Sto Partendo Per un viaggio in un’importane nazione islamica.
Non posso dire quale, per ragioni che poi capirete, fino a quando non sarò
tornato a casa. In questa occasione, come già altre volte, benedico di essere newyorchese.
Poche città ti offrono così tanto materiale, umano e culturale, per preparati a
un viaggio in terre lontane. Musei e centri culturali, quindi università, think
tank con i migliori studiosi, comunità etniche di immigranti da tutto il
pianeta. Perfino dal punto di vista gastronomico o musicale qui trovi un
riassunto di tutti i paesi, puoi allenarti e assuefarti in anticipo. E mia
moglie ha trovato, da Uniplo sulla Quinta Avenue, di che indossare per
rispettare i codici di abbigliamento più rigorosi della nostra destinazione
islamica. New York non ti delude mai: è il centro del mondo e quindi studia il
resto del mondo, lo osserva, ne custodisce reperti e tradizioni. Per il mio
viaggio ho potuto, per esempio, passare ore nell’ala del Metropolitan Museum
dedicata al Medo Oriente: non teme confronti col British Museum o il Louvre. È,
già quella, un’immersione completa nella storia e nella civiltà del paese che
sto per visitare. Poi avevo l’imbarazzo della scelta: dell’Asia Society al
Council on Fereign Relations, una serie di conferenze, incontri con studiosi o
con leader politici, di passaggio qui perché impegnati alle Nazioni Unite. Mi è
servito molto l’incontro con un esperto di origine giordana, Safwan Masri, che
insegna alla Columbia University. Alla Foreign Policy Assciation, di cui sono
membro, il professor Masri è venuto a presentare il suo libro Tunisia – Am Arab Anomaly (Columbia
University Press). Parlando dell’eccezione tunisina ha fatto un’analisi molto
più generale, che include il paese verso il quale sono diretto. Il tema
affrontato da Masri, con le sue vaste conoscenze e una rara lucidità, è uno dei
grandi interrogativi del nostro tempo: cosa ostacola la diffusione della
libertà e della democrazia, il rispetto dei diritti umani, in tanti paesi
islamici? Masri ha voluto dedicare un’attenzione speciale alla Tunisia per una
ragione evidente: di tutti i paesi dove fiorirono le “primavere arabe” a
partire dal 2011, è l’unico che finora ha vinto la scommessa, almeno in pare.
In tutti gli altri casi – a cominciare dall’Egitto che fu l’altro principale
focolai – le speranze si sono spente, ben presto quella che sembrava una stagione
di nuove conquiste e di diritti si è rovesciata nell’esatto contrario, con la
vittoria di forze fondamentaliste o la reazione di dittature feroci (nel caso
egiziano, prima l’una e poi l’altra: da Fratelli Musulmani al golpe militare di
al-Sisi). La risposta di Masri, partendo dall’eccezione tunisina, è piena di
insegnamenti interessanti. Anzitutto c’è un’identità nazionale antichissima:
quelli che oggi chiamiamo tunisini sono discendenti dei cartaginesi, c’è un
senso di continuità storica che manca in altre zone del Medio Oriente, dove i
confini furono tracciati arbitrariamente dalle potenze coloniali e oggi
riemergono rivalità tribali laceranti. C’è il fatto che la Tunisia fin dal 1800
si diede una Costituzione liberale che guardava alla cultura francese. E anche
quando fu governata da autocrati come Bourguiba e Ben Alì, seppe tenere a bada
il fondamentalismo islamico. È il primo e finora l’unico paese arabo,
sottolinea Masri, ad avere messo fuori legge la poligamia. Volle fin dagli anni
’60 il bilinguismo a scuola, con il francese insegnato insieme all’arabo.
Investì nell’istruzione delle donne. Bisogna augurarsi che l’esperimento
tunisino continui, che non sia interrotto da tragedie. I jihadisti ci hanno
provato, a ucciderlo. Ma una lezione resterà valida: per avanzare verso i
diritti umani e le libertà, bisogna puntare sulla scuola, bisogna dare più
potere alle donne, e meno agli imam.
Federico
Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 21 aprile 2018 -
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