Quanto Buonismo Nelle
Nostre Fiction
Alcune serie tv
americane, così come i drammi storici inglesi di Shakspeare, celebrano il
potere.
Ma almeno sono fatte
bene e vengono ricordate.
Da noi, invece, si
vedono acritiche agiografie di santi e padri della patria
La propaganda filogovernativa è sempre esistita e ha sempre
utilizzato i mezzi più popolari, quelli più seguiti dal pubblico, quelli che
spesso la critica di settore per snobismo o per acritico entusiasmo non ha
potuto interpretare, se non a distanza di anni, talvolta decenni, altre
addirittura a distanza di secoli.
Questa riflessione parte da un articolo molto interessante
pubblicato su Jacobin (un magazine “of the American left”) tradotto in Italia
da Internazionale. “La fiction al potere” è l’argomento della riflessione e
davvero credo valga la pena provare a comprendere come tutto ciò che sia di
massa diventi immediatamente strumenti
utile per i governi, soprattutto nei momenti di transizione, di giustificare azioni
che agli occhi degli elettori potrebbero risultare incomprensibili.
L’Articolo Si Concentra su due serie televisive
statunitensi: “24” e “Homeland”. La prima è stata prodotta dal 2001 al 2010 e
riflette “lo stile cowboy dell’amministrazione Bush”; la seconda, a partire dal
2010, - i creatori delle due serie sono gli stessi – è, invece, un prodotto
dell’era Obama. Osservare queste due serie è utile perché mostra quanto sia
determinante l’influenza delle agenzie governative statunitensi sui prodotti
culturali, che dal 2001 in poi si concentrano sostanzialmente su questioni
legate alla sicurezza nazionale. Ma come spesso accade l’osmosi è perfetta: se
da un lato le piccole concessioni da parte degli autori portano alla
possibilità di poter accedere a location altrimenti inaccessibili, dall’altro
il riuscire a inventare nuovi scenari inediti per attentati e pericoli
imminenti, mette in guardia gli apparati di sicurezza cui troppo spesso manca
la fantasia per poter prevedere il futuro. Incredibile: le fiction che
suggeriscono ai governi dove cercare il pericolo e come eventualmente
neutralizzarlo.
Ma la propaganda oggi ha il sapore del complotto, solo del
complotto, e quando diventa palese, tutto il resto finisce per perdere
spessore. Questo mio non è un invito ad apprezzare la capacità che i governi
hanno di piegare i prodotti culturali ai loro scopi – vale la pena
sottolinearlo – ma, piuttosto all’osservazione critica anche dei prodotti
culturali che ci piacciono cercando di comprendere se attirano la nostra
attenzione per loro qualità intrinseche o per la capacità che hanno di
intercettare lo Zeitgeist o il consenso dei governi. Insomma, non tutto ciò che
piace è “buono” o eticamente corretto. Non deve per questo smettere di
piacerci, ma spingerci a riflettere e a trovare gli strumenti per godere di un
prodotto sapendo che è legato al contesto in cui nasce. A questo punto
cerchiamo di recuperare, nella nostra memoria, altri lavori che sono stati
propaganda ma che il tempo ha trasformato, senza sbagliare, in opere d’arte, in
capisaldi della cultura mondiale.
I drammi storici di Shakespeare sono forse l’esempio massimo
di come si sia potuto celebrare il potere dei Tudor senza blandirlo e senza
servilismo. I suoi ritratti dei Plantageneti – re, regine e nobili che hanno
governato e rovinato l’Inghilterra – sono talmente potenti che ormai è
difficilissimo distinguere la realtà dal mito. E quando, a settembre 2012 sotto
un parcheggio a Leicester, sono stati trovati i resti di Riccardo III, il più
terribile tra i re d’Inghilterra, ci si domandava se lo studio delle ossa non
avrebbe per caso rivelato le stesse spaventose sembianze che Shakespeare aveva
descritto nell’omonimo dramma, ovvero quelle di un uomo deforme, quelle di “un
ragno gobbo”.
Che Gli Shakespeare di oggi siano i creatori delle serie
tv farà sorridere, ma se pensiamo alla diffusione e alla popolarità del teatro
in epoca elisabettiana a Londra, il paragone, per quanto incredibile, potrebbe
anche essere calzante. E non è detto che nella miriade di produzioni non ce ne
sia qualcuna che verrà ricordata a distanza di secoli, magari riadattata,
attualizzata. Mi sorge invece il dubbio che nulla resterà delle tante acritiche
agiografie di santi e padri della patria diffuse in Italia a mezzo fiction negli ultimi anni. Ritratti buonisti, senza
chiaroscuri e sfumature – che dovrebbero costituire il senso di ogni narrazione
– immoralmente liquidati dalla geniale caricatura di “Padre Frediani” che gli
amanti di Boris, ricorderanno. Con amaro piacere.
Roberto Saviano – L’Espresso – 9 gennaio 2014
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