Stava Recitando La poesia
Love di George Herbert, dapprima come una semplice poesia, che poi senza
accorgersene era diventata una preghiera, quando, scrive Simone Weil in una
lettera inviata nel 1942 a Padre Perrin e a Joe Bousquet: “Fu durante una di
queste recite che Cristo stesso è sceso e mi ha presa. Nei miei ragionamenti
sull’insolubilità del problema di Dio non avevo previsto questa possibilità, di
un contatto reale, da persona a persona, quaggiù, tra un essere umano w Dio.
Avevo vagamente sentito parlare di cose simili, ma non ci avevo mai creduto”.
Di tenore simile anche la seconda lettera, in cui Simone accentua maggiormente
la sua estraneità culturale a manifestazioni ed esperienze del genere. Eppure
ne parla come di “una presenza più personale, più certa, più reale di quella di
un essere umano, inaccessibile ai sensi e all’immaginazione, analoga all’amore
che traspare attraverso il più tenero sorriso di un essere amato” Un Cristo che
non mostra le sue piaghe sanguinolente, non invita a bere la bevanda del suo
costato, non offre corone di spine. È un Cristo che comunica amore, che riempie
d’intensa segreta gioia. Di questo Cristo fa esperienza Simone Weil, e non ne
fa parola con nessuno, se non qualche anno più tardi, in una lettera
indirizzata a persone che sa non grideranno al miracolo. Un Cristo credibile.
Quasi quasi persino per un ateo. Renato Pierri renpierri@gmail.com
Non È Eccezionale il
Cristo che si fa presente a Simone Weil. Eccezionale è l’Amore che, quando raggiunge
la sua vertigine nella sessualità come nella mistica (che della sessualità e la
sublimazione). Consente di trascendere i confini dell’Io e accedere a
quell’entusiasmo dove a parlare è un Di (en theos) che ci abita e ci conduce in
quell’altra parte di noi stessi, che alcuni chiamano “inconscio”, altri
“follia”, altri ancora “trascendenza”. Non Leggiamo i mistici in modo ascetico
o edificante, la mortificazione del corpo che essi talvolta predicavano nn è
mortificazione delle passioni che anelano all’intima unione con Dio, con
metafore che grondano di sudori, di spasmi, di carne e di sangue. I mistici
guardano oltre i recinti della ragione e i confini dell’Io, in vista di una
perdita di sé nel tutt’altro che ci abita. Non più autore delle sue parole, ma
portavoce di altri messaggi, il mistico si trova ospitato da un linguaggio non
suo, dove la produzione di senso è affidato all’enigma dove si annuncia
l’insolito. Per questo Socrate, a proposito delle cose d’amore parla di
“possessione (Katakoké)”, la stessa
espressione che usano i mistici quando parlano del loro rapporto con Dio. Qu
sentiamo una strana assonanza con quanto Platone dice dei rapporti amorosi:
“Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l’uno
dell’altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri
carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. È allora
evidente che l’anima di ciascuna vuole altra cosa che non è capace di dire, e
perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e
buio” (Simposio). Ancora una volta naufragio del linguaggio abituale, per
l’insorgenza di un altro linguaggio, dove a parlare è l’Amore che nell’altro
(umano o divino che sia) invita all’oltrepassamento di sé. Sessualità e mistica
devono l’una all’altra la densità del loro essere. Nella dislocazione del
proprio Io, entrambe annunciano l’insolito, così come la relazione tra Amore e
Mondo celeste è nota sia ai mistici sia agli amanti, al punto che Socrate può
dire che: “Chi ha conoscenza sicura di questo è un uomo demonico (daimonios). Invece chi sa cse d’altro
genere non è che un uomo comune ( banausos)”.
Se “sesso” come vuole la sua etimologia viene da “nesso”. Ed Eros, come ci ricorda
Paltone, è “connessione tra l’umano e l divino”. Il rapporto che Eros instaura
non è tra uomini, come vuole la concezione comune della sessualità, ma tra la
parte razionale dell’uomo e la sua parte folle o divina. Lo spettacolo che la
sessualità così si dischiude serve a rilanciare un senso: non solo vicenda di
corpi, ma ricerca di quell’ulteriorità di senso che non la ragione, ma la
passione amorosa sa dischiudere. Così parlano gli amanti quando sono
all’altezza di quell’evento che è Amore. E al pari di loro i mistici, perché
posseduti da una passione che non si accontenta dell’amore umano, e perciò si
muove sulle tracce del divino, dove a parlare però non è Dio, ma l’Amore per
dio. Non si può infatti superare l’”idea” di Dio per toccare la “realtà” di
Dio, a cui ogni mistico aspira, se prima non si conviene, come scriveva quel
mistico che era il teologo Gianni Baget Bozzo, che: “Do è amore e l’Amore è
dio”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di La Repubblica – 15 dicembre 2018
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