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venerdì 13 aprile 2018

Lo Sapevate Che: Crescere un cultore della perfezione...


Quando Seppi Di essere incinta per la terza volta mi rivolsi alla bizzarra creatura di quasi tre anni che ancora per qualche mese sarebbe rimasta il piccolo di casa. Avevo letto che i figli di mezzo sono tutti un po' pazzi, schiacciati come dentro un panino, tra un maggiore indimenticabile primo amore e vittima della primogenitura, e un minore, necessariamente innocente, inevitabilmente più tenero e più astuto. La situazione, e con essa la follia, si aggrava ulteriormente – riferivano le mie fonti – nel caso in cui il mediano o la mediana non godono eppure della differenza di genere rispetto agli altri due, poiché in tal caso occorrono strategie ancor più elaborate e diaboliche per evitare di sbiadire nell’omogeneità del trio. “Nella mia pancia c’è un bambino minuscolo”, gli dissi. “Anche nella mia”, rispose lui, consapevole dell’importanza storica del momento. “Anzi, nella mia ci sono due gemelle, Martina e Benedetta”, precisò con la sicumera della maturità e con la superiorità della propria percezione armonica, demografica e familiare. Delle gemelle si persero le tracce non appena l’astrazione fraterna si fece carne, ossa e pannolini. “Io sono il più medio del mondo”, decretò sublimando l’insidia dell’opacità di un superlativo assoluto. Condannato all’asimmetria, mio figlio di mezzo ha affinato il suo sguardo sghembo. Non si cura dei suoi ricci pazzi e dell’altrui giudizio. “Un letto sfatto”, lo ha definito acutamente un’amica, sintetizzando l’anarchia estetica e s esistenziale. Eppure, nei suoi quasi 12anni di vita di mezzo ha sviluppato una visione rigorosa ed esatta di come il mondo dovrebbe muoversi. Lui maestro di pensieri curvi, non tollera le linee divergenti, gli squilibri cromatici, i passi storti, le deviazioni gratuite, i cerchi che non si chiudono. Non è facile essere figli di mezzo e avere il mal di pancia di fronte al caos. Finché non ci si riconosce nel volto, nelle parole, nei passi di qualcuno. E finalmente anche allo specchio. L’altra sera stavamo guardano tutti insieme, ammassati sul divano, Assassinio sull’Orient Express nella recente versione di Kenneth Branagh. Ho vito mio figlio accendersi di fronte a un Hercule Poirot che misura con un righello due uova alla coque e mostra tutto il suo disappunto di fronte all’asimmetria della natura. “Genio”, ha sussurrato tra i denti il più medio del mondo. Il suo entusiasmo si è fatto idolatria quando il baffuto detective spiega qual è il superpotere che gli consente di svelare ciò che ai più è oscuro. “Ho un vantaggio”, spiega Poirot, “posso vedere il mondo solo come dovrebbe essere, così le imperfezioni saltano all’occhio”. “Ecco! Anche per me è così! Per questo a volte la nostra vita – mia e di Poirot – diventa un inferno: quelli come noi sanno come dovrebbero funzionare le cose, e siccome non funzionano quasi mai, soffrono tantissimo”, ha detto mio figlio con l’estasi di un illuminato. C’è chi gli squilibri riesce a ignorarli, chi si accomoda nell’asimmetria, facendola propia, chi semplicemente non guarda e procede sereno, E poi ci sono i figli di mezzo, le teste pazze, gli Hercule Poirot, i conoscitori dell’armonia, delle regole superiori, della vertigine, della perfezione che quotidianamente si affacciano loro malgrado su baratri che noialtri sciatti, incuranti, faciloni, saltiamo a piè pari. Loro, per difesa, per distinguersi, per talento o maledizione hanno affinato lo sguardo e vedono la strada giusta e tutti i passi falsi. Occorre ascoltarli, perché spesso è nei loro capelli pazzi che si annida la verità, ma occorre anche prenderli per mano e insegnare loro che la bellezza può risiedere nei bianchi, nei neri ma anche e forse soprattutto nei nostri confusi grigi.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 7 aprile 2018

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