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domenica 9 dicembre 2018

Lo Sapevate Che: Quali sono libri "senza tempo"?


Sono un ragazzo appassionato di storie e mi domando perché, vecchi film o serie tv sono ancora capaci di comunicare nonostante sia passato del tempo. Al punto che potrei guardarli e riguardarli altre centomila volte senza stancarmi, mentre altre stilisticamente eleganti, ben scritte o ben girate, una volta conosciuto il finale non le rivedrei/rileggerei mai, perché quando la trama è nota il gioco è fatto? Queste considerazioni hanno fatto sorgere in me una domanda: cosa rende un’opera di narrazione “senza tempo”? Cos’è che ci appassiona ripetutamente a distanza di anni? Sono forse gli approfondimenti delle dinamiche umane che in molte storie commerciali mancano? Quei movimenti emotivi che non hanno né un principio Né una fine e che magari, sperimentati anni dopo, anziché far invecchiare l’opera contribuiscono a rinforzarla, visto che chi ne fruisce nel frattempo è cresciuto e può aver cambiato la sua visione del mondo? Mi faccia luce sulla questione.
Antonio Barrella  barrellaantonio@gmail.com

Opere “Senza Tempo” sono i classici che così si chiamano perché sanno catturare e metafore di base dell’umanità, a prescindere dalle contingenze e dalle mutevolezze del tempo. La tragedia greca, ad esempio, ha catturato l’essenza del tragico che consiste nel fatto che l’uomo che ‘uomo per vivere ha bisogno di costruire un senso, in vista della morte che è l’implosione di ogni senso. Per questa ragione a Re Mida che chiedeva quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo, il saggio Sileno, interprete del senso tragico dell’esistenza, risponde: “Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”. La tragedia, scrive Nietzsche, non è un genere letterario, ma la cifra della grecità. E Karl Jaspers, di rincalzo, afferma che nessuna opera tragica scritta nell’era cristiana raggiunse l’essenza del tragico, perché nell’era cristiana la simbolica sottesa è che nel futuro ci attende la prospettiva della salvezza. Questo ottimismo pervade tutte le forme culturali dell’Occidente cristiano, dove la scienza guarda al futuro come progresso, la medicina come guarigione, l’utopia come miglioramento delle condizioni di vita. Ed è questo ottimismo che ha consentito al cristianesimo di affermarsi e di cancellare la dimensione tragica dei Greci. Le ho fatto questo esempio per segnalare che “senza tempo” sono quegli scritti che catturano la simbolica sottesa a una cultura che non si esaurisce con lo spirito del tempo, oppure la simbolica che inaugura una cultura e, per tutti i secoli durante i quali quella cultura vive, i libri che ne hanno colto la simbolica non invecchiano mai. Se poi ciò che una cultura esprime non è solo la simbolica in cui può venirsi a trovare la nostra psiche, a cui per esempio non è estranea la figura del tragico, anche se vive all’interno dell’ottimismo cristiano, allora le opere che interpretano magistralmente la dimensione tragica sono eterne, perché eterne sono le figure che dimorano nel sottofondo della nostra psiche, e che hanno bisogno di quelle opere per trovare le parole senza le quali non hanno modo di esprimersi. Come infatti possiamo reggere il dolore e capire che la malattia è l’ultimo effetto della mancanza d’amore, se non siamo mai saliti al sanatorio che Thomas Mann descrive ne La montagna incantata? Come gettare un’occhiata e scoprire qualcosa che passa sotto la soglia della nostra coscienza se non abbiamo mai incontrato Dostoevskij quando, spietatamente e senza infingimenti, scrive le sue Memorie del sottosuolo? Che ne sappiamo della “nausea” se non accostiamo Sartre e non assaporiamo l’atmosfera nauseante del “vischioso”? Che ne sappiamo dello “straniero” e come facciamo a discutere di immigrati, di integrazione e di espulsione, se mai abbiamo sperimentato la condizione di straniero e neppure ci siamo fatti aiutare da uno dei capolavori di Camus? Davvero possiamo capire qualcosa della miseria senza aver mai letto I miserabili di Victor Hugo? Oppure qualcosa della guerra e della pace, per quel tanto di indistinto e indiscernibile queste due parole, apparentemente opposte, significano, se non abbiamo neppure aperto una pagina del capolavoro di Lev Tolstoj? Questi libri sono “senza tempo” perché hanno colto le metafore di base di ogni tempo, che poi coincidono con e trame profonde dove, nelle cantine della nostra anima, scorrono pensieri, sentimenti e sensazioni che, solo grazie a quei libri, trovano le parole giuste per esprimersi.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica - 20 ottobre 2018 -

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