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sabato 4 gennaio 2014

Lo Sapevate Che: Si Può Fare...


Quanti Guai Porta Il Conformismo

Perseverare nelle stesse politiche è un errore. Perché la realtà si adatta alle regole modificate, fino a generare nuovi squilibri.
Oggi, per esempio, invece di insistere sui tagli alla spesa si dovrebbero pretendere servizi più efficienti

Negli anni Settanta, dopo la crisi da petrolio che aveva scombussolato tutti i sistemi economici, il conformismo prevalente in Italia era credere che bastasse la spesa pubblica (sostegno ai redditi) e l’intervento dello Stato (fondi per la ristrutturazione delle imprese) per superare la stagflazione, ossia un mix di recessione e inflazione. Così l’Italia prolungò la crisi. Invece furono necessarie forti dosi di liberalismo per consentire ai sistemi economici di riprendere a funzionare dopo lo shock da petrolio. Da lì le liberalizzazioni, la deregolamentazione, le privatizzazioni, il contenimento della spesa pubblica e delle tasse. Tutti elementi che hanno contraddistinto gli enunciati di politica economica nei vari paesi industriali per i circa trent’anni seguenti, fino alla grande crisi finanziaria del 2008.
Oggi il conformismo dominante (anche in Italia) è che sia necessario continuare con queste politiche e in particolare con la riduzione della spesa pubblica e delle tasse per far riprendere un’economia alle prese con un calo di domanda interna con caratteristiche proprie della deflazione. Questo conformismo è forte in Europa che, non a caso, è ancora in recessione, mentre gli Stati Uniti, che più pragmaticamente sono ricorsi a un’azione di forte intervento pubblico, hanno riavviato una ripresa economica.
In Economia Perseverare  nelle stesse politiche può essere errato perché le condizioni mutano nel tempo e la realtà si adatta  alle politiche seguite, fino a generare nuovi squilibri. Ciò che era utile in alcuni periodi, può essere dannoso in altre occasioni. Negli anni Settanta la lunga stagflazione venne addebitata all’eccesso di regolamentazioni costruite nel glorioso trentennio precedente. Oggi la crisi può essere attribuita agli eccessi di deregolamentazione continuati per tutti gli anni Novanta e nella prima parte del nuovo secolo. Le due interpretazioni non sono in contraddizione. E’ l’economia che si è adattata, prima alle strette regolamentazioni e poi ai processi di deregolamentazione che ne sono seguiti. E’ quindi necessario adattare la politica economica al cambiare della realtà e non pretendere di riportare la realtà alle proprie convinzioni. Per andare sul concreto, oggi in Italia non è utile abbassare le tasse, ma è più importante mantenere una spesa pubblica orientata al sostegno della domanda interna: il che significa un reddito per chi ha perso il lavoro e finanziamenti per le infrastrutture.
Invece Destra e Sinistra (sindacati compresi) fanno a gara per chiedere un taglio della spesa pubblica funzionale ad una riduzione delle tasse. E il governo li segue. Ma abbassare le tasse significa dare qualche soldo di più a chi ha già un reddito. Il risultato non sarà una ripresa della domanda, ma un aumento del risparmio precauzionale, data la forte paura per il futuro. Questo invece è il momento di agire con la spesa pubblica.
C’è poi chi ritiene che tasse e spesa pubblica in Italia siano ormai a livelli così elevati che vadano comunque abbassati. Certamente siamo sui livelli elevati, ma al di sotto di altri paesi e comunque prossimi alla media europea. Invece di insistere sulla riduzione della spesa pubblica, sarebbe necessario insistere con forza su una sua riqualificazione per ottenere servizi decenti. Cosa non impossibile, come molti esempi positivi possono testimoniare. E cosa necessaria per ridurre le diseguaglianze. Per una famiglia italiana che viva con 2 mila euro al mese di reddito vale più avere una buona scuola, una buona sanità, una buona pensione e buoni servizi di trasporto che disporre di 100 o 200 euro di più al mese nelle proprie tasche.
Più in generale, per la qualità della nostra vita, è meglio vivere in un paese con buoni servizi pubblici che in un paese con poche tasse. Di questo la politica dovrebbe interessarsi.

Innocenzo Cipolletta – L’Espresso – 2 gennaio 2014

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