Si Parla Sempre più spesso di cambiamenti climatici, inquinamento del pianeta, scarsità
delle risorse, sfruttamento del suolo, ondate migratorie, oceani depauperati,
cementificazione selvaggia, deforestazione, estinzione di migliaia di specie
animali e vegetali. Ma cosa hanno in comune tutti questi disastri planetari?
Qual è la madre di tutti i problemi? L’esplosione della popolazione umana sul
pianeta, che dalla ricoluzione industriale in poi è aumentata con crescite esponenziali.
Abbiamo impiegato decine di migliaia di anni per arrivare a un miliardo nel
1840, 2,5 miliardi nel 1950. Ora siamo circa 7,5 miliardi. Triplicati in meno
di settant’anni. Come è possibile pensare di continuare a crescere in questo
modo? Kenneth Boulding affermava: “Chi crede che una crescita esponenziale
possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo oppure un economista”.
Nel silenzio assordante dei poteri forti, si è levata la voce di papa
Francesco: “Essere cattolici non significa dare figli come conigli”, ha detto
nel gennaio 2015 di ritorno dalle Filippine. Pianeta Terra e homo sapiens:
posti solo in piedi? E per quanto?
Adriano Di Saverio
La Storia Non ha mai conosciuto il problema della
sovrappopolazione, per la semplice ragione che guerre, pestilenze, carestie,
morti infantili, aborti spontanei o provocati e scarsa longevità fungevano da
regolatori nel rapporto tra la popolazione e le risorse per la sussistenza. Le
cifre che ci segnala il lettore, e che a mia volta ho verificato, ci dicono che
la sovrappopolazione è un problema che è venuto imponendosi negli ultimi
settant’anni. E siccome la nostra psiche è lenta, non l’abbiamo ancora
interiorizzato. Questa è la ragione per cui le norme di panificazione e
controllo delle nascite che si potrebbero adottare, dalle campagne mediatiche
d’informazione ai contraccettivi a basso costo, senza escludere interventi di
sterilizzazione, non hanno alcun effetto, perché funzionano solo quelle regole,
quelle norme, quelle raccomandazioni che, col tempo, sono state interiorizzate
dalla psiche collettiva. Alla sovrappopolazione hanno contribuito: 1) nei Paesi
sovrasviluppati la medicina che ha prolungato la vita (meglio sarebbe dire: la
vecchiaia) oltre la misura programmata dalla natura; 2) nei Paesi sottosviluppati
la povertà, perché dove non esiste previdenza e stato sociale l’unica garanzia
per chi invecchia è avere fatto nella vita molti figli: alcuni moriranno nelle
guerre intestine, altri nel Mediterraneo, qualcuno ce a farà a migrare e ad
aiutare il resto della famiglia rimasta in patria; 3) sia nei Paesi
sovrasviluppati che in quelli sottosviluppati a garantire le risorse necessarie
per l’alimentazione della popolazione provvede la tecnica, che ormai è
intervenuta pesantemente nella gestione dell’agricoltura, della pesca, nel
trasporto delle risorse energetiche e alimentari, col risvolto negativo
relativo all’inquinamento del suolo, dell’aria e dell’acqua. Seguendo la
tradizione giudaico-cristiana che aveva posto l’umo al vertice del creato, Kant
scriveva che “L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo”.
Affermazione condivisibile e anche raccomandabile, soprattutto oggi quando i
migranti, pur essendo uomini, non sono trattati come un fine, ma al massimo
come un mezzo per fare profitto. Se non
che, all’epoca di Kant la popolazione mondiale era meno di un miliardo e ancora
non aveva fatto la sua comparsa la rivoluzione industriale, per cui non era
necessario occuparsi delle condizioni della terra, dell’aria e dell’acqua. Ma
oggi che la popolazione ha superato i sette miliardi e mezzo è ancora possibile
trattare come “mezzi£ la terra, l’aria, l’acqua e quanto serve per garantire le
risorse necessarie al mantenimento dell’intera popolazione mondiale, oppure
anche la terra, anche l’aria, anche l’acqua non sono più da considerare
semplici “mezzi”, ma a loro volta “fini” da salvaguardare, senza i quali l’uomo
non ha di che sopravvivere? Abbiamo un’etica che si faccia carico degli enti di
natura? No! Perché tutte le etiche che sono state formulate in Occidente si
sono limitate a regolare i conflitti fra gli uomini senza preoccuparsi degli
enti della natura. E la cosa non è di facile attuazione, o addirittura è
impossibile, se prima non si abbandona la mentalità giudaico-cristiana che pone
l’uomo al vertice del creato, e non si ritorna alla concezione greca secondo la
quale, come scrive Platone nelle Leggi (90 3c): “Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre
il suo minimo rapporto con il cosmo e un orientamento ad esso, anche se non
sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice
condizione dell’universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma
tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica”.
Umbertogalimberti@repubblica.t – Donna di La Repubblica – 7 aprile 2018
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