Sono un
ragazzo appassionato di storie e mi domando perché, vecchi film o serie tv sono
ancora capaci di comunicare nonostante sia passato del tempo. Al punto che
potrei guardarli e riguardarli altre centomila volte senza stancarmi, mentre
altre stilisticamente eleganti, ben scritte o ben girate, una volta conosciuto
il finale non le rivedrei/rileggerei mai, perché quando la trama è nota il
gioco è fatto? Queste considerazioni hanno fatto sorgere in me una domanda:
cosa rende un’opera di narrazione “senza tempo”? Cos’è che ci appassiona
ripetutamente a distanza di anni? Sono forse gli approfondimenti delle
dinamiche umane che in molte storie commerciali mancano? Quei movimenti emotivi
che non hanno né un principio Né una fine e che magari, sperimentati anni dopo,
anziché far invecchiare l’opera contribuiscono a rinforzarla, visto che chi ne
fruisce nel frattempo è cresciuto e può aver cambiato la sua visione del mondo?
Mi faccia luce sulla questione.
Opere “Senza
Tempo” sono i classici che così si chiamano perché sanno catturare e metafore di
base dell’umanità, a prescindere dalle contingenze e dalle mutevolezze del
tempo. La tragedia greca, ad esempio, ha catturato l’essenza del tragico che
consiste nel fatto che l’uomo che ‘uomo per vivere ha bisogno di costruire un
senso, in vista della morte che è l’implosione di ogni senso. Per questa
ragione a Re Mida che chiedeva quale fosse la cosa migliore e più desiderabile
per l’uomo, il saggio Sileno, interprete del senso tragico dell’esistenza,
risponde: “Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché
mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è
per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere
niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”. La
tragedia, scrive Nietzsche, non è un genere letterario, ma la cifra della
grecità. E Karl Jaspers, di rincalzo, afferma che nessuna opera tragica scritta
nell’era cristiana raggiunse l’essenza del tragico, perché nell’era cristiana
la simbolica sottesa è che nel futuro ci attende la prospettiva della salvezza.
Questo ottimismo pervade tutte le forme culturali dell’Occidente cristiano,
dove la scienza guarda al futuro come progresso, la medicina come guarigione,
l’utopia come miglioramento delle condizioni di vita. Ed è questo ottimismo che
ha consentito al cristianesimo di affermarsi e di cancellare la dimensione
tragica dei Greci. Le ho fatto questo esempio per segnalare che “senza tempo”
sono quegli scritti che catturano la simbolica sottesa a una cultura che non si
esaurisce con lo spirito del tempo, oppure la simbolica che inaugura una
cultura e, per tutti i secoli durante i quali quella cultura vive, i libri che
ne hanno colto la simbolica non invecchiano mai. Se poi ciò che una cultura
esprime non è solo la simbolica in cui può venirsi a trovare la nostra psiche,
a cui per esempio non è estranea la figura del tragico, anche se vive
all’interno dell’ottimismo cristiano, allora le opere che interpretano
magistralmente la dimensione tragica sono eterne, perché eterne sono le figure
che dimorano nel sottofondo della nostra psiche, e che hanno bisogno di quelle
opere per trovare le parole senza le quali non hanno modo di esprimersi. Come
infatti possiamo reggere il dolore e capire che la malattia è l’ultimo effetto
della mancanza d’amore, se non siamo mai saliti al sanatorio che Thomas Mann
descrive ne La montagna incantata? Come
gettare un’occhiata e scoprire qualcosa che passa sotto la soglia della nostra
coscienza se non abbiamo mai incontrato Dostoevskij quando, spietatamente e
senza infingimenti, scrive le sue Memorie
del sottosuolo? Che ne sappiamo della “nausea” se non accostiamo Sartre e
non assaporiamo l’atmosfera nauseante del “vischioso”? Che ne sappiamo dello
“straniero” e come facciamo a discutere di immigrati, di integrazione e di
espulsione, se mai abbiamo sperimentato la condizione di straniero e neppure ci
siamo fatti aiutare da uno dei capolavori di Camus? Davvero possiamo capire
qualcosa della miseria senza aver mai letto I
miserabili di Victor Hugo? Oppure qualcosa della guerra e della pace, per
quel tanto di indistinto e indiscernibile queste due parole, apparentemente
opposte, significano, se non abbiamo neppure aperto una pagina del capolavoro
di Lev Tolstoj? Questi libri sono “senza tempo” perché hanno colto le metafore
di base di ogni tempo, che poi coincidono con e trame profonde dove, nelle
cantine della nostra anima, scorrono pensieri, sentimenti e sensazioni che,
solo grazie a quei libri, trovano le parole giuste per esprimersi.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di
La Repubblica - 20 ottobre 2018 -
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