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mercoledì 18 aprile 2018

Lo Sapevate Che: Così Stendhal inventò Parma...


Passo spesso in rue de Caumartin, è nel Nono arrondissement parigino, vicino a casa. Al numero nove, centottanta anni fa, nel 1838, Stendhal scrisse, o dettò in cinquantatré giorni, “La Certosa di Parma”. Pubblicato l’anno dopo il romanzo non ebbe subito il successo riservatogli poi dalla storia della letteratura. Raccolse comunque più consensi dei precedenti romanzi stendhaliani che ne ricevettero in verità assai pochi, e dovettero aspettare alcuni decenni per essere apprezzata. La Certosa poté contare per il suo lancio su una critica entusiasta di ben settantadue pagine di Balzac. In una lettera all’autore Balzac lo rimproverò tuttavia per avere indicato la località della sua Certosa. Lui avrebbe preferito un titolo asciutto: La Certosa. Non che giudicasse Parma indegna o inadatta, ma pensava che fosse meglio non imporre un luogo preciso. La Certosa doveva essere immaginata in un’Italia dove il lettore poteva far correre la fantasia. In realtà, allora, a Parma non c’era neanche una Certosa. Quando passo in rue de Caumartin, in questi mesi celebro da solo, col pensiero, il centottantesimo compleanno del romanzo che ha impegnato la mia immaginazione di adolescente a Parma. E che ha in parte ispirato il mio comportamento d’allora, non sempre nel buon senso. Le fughe di Fabrizio non erano da imitare nella realtà. Adesso, passando in rue de Caumartin mi capita di immaginare la stanza in cui Stendhal si isolò per quasi due mesi, dicendo ad amici e conoscenti che “andava a caccia”. È quel che si racconta in alcune biografie, Stendhal non avrebbe scritto di suo pugno il romanzo ma l’avrebbe dettato a una segretaria. Nella sua Parma la piccola corte del principe Ranuccio Ernesto IV è una trasfigurazione   romanzesca dell’Italia della Restaurazione sulla quale si sovrappone la trama di una vicenda rinascimentale, simile a quelle che Stendhal cercava nelle biblioteche che per le sue “Cronache italiane”. La trama della Certosa si ispira in più punti alla vita di Alessandro Farnese, che prima di diventare papa Paolo III nella sua gioventù libertina finì prigioniero a Castel Sant’Angelo, che nel romanzo diventa probabilmente l’inesistente Certosa di Parma. La Parma di Stendhal è inoltre storicamente identificabile come Modena. La Questione non è più dibattuta. Farebbe sorridere sollevarla adesso. Mi spinge a scriverne la necessità, più che il desiderio, di difendere la visione giovanile della mia città che passava attraverso il filtro della Parma apocrifa di Stendhal. Da ragazzo, dopo la lettura di Stendhal, la mia città era animata da Fabrizio, dalla Sanseverina, da Clelia, dal conte Mosca. Pensavo che l’attuale Cittadella fosse la Certosa dove un tempo c’era la torre in cui era rinchiuso Fabrizio; sempre là doveva esserci la finestra che inquadrava il volto di Clelia; il vecchio tribunale era per me la dimora ufficiale del conte Mosca; riconoscevo in una chiesa sconsacrata e sempre chiusa quella in cui Fabrizio diventato monsignore predicava la quaresima: e in tanti palazzi immaginavo la Sanseverina che si muoveva sensuale, generosa e intrigante. Stendhal aveva frequentato poco la città che aveva popolato per me di fantasmi: durante i rapidi passaggi ammirava soprattutto il Correggio (la cui pittura poteva essere affiancata alla musica di Cimarosa e alla poesia, al teatro di Shakespeare) e poi andava a trovare gli amici nelle belle ville posate sulle colline sulla vicina provincia reggiana. Il consiglio di Balzac poteva apparire non tanto avventato. Se i miei fantasmi giovanili non sono spariti del tutto lo devo a Luigi Foscolo Benedetto (“La Parma di Stendhal”). Dopo aver ricostruito la genesi del romanzo Benedetto scrive nel suo capolavoro: “Parma aveva tra l’altro, il gran pregio di non essergli, come città materiale, notissima. Conosceva di essa quel tanto che gli bastava per soggiornarvi volentieri colla fantasia…Ma non era quella città, né per lui né per il pubblico che avrebbe letto il suo libro, una realtà così nota da intralciare e vincolare il suo estro. Quella scelta gli permetteva di mescolare tra loro liberamente il reale e il fantastico. Era quella, come già sappiamo, una delle sue condizioni per creare con gioia”. Così ho celebrato i centottanta anni della Certosa di Parma.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 15 aprile 2018

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