Cultura
"DOPO LA
MORTE DI STEFANO, LA STORIA DELLE SUE RELIQUIE ENTRÒ NELLA LEGGENDA"
Santo Stefano, perché il 26
dicembre si festeggia
"Fino al 1960 si celebrava anche la festa della "Invenzione"
(cioè "rinvenimento", dal latino invenio) delle reliquie di santo
Stefano il 3 agosto"
Stefano (… – Gerusalemme, 36) è stato il primo dei sette diaconi scelti
dalla comunità cristiana perché aiutassero gli apostoli nel ministero della
fede.
Venerato
come santo da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi, fu il
protomartire, cioè il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la
propria fede in Cristo e per la diffusione del Vangelo. Il suo martirio è
descritto negli Atti degli Apostoli dove appare evidente sia la sua chiamata al
servizio dei discepoli sia il suo martirio, avvenuto per lapidazione, alla
presenza di Paolo di Tarso prima della conversione.
La
celebrazione liturgica di Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre,
subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del
Figlio di Dio furono posti nel martirologio i comites Christi, cioè i più
vicini nel suo percorso terreno, i primi a renderne testimonianza con il
martirio.
Di Stefano si ignora la provenienza. Si suppone che fosse
greco: in quel tempo Gerusalemme era infatti un crocevia di tante popolazioni,
con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il
significato di “coronato”. Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella
cultura ellenistica. Certamente non era pagano, ma fu uno dei primi giudei
della diaspora a diventare cristiano e a seguire gli apostoli. In ragione della
sua cultura e saggezza, e considerata la genuinità della sua fede, era molto
apprezzato nella prima comunità cristiana di Gerusalemme.
Gli Atti
degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7, narrano i suoi ultimi giorni: qualche tempo
dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e
sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua
ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove
venivano trascurate. Allora i dodici apostoli riunirono i discepoli dicendo
loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio
delle mense”, trascurando così la predicazione della parola di Dio e la
preghiera. Pertanto questo compito doveva essere affidato a un gruppo di sette
di loro, così gli apostoli avrebbero potuto dedicarsi di più alla preghiera e
al ministero. Il resoconto negli Atti degli Apostoli prosegue quindi con
l’accettazione della proposta: vennero eletti Stefano, uomo pieno di fede e
Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas e Nicola di
Antiochia; a tutti, gli apostoli imposero le mani. La Chiesa ha visto in questo
atto l’istituzione del ministero diaconale, ma la questione tra gli esegeti è
dibattuta.
Gli Atti degli Apostoli raccontano quindi come nell’espletamento
di questo compito Stefano fosse pieno di grazia e di fortezza, e come compisse
grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma
essendo attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della
diaspora,
che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede
in Gesù crocifisso e risorto.
Verso
l’anno 36 gli ebrei ellenistici, vedendo il gran numero di convertiti,
sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme
contro Mosè e contro Dio”. Gli anziani e gli scribi, secondo quanto riportato
dagli Atti, lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi
testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo
luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno
distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”. E
alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono
Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli Atti degli Apostoli, in
cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva
preparato per mezzo dei patriarchi e profeti l’avvento di Gesù, e che gli Ebrei
avevano risposto sempre con durezza di cuore. Rivolto direttamente ai sacerdoti
del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi,
voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così
anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi
uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora
siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano
degli angeli e non l’avete osservata”.
Mentre
l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano, ispirato
dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli
aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”. A quel punto i presenti
lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre.
I loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (in ebraico
Shaʾùl, il futuro “apostolo delle genti”, Paolo di Tarso), che assisteva
all’esecuzione.
In realtà
non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere
condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto
Stefano fu trascinato fuori dal furore dei presenti, quindi si trattò
probabilmente di un linciaggio. Gli Atti ricordano come, mentre crollava sotto
i colpi degli aguzzini, Stefano pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio
spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”. Gli Atti riportano infine
che alcune persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie,
com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una
violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.
Tra la
nascente chiesa e la sinagoga ebraica il distacco si fece sempre più evidente,
fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in sé stessa per
difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più
inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la diffusione del
Vangelo.
La datazione della morte
È possibile fissare con una certa sicurezza la data della sua morte per la modalità con cui avvenne: il fatto che non sia stato ucciso mediante crocifissione (ovvero con il metodo usato dagli occupanti romani), bensì tramite lapidazione, tipica esecuzione giudaica, significa che la morte di Stefano è avvenuta nel 36 d.C., durante il periodo di vuoto amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato, il quale si era irrimediabilmente inimicato la popolazione per l’eccesso di violenza usata per sedare la cosiddetta rivolta del monte Garizim. In quel periodo a comandare in Palestina era quindi il Sinedrio, che eseguiva le condanne a morte tramite lapidazione, secondo la tradizione locale. In particolare, nella Bibbia è scritto che Stefano si inimicò alcuni liberti, cosiddetti probabilmente perché discendenti di quegli Ebrei che Pompeo aveva schiavizzato (69 a.C.) e che poi avevano ottenuto la libertà. Una esecuzione di questo tipo, così come la morte di Giacomo sempre per lapidazione, erano contrarie al diritto romano, in quanto nelle provincie dell’impero i romani si riservavano in esclusiva i processi capitali e la pena di morte.
È possibile fissare con una certa sicurezza la data della sua morte per la modalità con cui avvenne: il fatto che non sia stato ucciso mediante crocifissione (ovvero con il metodo usato dagli occupanti romani), bensì tramite lapidazione, tipica esecuzione giudaica, significa che la morte di Stefano è avvenuta nel 36 d.C., durante il periodo di vuoto amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato, il quale si era irrimediabilmente inimicato la popolazione per l’eccesso di violenza usata per sedare la cosiddetta rivolta del monte Garizim. In quel periodo a comandare in Palestina era quindi il Sinedrio, che eseguiva le condanne a morte tramite lapidazione, secondo la tradizione locale. In particolare, nella Bibbia è scritto che Stefano si inimicò alcuni liberti, cosiddetti probabilmente perché discendenti di quegli Ebrei che Pompeo aveva schiavizzato (69 a.C.) e che poi avevano ottenuto la libertà. Una esecuzione di questo tipo, così come la morte di Giacomo sempre per lapidazione, erano contrarie al diritto romano, in quanto nelle provincie dell’impero i romani si riservavano in esclusiva i processi capitali e la pena di morte.
Il culto
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 agosto 415 si narra che un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome. Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e che volevano fosse dato un culto alle loro reliquie, allora Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini. Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì san Paolo, i compagni erano il protomartire Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a Stefano, e Abiba, figlio di Gamaliele, seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 agosto 415 si narra che un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome. Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e che volevano fosse dato un culto alle loro reliquie, allora Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini. Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì san Paolo, i compagni erano il protomartire Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a Stefano, e Abiba, figlio di Gamaliele, seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.
fonte it.wikipedia.org
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