Buonanotte ai Senatori
L’unica soluzione
praticabile per riformare la Costituzione è abolire il Senato.
Introducendo il
monocameralismo. Ma serviranno altri contrappesi: più poteri al Capo dello
Stato, ricorso diretto alla Consulta delle minoranze.
Riforme
costituzionali? A parlarne, rischi una denuncia per maltrattamenti: chi ti
ascolta finirà per slogarsi le mascelle a forza di sbadigli. Perché l’argomento
non è fra i più eccitanti, e perché il chiacchiericcio dura da trent’anni, senza
cavare un ragno dal buco. Meglio, molto meglio, concentrarsi sui temi
dell’occupazione, della concorrenza, dei salari. C’è tuttavia un legame fra le
nostre ingessate istituzioni e la camicia di gesso che blocca l’economia
italiana. Quando il sistema si rivela incapace di produrre decisioni, quando è
perennemente ostaggio dei veti incrociati, quando infine la voce del padrone ha
il timbro rauco delle lobby, l’unica industria è quella dei favori. E infatti
l’Italia, dal 2000 in poi, ha registrato la crescita più bassa del pianeta, se
si eccettua Haiti.
Da Qui L’Urgenza di correre ai ripari. Sbarazzandosi
in primo luogo di due Camere gemelle, che s’intralcino a vicenda. Il
bicameralismo paritario ci ha donato in sorte un procedimento legislativo
macchinoso, una pletora di parlamentari che riempirebbe la tribuna di San Siro,
governi ballerini come Carla Fracci. Sicché, almeno in questo caso, l’accordo è
trasversale. Però, attenzione: meglio nessuna riforma che una cattiva riforma.
E d’altronde – come osservò Aristotele – se una Costituzione si può migliorare,
significa che si può anche peggiorare.
Eppure i nostri eroi promettono di riuscire nell’impresa.
Quale mai sarebbe la loro ricetta? A quanto pare, un bicameralismo
differenziato, assegnando in esclusiva ai deputati il potere di vita e di morte
sui governi, nonché l’officina delle leggi. E i senatori? Verificano,
ispezionano, controllano, manco fossero altrettanti Sherlock Holmes. Richiamano
in seconda lettura le leggi più importanti, quindi andranno in porto solo le
leggi più insignificanti. Rappresentano i territori regionali, cone se invece
la Camera debba rappresentare Marte. E in che modo varcano l’uscio del Senato?
Attraverso un’elezione a suffragio universale, secondo una corrente di
pensiero; ma allora ci risiamo col doppione. Attraverso un seggio di diritto
per governatori regionali e sindaci, secondo un’altra opinione; però il doppio
mestiere riesci a farlo se la tua giornata è di 48 ore.
E no, messa così diventa un pateracchio. In primo luogo
perché questo colpo d’ingegno s’iscrive non tanto nell’ingegneria quanto
nell’archeologia costituzionale: la “Camera delle regioni – era un’idea di
quarant’anni fa (Nicola Occhiocupo ci scrisse sopra un libro nel 1975). In
secondo luogo perché il Senato diverrebbe – come pure è stato detto – non tanto
una seconda Camera, quanto una Camera secondaria. E in terzo luogo, chi li
convince i senatori a segarsi gli attributi? Eppure alla riforma servirebbe pur
sempre il loro assenso, cozzando contro il paradosso illustrato nel 1932 da
Fraenkel: quando il riformatore coincide con il riformato, nessuna riforma
sbuca mai fuori dal cilindro.
La Via D’Uscita? Una sola Camera, e buonanotte ai
suonatori, pardon, ai senatori. Ma buonanotte pure ai deputati, sicché nessuno
ci rimette, nessuno ci guadagna. Politicamente, è l’unica soluzione
praticabile. Giuridicamente, soddisfa quattro imperativi: rappresentare,
decidere, semplificare, ridurre (il numero dei parlamentari). Una proposta di
cui si discusse quest’estate in seno alla commissione governativa sulle
riforme, e sulla quale due costituzionalisti (Ciarlo e Pitruzzella) hanno
scritto un documento dettagliato. Ma soprattutto un sistema ormai vigente in 39
Stati, e non soltanto in contrade esotiche e remote. Hanno un Parlamento monocamerale
Paesi come la Svezia, la Scozia, l’Ucraina, il Portogallo, Israele, la
Danimarca, la Grecia, la Norvegia.
Certo, rinunziando a una Chambre de reflection serviranno
altri contrappesi, per scongiurare i colpi di mano. Ma si può fare potenziando
il ruolo del capo dello Stato, permettendo il ricorso diretto delle minoranze
parlamentari alla Consulta, prescrivendo maggioranze qualificate per
determinate leggi. Tutto si può fare, se c’è un grammo di buon senso. Ma in
Italia – diceva Manzoni – il buon senso se ne sta ben nascosto, per paura del
senso comune.
Michele.ainis@uniroma.3.it - L’Espresso 2 gennaio 2014
Nessun commento:
Posta un commento