A mio
padre piaceva molto leggermi poesie. Cominciò che io ero poco più di un bambino e lo fece di nuovo
quando ero praticamente entrato nell’adolescenza. Naturalmente il contenuto
delle poesie lette al bambino non era quello di quando avevo già 13, 14 anni.
Mi leggeva poesie di Pascoli, di Gozzano, di Carducci. Dante lo disinteressava
perché alla mia età alla scuola media leggeva i canti della Divina Commedia
quasi tutte le settimane e la stessa cosa avveniva con Petrarca. Perciò quelli
di mio padre erano poeti che a scuola sarebbero stati appena sfiorati. Lui li
approfondiva e li discuteva con me. Debbo dire che s concentrava molto su
D’Annunzio e la ragione è molto comprensibile: era stato legionario fiumano, a
Fiume con D’Annunzio per un anno e mezzo ed aveva tessuto con lui un rapporto
personale con lettere scambievoli e libri dannunziani a lui dedicati. Scusate
questa citazione molto personale, ma è proprio attraverso la poesia che voglio
affrontare un personaggio storico decisivo per le conseguenze che produsse in
Europa e per quello che ancora oggi può significare per il nostro continente:
Napoleone Bonaparte. Come
ho detto sappiamo tutto di lui, la storia l’ha esaminato da tutti i punti di vista: quello
politico, quello miliare, la gloria, le vittorie, le sconfitte. Insomma la
guerra perché quella fu la sua materia prima. La guerra dà gloria e potere
finché vinci, ti trascina nella polvere quando perdi, ma comunque ti assegna
oggettivamente una funzione che tu stesso non percepisci. Napoleone fu questo,
non aveva tempo a pensare il suo pensiero ma soltanto per mobilitare il popolo
francese in nome suo proprio e della Rivoluzione che l’aveva preceduto e gli
aveva consentito di proseguirla e portarla nell’Europa tuttora dominata dai
poteri assoluti delle varie sovranità. Con questa motivazione mio padre
sosteneva un aspetto secondo lui molto importante: la guerra imperiale non può
essere considerata soltanto una sorta di dittatura che avrebbe difatti
cancellato i risultati di una rivoluzione che ha cambiato la storia. Napoleone
voleva il potere, quale ne fosse il risultato storico. La Rivoluzione francese
sarebbe in realtà diventata la nascita di un potere democratico e cioè compreso
e condiviso dal popolo sovrano. Questa avrebbe dovuto essere la funzione delle
guerre e della ricerca del potere proprio di tipo napoleonico. Il fatto che lui
non ne fosse consapevole è un’ipotesi ma a mio avviso non è di grande
importanza perché la funzione storico di quei quindici anni e anche più dopo
l’esilio all’isola d’Elba, modificarono la storia del mondo intero e
dell’Europa in particolare. Era proprio questa la sostanza (e i risultati)
dell’impero napoleonico, del quale la vera origine è la rivoluzione che stava
alle sue spalle e della quale, nonostante la sua finale e totale sconfitta,
continuò l’opera di trasformazione politica per molti anni, praticamente per
gran parte dell’Ottocento, dando origine anche al nostro Risorgimento. Tra le
varie poesie infatti mio padre mi fece anche conoscere “Il cinque maggio” di
Alessandro Manzoni, il quale contiene una frase rimasta celebre dopo aver
annunciato la morte di Napoleone all’isola di Sant’Elena: “Fu vera gloria? Ai
posteri l’ardua sentenza”. I
giovani d’oggi immagino che non conoscano le poesie del “ça ira”: non le
conoscevo neppure io e parliamo nel mio caso di ottant’anni fa. È una delle più
belle opere di Carducci di cui vi citerò soltanto qualche brano affinché a voi,
giovani d’oggi, venga la voglia di leggerla tutta.
“Lieto su i colli di Borgogna splende
e in val di Marna a le vendemmie il sole:
il riposato suol piccardo attende
l’aratro che l’inviti a nuova prole
Ma il falcetto su l’uve iroso scende
Come una scure, e par che sangue còle”
“Son de la terra faticosa i figli
Che armati salgon le ideali cime
Gli azzurri cavalier bianchi e vermigli
Che dal suolo plebeo la Patria esprime.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato –
L’Espresso – 8 aprile 2018 -
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