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venerdì 3 gennaio 2014

Lo Sapevate Che: Riportare La Finanza Al Servizio Dell'Economia Reale


(…) . Tuttavia , se c’è una proposta che le accomuna è la riduzione delle dimensioni dei maggiori gruppi bancari. Essa viene in genere considerata indispensabile per diversi motivi, più volte qui richiamati: ridurre il potere che tali gruppi detengono  sull’economia come sulla politica; diminuire il rischio di una nuova crisi  ancora più grave di quella iniziata nel 2007; evitare che in presenza del rischio di collasso sistemico, connesso al possibile fallimento di banche troppo grandi per essere lasciate fallire, si rendano nuovamente necessarie nel prossimo futuro misure di salvataggio comportanti oneri gravosi per i bilanci pubblici e per i contribuenti.
Dal fronte delle banche e dei loro gruppi di esperti la proposta di ridurre drasticamente le dimensioni dei gruppi bancari viene contrastata con due argomenti: a) l’elevatissima crescita delle attività finanziarie, quale si è verificata in specie dagli anni Ottanta, favorisce lo sviluppo economico; b) l’aumento delle dimensioni di un gruppo bancario è stato perseguito perché più esso è grande più cresce la sua produttività, il che si traduce in minori costi dei servizi per i clienti piccoli e grandi. Accade però che ricerche di ampia portata non sorreggano nessuna delle due affermazioni.
Alla domanda “c’è in giro troppa finanza?” risponde affermativamente un nutrito rapporto del Dipartimento ricerca del Fmi, apparso a giugni 2012, in cui viene esaminato un gran numero di ricerche empiriche su questo tema distribuite nell’arco di oltre due decenni”. Gli autori concludono che l’aumento della cosiddetta “profondità finanziaria”, definita in un altro studio dello stesso Fmi come lo sviluppo dei mercati finanziari, la creazione di una vasta platea di prodotti finanziari per la ripartizione del rischio e la capacità dei mercati e degli intermediari di trattare grossi volumi di capitale senza effetti rilevanti sui prezzi degli attivi, ha un effetto positivo sullo sviluppo nei Paesi emergenti. Per contro l’effetto diventa nullo o negativo nei Paesi avanzati. L’inversione di tendenza si osserva allorché il credito al settore privato raggiunge l’80-100 per cento del Pil. (…) . Dato che per la massima parte essi sono formati da crediti al settore privato, appare corretto dedurre che il limite del 100 per cento del Pil sia stato da questi largamente superato.
Dagli anni Novanta in avanti il sistema bancario europeo è stato contrassegnato da un vorticoso susseguirsi di fusioni e acquisizioni, che hanno ridotto il numero delle banche all’incirca da 14.000 a 7.000, mentre hanno ingigantito a dismisura i venti o trenta gruppi maggiori. Gli studi disponibili attestano che tali operazioni di “consolidamento”, come vengono chiamate, sono state perseguite in prevalenza per scopi quali: creare valore per l’azionista; accrescere le proprie dimensioni per ridurre il rischio di venire conquistati da un gruppo concorrente; annettersi linee di prodotto presenti nella banca bersaglio, evitando l’onere di doverle sviluppare da sé; conquistare nuovi mercati all’estero, soprattutto negli Stati dell’Europa orientale, soggetti a partire dagli anni Novanta a una rapida ed estesa privatizzazione degli Istituti e dei mercati finanziari. Gli aumenti di produttività dei servizi resi ai privati e al pubblico, quando mai si sono materializzati, sono stati in genere una conseguenza indiretta dell’acquisizione di banche piccole e poco efficienti da parte di grosse banche che le organizzano a fondo. A un prezzo pagato soprattutto dal peronale: si stima che soltanto le fusioni e acquisizioni del periodo 1990 – primi anni Duemila abbiamo portato alla cancellazione di 130.000 posti di lavoro nel settore finanziario della Ue.
(…)
Luciano Gallino
Il Colpo di Stato di Banche e Governi – L’attacco alla democrazia in Europa


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