Lo spazzacamino è stato uno dei
protagonisti della modernità: Nel 1845 Giuseppe Verdi gli dedicò una romanza:
“Lo spazzacamin! Son d’aspetto brutto e nero, tingo ognun che mi vien presso”.
Nel 1964 Chim Chim Cher-ee di Mary
Poppins vinse l’oscar per la miglior canzone: “Cam caminì, cam caminì
spazzacamin allegro e felice pensieri non ho…. Scelgo le spazzole proprio a
puntin con una la canna, con l’altra il camin”. Questo prima che il fumo
diventasse cattivo Guardo fuori dalla finestra. Il cielo è terso. È tutto
spento. Le polveri sono così sottili che non si vedono proprio. Quand’ero
bambino, invece, tutto fumava. Le fabbriche, le macchine, gli adulti.
L’universo era avvolto dai gas. I bambini disegnavano le casette con i
comignoli accesi e nelle fiabe – cammina cammina – il fumo annunciava il
miracolo del riscaldamento e del cibo sul fuoco. In Romanzo popolare (Mario Monicelli, 1974) l’operaio Ugo Tognazzi
spiega a Ornella Muti: “La fabbrica si distingue dal fumo, come una bandiera.
Ma lo sai che un lavoratore quando vede il fumo della sua fabbrica è come un
bambino davanti al panettone? Guarda, ci sono i fumi grigi, rossi, verdi. Ecco,
vedi, la mia fabbrica è quella là, a sinistra, quella col fumo giallo, dopo il
gasometro”: A Milano c’era sempre la nebbia. Chissà dov’è andata a finire.
Il fumo era ovunque, in ufficio, al ristorante, nei bar. L’odore – che oggi
sarebbe insopportabile – non era neppure percepito. Fumavano tutti: Humphrey Bogart,
James Dean, Che Guevara, il bruco di Alice. Mio nonno le Alfa, mia nonna le
Stop, mio padre le Amadis. Dalla Francia, ogni tanto qualcuno portava le papier mais, con la carta gialla.
Arrivarono enfisemi, infarti e tumori, naturalmente. Ma il fumo continuò per
avvolgere il mondo come una sfida insensata, una risata o un colpetto di tosse,
una pernacchia alla morte. Perché fumare era sapersi finiti, ma non averne
paura, il fumo colora di bianco il
respiro, il ritmo primo dell’essere vivi, quello che traduce l’esterno in
interno.
La cenere, intanto, si depositava sulle cose, e tingeva l’universo di nero. Nella zona di Manchester, alcune
farfalle bianche, le Biston Betularius,
diventarono nere per mimetizzarsi, con le cortecce di betulla scurite dalla
fuliggine. Nel dicembre 1952 Londra fu sommersa da una colata di smog. Morirono
in migliaia, ma senza darsene troppo pensiero. La modernità intera, a pensarci
bene, è stata di fumo: ciminiere, sigarette, locomotive, transatlantici,
automobili, bombe atomiche.
Alla fine del secolo, però, il fumo,
da segno di forza e potere, si trasformò in minaccia universale. Si è fatto
strada il dubbio che tutto sia un veleno. Spesso è vero (come nel caso del
tabacco o dell’Ilva di Taranto), e questo rende ancora più paralizzante la
nostra paura. La scienza ha dimostrato che, in assenza di guerre e miseria, la
morte e le malattie dipendono anche dalle condotte individuali. Dunque,
diventano scelte. Diventano colpe, il corollario (l’illusione) è che se ci si
comporta bene – se si evita di respirare (e mangiare) veleni – non si morirà
mai.
Giacomo Papi – Donna di Venerdì –
6-10-12
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