Perdonarlo o crocefiggerlo? Giuda o redentore? Edward
Snowden, l’uomo che è costato all’onore degli Usa molto più di una battaglia
perduta, comincia il 2014 come aveva finito il 2013; nel segno della
contraddizione insanabile che ha scavato nella coscienza americana e che
continuerà a tormentarla.
La sua intervista al Washington
Post, con toni insieme trionfali e messianici- “Ho vinto, la mia missione è
finita” – gli merita una definizione di “insopportabile arrogante ipocrita”
dallo stesso quotidiano di Washington che lo accusa di non rendersi conto di
fare lezioni di trasparenza stando sotto l’ala protettiva si uno dei governi
più torbidi del mondo. Ma piace molto al New
York Times, che gli riconosce di avere “reso un grande servizio alla
nazione” e chiede “clemenza” a Obama. Per gli inglesi del Guardian, il giornale che per primo diffuse le rivelazioni rubate
allo spionaggio Usa, è addirittura un “eroe civico che merita il perdono
presidenziale”. Le due linee di chi lo accusa di essere semplicemente un
traditore e lo vorrebbe “appendere a una forca fino alla morte”, come l’ex
direttore della Nsa, e di chi invece guarda all’enormità degli abusi che ha
rivelato convergono verso un punto che non è all’infinito, ma nel presente
prossimo, verso una persona fisica: il presidente Barack Obama.
Nella grande discrezionalità del sistema giudiziario
americano, che non contempla la obbligatorietà dell’azione penale come quello
italiano, il capo dello Stato e del governo detiene il potere assoluto non
soltanto della grazia a posteriori, ma del perdono preventivo, come Gerald Ford
utilizzò per chiudere ogni inchiesta, anche futura, contro Richard Nixon.
Magistratura ordinaria, tribunali militari, commissioni parlamentari speciali
con poteri giudiziari, tutti devono arrendersi se il Presidente copre con il
mantello del proprio legittimo, e costituzionale, potere di immunizzazione il
possibile imputato.
Ma legittimo non significa praticabile, né tanto meno
politicamente accettabile. E l’incertezza dell’opinione pubblica, la
contraddizione dei tribunali che finora hanno affrontato quella legge che
sembra giustificare la sorveglianza elettronica pervasiva e invasiva, il
dissenso fra il leader di opinione sul giovane ex contractor dello spionaggio, mettono Obama in una situazione
impossibile.
Il New York Times,
in un editoriale solenne e impegnativo per la linea del quotidiano, pende dalla
parte del giudizio positivo sulle azioni di Snowden: “Può darsi che abbia
commesso reati, ma merita molto più di una vita in esilio, in fuga e nel
terrore, perché ha reso un enorme servizio agli Stati Uniti”. E il Guardian riflette gli umori degli
inglesi, e degli europei, che al 60% considerano il whistle blower, il cittadino che ha fischiato i tremendi falli
dell’intelligence Usa, si chiede come sia possibile che un uomo che “fa il
proprio dovere civico e costituzionale sia trattato come un criminale”.
Negli Usa, come Obama sa ovviamente bene, il giudizio è molto
più frammentato. Una maggioranza di coloro che si definiscono “ Democratici”,
quindi suoi elettori, approvano quanto Snowden ha fatto e aborrono quelle
tecniche di sorveglianza che un giudice ha già definito “quasi orwelliane”, Ma
una simmetrica maggioranza di repubblicani è per la crocifissione.
Negli Usa, come Obama sa ovviamente bene, il giudizio è molto
più frammentato. Una maggioranza di coloro che si definiscono “Democratici”,
quindi i suoi elettori, approvano quanto Snowden ha fatto e aborrono quelle
tecniche di sorveglianza che un giudice ha già definito “quasi orwelliane”. Ma
una simmetrica maggioranza di repubblicani è per la crocifissione giudiziaria e
accetta il patto faustiano che era scritto nella legge sulla sorveglianza
varata da Bush dopo il 9/11: la sicurezza e la prevenzione dalle minacce
terroristiche valgono bene l’intercettazione a tappeto di telefonate e di
frequentazioni della Rete.
In questa lacerazione, che ha comunque strappato il velo che
copriva la metastasi dell’intelligence elettronica e che lo stesso Obama ha
condannato, scava e fruga con delizia quel Vladimir Putin, uno che di
intrusioni nella vita degli altri, da ex ufficiale del Kgb, s’intende. Snowden
è completamente in suo potere e il Cremblino stringe e apre il rubinetto delle
rivelazioni e delle interviste che lui concede, sapendo che ogni parola, e ogni
file, rilasciati saranno altro sale
nella ferita purulenta dello scandalo.
Snowden è la risposta che Mosca sfodera quando sente che la
pressione sulla propria microscopica credibilità civile aumenta e vuole, almeno
per qualche giorno, spingere fuori dalle pagine dei media americani e
occidentali la persecuzione del giornalismo critico in Russia, la vergogna
delle leggi anti omosessuali e l’incubo del terrorismo che grava sulle
olimpiadi invernali.
Ma se le tattiche di Putin sono riconoscibili, e la
disponibilità di Snowden – di fatto suo prigioniero – ad assecondarlo è
inevitabile, il problema rimane fermamente sulla scrivania dello Studio Ovale.
La tendenza di Obama all’evasività e alla procrastinazione è messa sotto il
tiro dei media che non gli permetteranno, come non gli permetteranno i
tribunali, di ignorare questo elefante nel soggiorno della credibilità
democratica americana.
Ci sarebbe una soluzione, ma politicamente, nell’anno delle
elezioni parlamentari Usa, sarebbe esplosivamente controversa: concedere a
Snowden l’immunità giudiziaria in cambio della sua piena collaborazione alla
bonifica della palude spionistica, come infinite volte fu fatto con autentici
farabutti, mafiosi, bancarottieri e con altri whistle blower, con chi
denunciava malefatte di privati o di governi. E’ quella soluzione del male
minore – l’infedeltà di Snowden – accettato per colpire un male maggiore –
l’infedeltà alla costituzione di un braccio del governo – che restituirebbe
agli Stati Uniti l’onore violato non da un giovanotto inquieto, ma dal governo
stesso, che ha giurato di difendere i diritti civili scolpiti nella
Costituzione.
Vittorio Zucconi – La Repubblica – Venerdì 3 gennaio 2014
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