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domenica 15 luglio 2012

Lo Sapevate Che: "Senti Mamma, Come Si Fanno I Bambini?"


Non me l’aspettavo, la domanda.
Così ho deciso di essere esaurente e precisa….
 
Eravamo in macchina, stavamo tornando a casa dalla piscina. Loro fanno il corso di nuoto, io li aspetto fuori. Da questo rito settimanale, per motivi oscuri, io esco stremata e grondante, loro euforici e galvanizzati. Io guidavo e loro, i miei due figli maggiori, di nove e sei anni, erano seduti dietro, capelli come un casco di banana e occhi enormi da civetta. Regnava un insolito silenzio, il silenzio che precede il balzo del leone sulla gazzella, la caduta di un vaso sulla testa, le domande inattese.
“Mamma, ma i bambini…..”. Ecco, no non sono pronta. Non ora che devo fare una doccia, telefonare a vostro padre che quando serve è altrove, guardare su internet che ha sempre una risposta, riflettere e trovare le parole in un cassetto o nella libreria. Non adesso, grazie.
“Sì?”. “I bambini…come si fanno?”. “Bè, quando un papà e una mamma si vogliono molto bene….”. “No, mamma, questa storia la sappiamo. Noi vogliamo sapere esattamente come si fanno”. “Esattamente…”. “Praticamente, cosa succede”.
Loro chiedono perché sono nati per farlo, chiedono senza pudori perché i tabù sono faccende da grandi, chiedono per avere risposte dirette ed esaustive, chiedono a noi, che siamo gli adulti, messi lì per trasformare i loro punti di domanda in punti fermi.
Non ero pronta e, nel timore di inventarmi idiozie, ho detto loro esattamente e praticamente come si fanno i bambini perché la verità, al semaforo, tra un clacson e il borsone della piscina, mi è sembrata la strada più semplice e pulita.
“Vuoi dire che tu e papà avete fatto quelle cose lì? Per tre volte? Una per ognuno di noi?”, “Vuoi dire che se da grande corrò un figlio, dovrò fare così anche io?”. “ Che schifo”. Incredulità , ribrezzo, silenzio assoluto, rielaborazione, consapevolezza”Sei una pazza scriteriata”, ha commentato mio marito, l’economista marxista barese che lavora lontano e possiede un raffinato talento censorio. Sosteneva che ci vogliono  tatto, sensibilità e attenzione. Sosteneva che a me fossero mancati tutti e tre. Sosteneva che io avessi sbagliato tutto.
Rifletto spesso. No, non solo sui miei errori genitoriali, ineliminabile cruccio solo parzialmente alleviato da sottostanti e indiscusse buona fede e buona volontà, abili insufficienti davanti a un giudice, invisibili agli occhi della prole.
“Perché il nonno fumava anche se fa male? E perché i dottori non sono stati capaci di curarlo?”. “Perché i genitori di Mario vivono in case diverse?”. “Perché i grandi possono piangere?”. “Perché avete scelto voi il mio nome e non io? Io volevo chiamarmi Uovo”: “Perché ridi?”. “Perché hai paura?”. “Come stanno le femmine senza pisello? Sono tristi?”. “Perché non credete in Dio?”. “Perché chiudete la porta?”: “Perché non sono figlio unico?”. “Hai avuto tanti fidanzati prima di papà?”. “Perché ti trucchi?”. “Perché Lara non aveva le tette e adesso le ha?”.
Non so cosa sia giusto fare, ma credo che sia necessario scegliere una strada e poi seguirla, con coerenza. Non so cosa sia opportuno ma io, la mia strada, l’ho scelta: non apro l’ombrello, sotto la pioggia battente dei loro interrogativi.
Ho scelto la strada del precisamente e praticamente. Perché l’onestà con i figli è onestà con se stessi. Perché una verità, seppur scomoda o cupa, mi mette meno a disagio di una bugia ilare. Perché le parole possono spiegare qualsiasi cosa. Usarle è rispetto verso l’interlocutore, qualsiasi sia la sua età, e fiducia nella sua intelligenza. Perché fare domande è un diritto che va esercitato sin da piccoli. Esattamente come ricevere risposte serie, pratiche e precise.
E poi tanto lo so che, ai loro occhi, quando arriverà il tempo delle demolizioni, avrò comunque sbagliato.

Donna di Repubblica – 30-6-12 – Appunti & divagazioni di una (non solo) mamma di ELASTI.

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