Eccolo 2014; cento anni dopo l’inizio di quella terribile guerra, che la
memoria storica ha registrato come la
Grande Guerra, non volendo essere accusati di arroganza, non possiamo che
chinare il capo, onorare quei milioni di giovani vite stroncate, e interrogare
senza posa cimiteri silenziosi, una sterminata letteratura, testimonianze,
lettere, testamenti di martiri, oggetti perduti nelle case, responsi, profezie,
conseguenze, luoghi. E su tutto c’è l’ombra dell’Inspiegabile. Non sono uno
specialista ma so che pensare l’Inspiegabile è tornare indietro con le mani
vuote. Eppure è quell’ombra, che nasconde le chiavi dell’enigma.
Al termine dell’anno che viene ci saranno una quantità di
rievocazioni, celebrazioni, nuove scoperte e interpretazioni: poiché quel rogo
brucia ancora. E non inutilmente, perché la retorica nazionalista del primo
dopoguerra oggi ha il collo spezzato, passerà l’anno del centenario, se non
sarà servito a dissipare certezze che non reggono e luoghi comuni che
confondono le idee ma a una generazione ignorantissima di storia, abbrutita di
presente, privata di ancoraggi morali, che cosa racconteremo perché educhi e
s’imprima? Se la memoria di una immensa vergogna e di uno spaventoso regresso
di civiltà possa educare positivamente chi ne ignora tutto, perfino l’epoca e
il nome. Qualche luogo comune posso incaricarmi di toglierlo, fin d’ora, io. Ed
è luogo comune stupirsi che tra una così fantastica rete di prospere relazioni
commerciali, monarchie imparentate, classi rivoluzionarie ultrapacifiste, un
simile Evento abbia potuto verificarsi. Sussiste tuttora la fede cieca che,
stabilendo fruttuose intese commerciali e industriali con reciproca convenienza,
si assicuri tra due o più paesi un futuro di pace. E allora c’erano, le buone
relazioni, e le ferrovie collegavano migliaia di stazioni, e i passaporti
stavano diventando superflui, e le Expo Universali sventolavano di vessilli che
annunciavano fraternità imperiture…
Però. Il Destino aveva alzato, nell’ombra, un bell’Asso di
Picche. E quell’essere umano evoluissimo, raffinato bene, che si rifletteva nel
libro Cuore, già spesso col bagno dentro casa, acqua corrente, sapone Pears,
covava una ineffabile sete di barbarie e di imbarbarimento. I letterati scalpitavano
perché il nichilismo senza più Dio si purgasse in un lavacro di sangue
smisurato, riempito d’ideale romantico, che avrebbe incoronato, detronizzato il
Sacro precedente, la Vita Prima di essere scavata freneticamente con le pale,
la Trincea era là.
Difficile poter credere che l’uomo dia libero di scegliere
tra bene e male. Prima del 1914, Freud aveva impartito lezioni sul
sadomasochismo e il fantastico cetaceo meccanico, il Titanic, era colato a
picco in tre ore nella notte atlantica. Mettiamo insieme un gran mazzo di segni
e di presagi e comprenderemo che la guerra era inevitabile.
Il sogno era finito, la parola alla mitragliatrice.
Che cosa sia la volontà popolare è da lasciare a chi crede di
saperla interpretare. Il susseguirsi delle dichiarazioni di guerra furono
altrettante esplosioni di giubilo nelle capitali europee. Stefano Zweig
racconta l’indifferenza di Vienna per l’assassinio degli Arciduchi a Sarajevo
il 28 giugno, perché Francesco Ferdinando, poveretto, era un erede al trono dei
più maleamati, mentre il grande beneamato era stato Rodolfo, quello della
leggenda di Mayerling, suicida nel 1888. Ma quando, un mese dopo, ci fu
l’ultimatum della Serbia, la risposta popolare fu entusiastica, e frenesia di
indossare l’uniforme pervase le case benestanti, i ragazzi respinti dai
distretti ritentavano disperati.
(…)
L’enorme numero dei dispersi in tutte le nazioni impegnate e
la repentinità delle morti, spesso dello stesso villaggio, o quartiere o
istituto, diedero vita a un fenomeno unico: il diffusissimo ricorso alla medium
e ai tavolini spiritici. “Dove sei? Perché non scrivi? Quando torni? Che cosa
ti trattiene?”. A volte, nelle giovani donne, l’ansia mascherava il desiderio
che il disperso non tornasse affatto, avendo incontrato ben lontano dai fronti,
un imboscato da amare. (La storia emblematica di un amore di guerra senza
guerra è il diavolo in corpo di Raymondo Radiguet). Era forte, nelle classi
colte, l’influenza delle società teosofiche e antroposofiche: il corpo eterico,
sfuggito al cannoneggiamento che dissolveva la carne, era sciolto da ogni
servitù militare: di qui l’incredulità nella realtà della morte e la speranza
tenace che quei caduti nel furore degli anni, corpi disincarnati, avrebbero
risalito, finita la guerra, o il giorno, la notte dopo, il fiume senza ritorno.
La guerra italiana gronda memorie e narrazioni in Italia, e
di conseguenze funeste, ma gli storici europei non l’avrebbero notata se non ci
fosse stato Caporetto. Davvero fu una grazia! Seicentomila morti, e un anno
meno di guerra – un’inezia! Liddell Hart nella sua celebre History of the First
Word War dedica 6 pagine, sei, a Caporetto; e il Piave, mah, chissà dove si
sarà ficcato… Fortunati almeno in letteratura di vissuto storico e
retrospettivo: Gadda, Comisso, Piovene, Silvestri, Omodeo…Mio padre, quando gli
feci leggere Isonzo 1917 di Silvestri si era sentito vendicato. Era stato uno
di quei poveri sfiniti fanti che avevano passato a guado, col fucile sulla
testa. Il Piave in piena Mezzo secolo dopo la smobilitazione, gli fu elargita
la pensione: sessantamila lire che andava a ritirare alle Poste tornandosene
raggiante. Anche da questo capisci che non si vive, né mai vivremo, di solo
pane.
Guido Ceronetti – La Repubblica – 02 gennaio 2014
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