Al netto della nuvola di fake news che lo circonda, dei suoi ambigui rapporti con il mercato e della geniale regia del suo anonimato, è indubbio che Banksy sia un grande artista dei nostri giorni. Probabilmente il più capace di tradurre in immagini il desiderio di rivoluzione, il bisogno di rivoltare dalle fondamenta un mondo mostruosamente ingiusto. Le sue opere pubbliche – pubbliche perché realizzate sui muri delle periferie delle metropoli di tutto il mondo, e subito lanciate dal suo account Instagram sulla rete – campeggiano nel vuoto dell’afasia di una sinistra mondiale incapace di prospettare un “ordinamento”, finalmente più giusto. Uno dei suoi ultimi murali è comparso qualche mese fa sulla parete di una stazione di servizio abbandonata di Midwood, a New York. Rappresenta un capitalismo che brandisce la rossa freccia ascendente di un bilancio, cioè il profitto, per cacciare un gruppo di persone in cui è possibile riconoscere vecchi, adolescenti, bambini, una donna di colore con suo figlio. Come spesso in Banksy, l’immagine scaturisce dalla conoscenza dell’iconografia dell’arte antica: in questo caso si tratta di quella della “Cacciata dal paradiso terrestre”, quando l’angelo del Signore impugna la propria spada fiammeggiante per espellere Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Ora l’angelo è un capitalista, il Signore cui obbedisce è il Mercato, la spada folgorante è il denaro: e l’umanità cacciata sono i poveri, i sommersi, gli sfruttati. Dettaglio cruciale: questo angelo del profitto ha in testa un casco da costruttore, al posto dell’elmo dell’arcangelo Michele. È così che Banksy allude ad una particolare declinazione del finanzcapitalismo distruttivo: quello della rendita edilizia che” gentrifica” le città, cioè espelle i poveri dai quartieri che la speculazione trasforma in nuclei residenziali per una sola classe sociale, quella dei ricchi. Ancora sono le Grandi Opere inutili che devastano i territori contro la volontà degli abitanti, piegando insieme ambiente e democrazia. Una grande allegoria del Tav, per esempio: il Treno ad Alta Velocità palesemente inutile e obsoleto che un grumo di poteri cerca di imporre da anni alla Val di Susa. Ma ogni territorio, ogni città, ogni quartiere può vedere in questa immagine il proprio ritratto. Banksy rappresenta una schiavitù globale: ed è così che nella sua arte di denuncia e di liberazione siamo in tanti, in tutto il mondo, a riconoscerci: come in una rivoluzione promessa.
Tommaso Montanari – Ora d’Arte – Il Venerdì di La Repubblica – 30 novembre 2018 -
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