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mercoledì 1 gennaio 2014

Lo Sapevate Che: Ma Quanto Dura La Vera Felicità?...


E’ una condizione meravigliosa che si accende con la passione, ma che “càpiti” non basta: per restare esige anche un nostro continuo e costante lavoro

Sono una ragazza di 20 anni. In questi giorni, mi capita spesso di pensare di essere felice, anche  con la paura di urlarlo al mondo.
Ma la felicità vera esattamente cos’è? Gli amici me lo chiedono spesso “Sei felice?”, e ogni tanto non so cosa rispondere e dubito se lo sono davvero. Ho letto un libro che parlava della felicità dove lo scrittore diceva che quando ti svegli con una musica allegra e un pensiero positivo in mente sei felice per tutta la giornata. A volte quando non sono dell’umore giusto ci provo, e penso che forse ha ragione. A volte, invece, mi rendo conto che avere una famiglia e degli amici con cui piangere e gioire è una situazione che dà la felicità. Ma esattamente, come definirla e riconoscerla?
Io l’ultima volta che sono stata davvero felice è stato quando ho ricevuto la chiamata di una persona a cui tengo e in cui speravo ogni giorno. Quel giorno è arrivato e ha portato la felicità. E’ questa, allora?
Lettera firmata

Quando l’inaspettato che aspettavamo accade, siamo felici. Penso che l’inaspettato che lei aspettava si chiama “amore”, quello iniziale, quello che comincia alimentato dalla passione che, come scrive Stendhal “non è cieca, è visionaria”.
E’ la felicità che Freud assimila al delirio, che, rispetto ai deliri patologici, “ha l’unico pregio di essere breve”. Infatti, dopo l’incantamento che fa vedere il mondo tutto a colori, incomincia il disincanto che sfuma la felicità in quella sona, non sempre a colori, che è la ripetizione e la quotidianità. La felicità promossa dalla passione è una felicità che dipende dall’altro. E’ stupenda nella sua fase iniziale, ma non dura. L’idealizzazione che abbiamo fatto dell’altro si stempera e accanto al suo aspetto luminoso, che la nostra idealizzazione aveva creato, compare la sua ombra. Solo se siamo capaci di amare anche la sua ombra, solo in quel momento nasce la felicità che dura.
Prima la felicità non chiedeva alcun lavoro da parte nostra, la passione ci trascinava senza che noi si opponesse alcuna resistenza. In questa mancanza di sforzo la felicità ci invadeva e, per effetto della sua fascinazione, non ci accorgevamo di porre la nostra felicità nelle mani dell’altro. La passione si chiama proprio così perché è un “patire l’altro”. In quella condizione non possediamo noi stessi, ma siamo posseduti. E la felicità che ci invade non dipende da noi, ma dall’altro a cui abbiamo consegnato l’anima.
Per trovare la felicità che dura, penso che non basta svegliarsi “con una musica allegra e un pensiero positivo”, perché anche in questo caso siamo passivi: “ascoltiamo” e non “creiamo” noi quella musica. I pensieri, poi, ci vengono e il loro colore non lo decidiamo noi. La felicità, quella vera, ci vuole attivi. E’ una felicità che non ci “capita”, ma che dobbiamo “costruire” a partire dal primo insegnamento dell’oracolo di Delfi che dice: “Conosci te stesso”. Se evitiamo questa conoscenza, nella vita prendiamo solo abbagli, inseguiamo modelli che non ci corrispondono, perché non sappiamo chi siamo, non conosciamo la nostra virtù, la nostra inclinazione, in termini religiosi, la nostra vocazione, ciò per cui siamo nati. E quindi non realizziamo quello che gli antichi chiamavano il nostro “demone”, dalla cui realizzazione scaturisce la felicità, in greco “eu-daimonia”, la buona riuscita di sé.
Ma il secondo insegnamento dell’oracolo di Delfi ci dice anche che questa realizzazione deve avvenire “secondo misura”, perché dopo la conoscenza di sé è necessaria anche la conoscenza del nostro limite, perché chi ignora il proprio limite, prepara la sua rovina.
Se ci atteniamo a queste due massime, costruiamo la felicità che dura, la quale non esclude la felicità che ci capita, quella innescata dalle passioni, ma la riconosce nei suoi limiti e non fa esclusivo affidamento a ciò che ci accade senza un nostro lavoro. Il lavoro della realizzazione di sé non conosce abbandoni e tradimenti, perché non abbiamo consegnato l’anima per intero a un altro come quando siamo trascinati dalla passione.
Detto questo, non perda il suo entusiasmo e le sue giornate felici. Alla sua età deve vivere tutte le sue passioni, basta che sappia che hanno la durata di un giorno, mentre la felicità che dura è più esigente, vuole la conoscenza di sé e la sua autorealizzazione, che può essere anche il dono di un altro, ma solo se l’altro, oltre all’amore, le riconosce anche la sua alterità, e non la misconosce in quelle forme di possesso in cui gli amori spesso si risolvono spegnendo la felicità. Per sempre.

 umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 7 dicembre 2013

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