Non So Se Vi rendete conto.
Un’auto senza guidatore, di quelle che si pilotano da sole, ha ucciso una
donna. Ma certo che vi rendete conto. La notizia ha fatto centomila volte il
giro del mondo, dilagando sui siti dei giornali e sui social media. “19 marzo
2018, un’auto Uber senza guidatore ha investito e ucciso una pedona in
Arizona”. La donna camminava in mezzo alla strada anziché sul marciapiede, e
non era sulle strisce pedonali. Il fatto che il prototipo di auto senza
guidatore non l’abbia avvistata, che non sia scattato il freno, rimane
misterioso. Comunque probabilmente conoscete già i dettagli, vista l’enorme
risonanza della tragica notizia. Seguita da un’altra simile: pochi giorni dopo
toccava a una Tesla elettrica, governata dal pilota semiautomatico, finire fuori
strada provocando una vittima. La società Tesla è controllata in Borsa, il suo
rating creditizio è stato declassato, l’allarme è generale. Le due vittime di
questi incidenti meritano il nostro cordoglio, ogni morte è una tragedia. La
stessa attenzione meriterebbero le vittime dei guidatori umani. Nell’ultimo
anno 40.200 persone sono morte per incidenti d’auto. In Italia nello stesso
anno, dati Aci-Istat: 3.383 morti, Bisognerebbe includere un pensiero anche per
chi sopravvive con gravi ferite, invalidità permanenti: il bilancio sale molto.
Ve l’immaginate se l’attenzione dei media – e del pubblico – fosse
proporzionale? Se ogni vola che un pedone viene investito da un’auto il mondo
intero ne venisse a conoscenza all’istante? Forse sarebbe un modo per educarci
a guidare meglio. Perché ne abbiamo un gran bisogno. Ma a giudicare da quel che
sta avvenendo, anche di qualcos’altro: autostima, un po' d’incoraggiamento
nella sfida contro i robot e l’intelligenza artificiale. La smisurata reazione
ai due – dico due – incidenti mortali delle auto che si guidano da sole, la
dice lunga sul complesso d’inferiorità che sta cominciando ad avvinghiarci.
Abbiamo capito, magari solo a livello inconscio, che come specie noi umani
siamo scadenti. C’è un’alternativa che avanza inesorabilmente. Ci fa una tale
paura che un singolo errore di un robot diventa un caso mondiale, mentre le
nostre povere vite non sono altro che un patetico inciampare da uno sbaglio
all’altro, da quando ci svegliamo a quando spegniamo la luce (e mi sa che anche
i nostri sogni sono pieni di strafalcioni madornali, forse solo un po' più
innocui). Sappiamo che gli aerei cascano sempre meno perché al comando c’è
prevalentemente l’intelligenza artificiale (soft-ware
di pilotaggio), il che ha ridotto molto il ruolo dei comandanti: categoria
prestigiosa come poche. Il medico di famiglia che milioni di americani
consultano, ormai si chiama Google: chi ha sintomi prima usa il motore di
ricerca per l’autodiagnosi, poi su quella base passa direttamente
all’appuntamento con lo specialista. Google ha eliminato cos’milioni di ore di
consultazioni dei medici generici. Bloomberg fa scrivere articoli di finanza da
un algoritmo: anche noi giornalisti abbiamo le ore contate, e immagino che
pochi sentiranno la nostra mancanza. I vostri risparmi, dai fondi pensione alle
polizze vita, sono anch’essi in gestione a un algoritmo. Non c’è un solo
mestiere, per quanto qualificato e ad alto contenuto intellettuale, che sia
davvero al riparo. Consiglio a chi vuole andare avanti e saperne di più, il bel
libro appena sfornato dal collega Massimo Gaggi Homo Premium. Come la tecnologia ci divide (Laterzi). Homo qui va
inteso come specie. I robot non hanno sesso, o non fanno sesso. Non ancora.
Novità imminenti anche su questo fronte.
Federico Rampini
– Opinioni – Donna di La Repubblica – 14 aprile 2018 –
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