Giorno dopo
giorno, imprigionati in nastri di asfalto e metallo, almeno
120 milioni di americani si sottopongono alla tortura quotidiana del commuting, del pendolarismo in auto casa
lavoro. Tutte le promesse del telelavoro, del mestiere o della professione,
svolti da casa attraverso i computer, non si stanno realizzando e i minuti
consumati per andare e tornare aumentano ogni anno. La media nazionale è di
un’ora al giorno, ma tempi di due ore sono comuni. Lo spettacolo involontario
offerto dell’umanità che nelle ore di punta si addensa nei corridoi
autostradali più affollati, attorno a New York, a Los Angeles, a San Francisco,
a Boston, è insieme spaventoso e affascinante. Nell’illusione della solitudine
dentro la propria automobile, i guidatori si abbandonano a follie giustificate
dalla necessità di utilizzare quei minuti e quelle ore sprecate, come
utilizzare telefonini e tablet per mandare e ricevere email o cacciarsi le dita
nel naso credendo di non essere visti. Oggi che sempre più donne affrontano il commuting, la scenetta della signora che
si trucca usando lo specchietto retrovisore o della mamma che tenta di
consolare il neonato imballato nella custodia è frequente quanto il vaso di
caffè sorseggiato dalla partenza all’arrivo. I più coscienziosi utilizzano il
tempo per ascoltare libri, gli audiobook che
stanno aumentando le vendite in proporzione diretta all’allungarsi del
pendolarismo. I più incoscienti guardano serie televisive scaricate in rete nei
tablet poggiati sul volante, traditi dalla luminescenza azzurrina che gli
illumina il viso nel buio. Nell’attesa ancora lunghissima del telelavoro o
della teletrasmissione di oggetti, i tempi del trasferimento quotidiano sono
inesorabilmente destinati ad allungarsi, spinti dai costi delle abitazioni. Il
prezzo medio di un alloggio nelle due città più costose i, New York e San
Francisco, ha superato il milione e mezzo di dollari, e chi forma una famiglia
viene spinto sempre più lontano, alla ricerca di un impossibile rapporto fra
costo e spazio. Per cercare la classica casetta unifamiliare con pezzetto di
giardino, le coppie si allontanavano dai luoghi di lavoro, che restano
concentrati nelle città. Nei sobborghi, ormai chiamati exurbia per la loro lontananza, famiglie organizzano frenetici
circoli di genitori, o spesso nonni, incaricati di portare e andare a prendere
a turno i bambini dalle scuole o dai campi sportivi. Migliaia di piccoli cuori
spezzati attendono invano che papà o mamma si presentino alla loro partita di
pallone o di basket come avevano promesso di fare, senza sapere che sono
incastrati nel traffico a pochi chilometri dall’arrivo. Le conseguenze di
queste ore e giorni – si arriva nel 5 per cento dei commuter a consumare un mese l’anno in auto – sono ben conosciute.
Patologie fisiche come obesità e problemi alla spina dorsale, problemi
psicologici, come depressione, crisi matrimoniali, squilibri mentali nei
bambini, oltre al rischio di ferite o morti implicite nel traffico
automobilistico. 10mila, dei 46mila americani che muoiono sulla strada, muoiono
durante il commuting, soprattutto
nelle ore serali e al venerdì, quando la terra promessa del fine settimana è
più vicina. C’è tutto l’ironico paradosso alla ricerca disperata di più spazio
che costringe a vivere ore rinchiusi dentro scatoline di lamiera per
raggiungerlo.
Vittorio
Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 8 dicembre 2018 -
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