Se ne è parlato poco in occasione del centenario della
vittoria alleata nella Grande guerra, quella del ’14-’18. Eppure erano tanti
nelle trincee e non pochi sono morti. Circa centomila. Secondo statistiche
incerte, per difetto, quattrocentocinquantamila “indigeni”, magrebini, africani
subsahariani, vietnamiti, hanno servito nell’esercito francese, per la “madre
patria”, in quel conflitto mondiale. I sudditi dell’impero coloniale, volontari
o reclutati con la forza, sono i protagonisti di un intenso romanzo: un volume
smilzo, 175 pagine, tra i più venduti di questa stagione a Parigi, e tra i più votati
dalle giurie dei premi letterari. “Frère d’àme”, questo il titolo, Editions du
Seuil, ha vinto i più simpatico di quei premi: il Goncourt-Lycéens, assegnato
dagli studenti. L’ha ben meritato. È un libro bellissimo. Nato a Parigi (nel ’66) da una madre francese e da un padre senegalese, David Diop,
l’autore, insegna letteratura del Settecento all’università di Pau, nel
dipartimento dei Pirenei atlantici. Il suo non è un classico romanzo di guerra.
Anzitutto è scritto in uno stile orale, in una lingua che rispetta la
grammatica francese, ma che ha un ritmo particolare, limpido, semplice, in cui
si sente il gusto africano per la parola. È Alfa Ndiye, un “fuciliere”
(tirailleur sénégalais) che parla: e il suo racconto è spietato e poetico. Diop
svela un capitolo della storia della guerra e del colonialismo: quando giovani
senegalesi furono arruolati dalla rancia per combattere il nemico tedesco.
Altri imperi coloniali usarono i loro “indigeni”. Quello francese non fu il
solo. L’autore di “Frère d’àme” affronta il tema facendo vivere al suo eroe
quello che chiama un doppio esilio. Alfa Ndiaye arriva su una terra straniera,
senza parlarne la lingua, e in più su una terra ingrata, incapace di assolvere
quello che dovrebbe essere il suo naturale impegno offrire un’esistenza civile
agli uomini che la difendono. Approda su una terra di morte. In un paesaggio
lunare scavato dalle bombe. Arruolato volontario, in un’impresa che non pensava fosse
un massacro, per seguire Mademba Diop, il suo “più che fratello”, Alfa Ndiaye
vive l’ingiustizia e la violenza della guerra, come gli altri giovani
senegalesi mandati al fronte, in prima linea, dove i tedeschi li uccidono come
piccioni. Piccioni ben visibili, color coccolato. Gli europei li apostrofano
proprio così: cioccolato! Un’ironia che suona come un insulto. Ai soldati
africani non sempre viene dato un capotto per affrontare l’inverno. Tanto
muoiono lo stesso, di freddo o per le pallottole e le bombe tedesche. Spesso
quando sono mandati a tagliare i reticolati nemici. Il capitano Armand li sacrifica per primi. Ordina con il
fischietto l’assalto, l’uscita dalle trincee: quelle fessure fangose che ad
Alfa Ndiaye sembrano interminabili sessi femminili. Poi sarà il turno di altri
giovani, senza distinzione di pelle. La morte è uguale per tutti. E colpisce
subito Mademba. Alfa lo “vede agonizzare. Gli “uomini con gli occhi blu”, i
tedeschi della trincea dirimpetto, gli hanno aperto con una granata il ventre,
che adesso vomita tutto quel che contiene. Per tre volte Alfa rifiuta di dare
il colpo di grazia all’amico che glielo chiede. Per Alfa è un momento decisivo,
E’ colto da una follia omicida: ha perduto “le frère d’àme”, e con lui è
svanito il motivo che l’ha condotto in guerra. Oltre al fucile i soldati senegalesi hanno un
machete. E’ la loro seconda arma. La quale contribuisce alla propaganda che
tende a terrorizzare i nemici. I fucilieri senegalesi sono presentati come
selvaggi con espressioni scimmiesche, e con teste di morto appese alla cintura.
David Diop spiega che la Francia ha usato questa immagine caricaturale
dell’africano (diffusa del resto in Europa) per intimorire i tedeschi. E
opportunamente conduce a ricordare, senza citarle, le stragi compiute dagli
occidentali nella Seconda guerra mondiale, di fronte alle quali il machete
africano è uno strumento di morte artigianale. Con il suo Alda vendica l’amico
ucciso, taglia le mani dei nemici, le conserva imbalsamate. Si inoltra nel
territorio nemico di notte, sorprende un soldato “con gli occhi blu” e gli
riserva la stessa fine di Mademba. La guerra dei bianchi è diventata per Alfa
una questione personale.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori –
L’Espresso – 25 novembre 2018 -
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