Si sono
levate lamentele
sul fatto che quest’anno, all’esame di maturità, la versione di greco fosse di
Aristotele. Molti di coloro che si sono lamentati sono gli stessi che da anni
ci riempiono le orecchie con la scuola delle cosiddette competenze di origine
anglosassone. Io penso che questo mantra pedagogico delle competenze non sia
altro che un complesso d’inferiorità nei confronti della cultura anglosassone
rispetto a quella continentale e mediterranea. Un complesso d’inferiorità che
sta generando una vera e propria inferiorità culturale, peraltro con la
spocchia e l’arroganza della superiorità. Per tradurre il greco in generale per
il sapere non c‘è per vivere con virtù (areté) e in vista della felicità (eudaimonia). La strada
è più lunga. Che s’illude di poterla aggirare, nel greco, el sapere e nella
vita, prima o po arriva sempre il momento di Aristotele.
Stiamo
perdendo la cultura umanistica che ha le sue radici nella cultura greca, la quale
ha contaminato la cultura cristiana (la cui teologia ha poco a che fare con il
Vangelo, perché è costruita a partire dalla filosofia di Platone e Aristotele),
si è poi riproposta nella lingua e letteratura latina e nelle culture neolatine
da questa derivate, mentre la cultura greca influenzava la filologia e la
filosofia tedesca. Da questo scenario si è sempre tenuta distinta e separata,
non di rado con accenti polemici e atteggiamenti di superiorità, la cultura
anglosassone: nell’età moderna a sfondo empirista (Hobbes, Berkeley, Locke,
Hume), nell’Ottocento positivista (Spencer e Stuart Mill), mentre oggi è
governata dalla filosofia analitica. A partire da questo sfondo culturale anglosassone,
negli Stati Uniti dominante è diventata la filosofia pragmatica di John Dewey e
William James e la psicologia comportamentista di Watson e Skinner. La Brexit
non è un fatto di oggi. Il mondo anglosassone è sempre stato lontano dal mondo
e dalla cultura continentale. E oggi che il Regno Unito intende uscire
definitivamente dalla Comunità Europea, l’Europa, come peraltro il resto del
mondo, parla inglese, e da quel mondo importa anche i modelli culturali che i
nostri pedagogisti, nell’illusione di essere moderni e al passo con i tempi,
applicano alla nostra scuola, degradandola. Parlo di degrado perché la scuola
superiore ha come suo compito primario la formazione dell’uomo (che non può
avvenire senza una educazione umanistica), e solo successivamente,
all’Università, l’acquisizione di competenze. Perché la dove le competenze sono
esercitate da soggetti con scarse capacità e sensibilità umane, il sistema non
funziona, per quanto perfette e collaudate siano le competenze. Se la
soggettività umana, che una volta traspariva ad esempio dai temi in classe,
oggi non è più un fattore d’interesse, quanto invece lo sono le prestazioni
oggettive quantificabili e quindi facilmente valutabili, allora l’attenzione si
è spostata dal processo educativo che chiede: “fammi vedere chi sei” a “fammi
vedere cosa sai fare”, dove il “fare”, come vuole il pragmatismo americano, ha
soppiantato l’”essere” di cui si prendeva cura l’educazione umanistica. A me
questo pare un pessimo degrado degli obiettivi che si propone la scuola. Non
più educare le persone, ma valutare le capacità, anche le organizzazioni
criminali hanno regole rigorose che non hanno nulla da invidiare alle regole su
cui si regge una comunità. Quindi? Il risultato sono i nostri giovani, della
cui condotta non c’è genitore o insegnante che non si lamenti. Forse sapranno
fare tante cose, ma conosceranno se stessi? Sapranno qualcosa di se? Come se la
caveranno di fronte al dolore? Oltre che ala scorciatoia del suicidio
conosceranno altre strategie? Sapranno amare anche quando la passione si
attenua? Sapranno prendersi cura dei figli che avranno messo al mondo?
Interiorizzeranno dei valori sociali o si limiteranno a quelli egoistici,
individualistici, narcisistici? Avranno qualche ideale che non sia solo quella
di realizzare i maggiori guadagni possibili, o la maggior performance sociale?
Avranno un’identità che non sia quella del ruolo a loro conferito dall’apparato
di appartenenza? Sapranno commuoversi per le disgrazie altrui? Avranno una
sensibilità per le condizioni della terra, visto che un’altra terra non è
disponibile? Sono queste alcune domande a cui la cultura umanistica dava delle
risposte e da cui si esonera la cultura anglosassone delle competenze che i
nostri pedagogisti stanno introducendo a forza nelle nostre scuole. E già si
vedono gli effetti.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di
La Repubblica – 1 dicembre 2018 -
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