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sabato 1 dicembre 2018

Lo Sapevate Che: La Grande guerra di Alfa L'Africano...


Se ne è parlato poco in occasione del centenario della vittoria alleata nella Grande guerra, quella del ’14-’18. Eppure erano tanti nelle trincee e non pochi sono morti. Circa centomila. Secondo statistiche incerte, per difetto, quattrocentocinquantamila “indigeni”, magrebini, africani subsahariani, vietnamiti, hanno servito nell’esercito francese, per la “madre patria”, in quel conflitto mondiale. I sudditi dell’impero coloniale, volontari o reclutati con la forza, sono i protagonisti di un intenso romanzo: un volume smilzo, 175 pagine, tra i più venduti di questa stagione a Parigi, e tra i più votati dalle giurie dei premi letterari. “Frère d’àme”, questo il titolo, Editions du Seuil, ha vinto i più simpatico di quei premi: il Goncourt-Lycéens, assegnato dagli studenti. L’ha ben meritato. È un libro bellissimo. Nato a Parigi (nel ’66) da una madre francese e da un padre senegalese, David Diop, l’autore, insegna letteratura del Settecento all’università di Pau, nel dipartimento dei Pirenei atlantici. Il suo non è un classico romanzo di guerra. Anzitutto è scritto in uno stile orale, in una lingua che rispetta la grammatica francese, ma che ha un ritmo particolare, limpido, semplice, in cui si sente il gusto africano per la parola. È Alfa Ndiye, un “fuciliere” (tirailleur sénégalais) che parla: e il suo racconto è spietato e poetico. Diop svela un capitolo della storia della guerra e del colonialismo: quando giovani senegalesi furono arruolati dalla rancia per combattere il nemico tedesco. Altri imperi coloniali usarono i loro “indigeni”. Quello francese non fu il solo. L’autore di “Frère d’àme” affronta il tema facendo vivere al suo eroe quello che chiama un doppio esilio. Alfa Ndiaye arriva su una terra straniera, senza parlarne la lingua, e in più su una terra ingrata, incapace di assolvere quello che dovrebbe essere il suo naturale impegno offrire un’esistenza civile agli uomini che la difendono. Approda su una terra di morte. In un paesaggio lunare scavato dalle bombe. Arruolato volontario, in un’impresa che non pensava fosse un massacro, per seguire Mademba Diop, il suo “più che fratello”, Alfa Ndiaye vive l’ingiustizia e la violenza della guerra, come gli altri giovani senegalesi mandati al fronte, in prima linea, dove i tedeschi li uccidono come piccioni. Piccioni ben visibili, color coccolato. Gli europei li apostrofano proprio così: cioccolato! Un’ironia che suona come un insulto. Ai soldati africani non sempre viene dato un capotto per affrontare l’inverno. Tanto muoiono lo stesso, di freddo o per le pallottole e le bombe tedesche. Spesso quando sono mandati a tagliare i reticolati nemici. Il capitano Armand li sacrifica per primi. Ordina con il fischietto l’assalto, l’uscita dalle trincee: quelle fessure fangose che ad Alfa Ndiaye sembrano interminabili sessi femminili. Poi sarà il turno di altri giovani, senza distinzione di pelle. La morte è uguale per tutti. E colpisce subito Mademba. Alfa lo “vede agonizzare. Gli “uomini con gli occhi blu”, i tedeschi della trincea dirimpetto, gli hanno aperto con una granata il ventre, che adesso vomita tutto quel che contiene. Per tre volte Alfa rifiuta di dare il colpo di grazia all’amico che glielo chiede. Per Alfa è un momento decisivo, E’ colto da una follia omicida: ha perduto “le frère d’àme”, e con lui è svanito il motivo che l’ha condotto in guerra. Oltre al fucile i soldati senegalesi hanno un machete. E’ la loro seconda arma. La quale contribuisce alla propaganda che tende a terrorizzare i nemici. I fucilieri senegalesi sono presentati come selvaggi con espressioni scimmiesche, e con teste di morto appese alla cintura. David Diop spiega che la Francia ha usato questa immagine caricaturale dell’africano (diffusa del resto in Europa) per intimorire i tedeschi. E opportunamente conduce a ricordare, senza citarle, le stragi compiute dagli occidentali nella Seconda guerra mondiale, di fronte alle quali il machete africano è uno strumento di morte artigianale. Con il suo Alda vendica l’amico ucciso, taglia le mani dei nemici, le conserva imbalsamate. Si inoltra nel territorio nemico di notte, sorprende un soldato “con gli occhi blu” e gli riserva la stessa fine di Mademba. La guerra dei bianchi è diventata per Alfa una questione personale.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori – L’Espresso – 25 novembre 2018 -

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