisiva di Netflix sul regno di Elisabetta II, quando il conturbante e dissoluto fotografo Antony Armstrong-Jones si decide a chiedere la mano della trasgressiva Margaret, sorella della regina. E in uno dei dialoghi più sensuali e appassionati della serie, “Promettimi una cosa”, dice lui. “Non annoiarmi”. “Ora promettine una tu: non farmi soffrire”, risponde lei, povera illusa. Perché un uomo che da te si aspetta intrattenimento, distrazione, giochi pirotecnici ti condanna all’ansia da prestazione, al cronico tetrore di non essere abbastanza, a un’inevitabile mancanza, all’infelicità. Non stupisce che quei due si siano traditi, tormentati, lasciati. Per questo dopo il breve e sofferto amore con il mio Tadzio, mi sono sempre tenuta alla larga dall’inquietudine taciturna e tenebrosa. Purtroppo gli amori grandi e duraturi non prevedono foglietti di istruzioni o manuali d’uso. Il gioco delle promesse rischia di essere l’anticamera dei malintesi e un buon viatico per la reciproca delusione. Mi domando allora quale sia il giusto interrogativo da porsi per intuire il futuro di una relazione e le sue chance di successo. E mi torna in mente la domanda che rivolgeva mio suocero ai suoi figli adolescenti e non solo ogni volta che incontravano un nuovo amore. Era un quesito semplice, disarmante e quasi comico nel suo candore. Veniva accolto con risatine nervose, sorniona condiscendenza. “Avete valori comuni?” domandava puntuale con il rispetto e l’interesse di chi prende le cose sul serio. Forse ha ragione lui. È l’unico interrogativo sensato. Una delle poche condizioni in grado di scongiurare la noia.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 21 aprile 2018 -

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