Quanti Guai Porta Il
Conformismo
Perseverare nelle
stesse politiche è un errore. Perché la realtà si adatta alle regole
modificate, fino a generare nuovi squilibri.
Oggi, per esempio,
invece di insistere sui tagli alla spesa si dovrebbero pretendere servizi più
efficienti
Negli anni Settanta, dopo la crisi da petrolio che aveva
scombussolato tutti i sistemi economici, il conformismo prevalente in Italia
era credere che bastasse la spesa pubblica (sostegno ai redditi) e l’intervento
dello Stato (fondi per la ristrutturazione delle imprese) per superare la
stagflazione, ossia un mix di recessione e inflazione. Così l’Italia prolungò
la crisi. Invece furono necessarie forti dosi di liberalismo per consentire ai
sistemi economici di riprendere a funzionare dopo lo shock da petrolio. Da lì
le liberalizzazioni, la deregolamentazione, le privatizzazioni, il contenimento
della spesa pubblica e delle tasse. Tutti elementi che hanno contraddistinto
gli enunciati di politica economica nei vari paesi industriali per i circa
trent’anni seguenti, fino alla grande crisi finanziaria del 2008.
Oggi il conformismo dominante (anche in Italia) è che sia
necessario continuare con queste politiche e in particolare con la riduzione
della spesa pubblica e delle tasse per far riprendere un’economia alle prese
con un calo di domanda interna con caratteristiche proprie della deflazione.
Questo conformismo è forte in Europa che, non a caso, è ancora in recessione,
mentre gli Stati Uniti, che più pragmaticamente sono ricorsi a un’azione di
forte intervento pubblico, hanno riavviato una ripresa economica.
In Economia Perseverare
nelle stesse politiche può essere errato
perché le condizioni mutano nel tempo e la realtà si adatta alle politiche seguite, fino a generare nuovi
squilibri. Ciò che era utile in alcuni periodi, può essere dannoso in altre
occasioni. Negli anni Settanta la lunga stagflazione venne addebitata
all’eccesso di regolamentazioni costruite nel glorioso trentennio precedente.
Oggi la crisi può essere attribuita agli eccessi di deregolamentazione
continuati per tutti gli anni Novanta e nella prima parte del nuovo secolo. Le
due interpretazioni non sono in contraddizione. E’ l’economia che si è
adattata, prima alle strette regolamentazioni e poi ai processi di
deregolamentazione che ne sono seguiti. E’ quindi necessario adattare la
politica economica al cambiare della realtà e non pretendere di riportare la
realtà alle proprie convinzioni. Per andare sul concreto, oggi in Italia non è
utile abbassare le tasse, ma è più importante mantenere una spesa pubblica
orientata al sostegno della domanda interna: il che significa un reddito per
chi ha perso il lavoro e finanziamenti per le infrastrutture.
Invece Destra e
Sinistra (sindacati
compresi) fanno a gara per chiedere un taglio della spesa pubblica funzionale
ad una riduzione delle tasse. E il governo li segue. Ma abbassare le tasse
significa dare qualche soldo di più a chi ha già un reddito. Il risultato non
sarà una ripresa della domanda, ma un aumento del risparmio precauzionale, data
la forte paura per il futuro. Questo invece è il momento di agire con la spesa
pubblica.
C’è poi chi ritiene che tasse e spesa pubblica in Italia
siano ormai a livelli così elevati che vadano comunque abbassati. Certamente
siamo sui livelli elevati, ma al di sotto di altri paesi e comunque prossimi
alla media europea. Invece di insistere sulla riduzione della spesa pubblica,
sarebbe necessario insistere con forza su una sua riqualificazione per ottenere
servizi decenti. Cosa non impossibile, come molti esempi positivi possono
testimoniare. E cosa necessaria per ridurre le diseguaglianze. Per una famiglia
italiana che viva con 2 mila euro al mese di reddito vale più avere una buona
scuola, una buona sanità, una buona pensione e buoni servizi di trasporto che
disporre di 100 o 200 euro di più al mese nelle proprie tasche.
Più in generale, per la qualità della nostra vita, è meglio
vivere in un paese con buoni servizi pubblici che in un paese con poche tasse.
Di questo la politica dovrebbe interessarsi.
Innocenzo Cipolletta – L’Espresso – 2 gennaio 2014
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