Centrali di
intercettazione Usa a Milano e Roma. Per monitorare milioni di telefonate
durante la crisi del governo Monti. Ma le nostre autorità non reagiscono
Confusa tra parabole satellitari e impianti dell’aria
condizionata, sui tetti del consolato americano di Milano c’è una potente
centrale di spionaggio. Un apparato totalmente automatizzato che cattura
telefonate d’ogni genere, scegliendo su quali bersagli concentrare
l’attenzione, e subito li ritrasmette negli Stati Uniti. I documenti di Edward
Snowden lo indicano come attivo al 13 agosto 2010, quando anche a Milano
stavano per arrivare nuovi congegni: gli stessi che avrebbero permesso da
Berlino di ascoltare le conversazioni di Angela Merkel. Strumentazioni
identiche a quelle installate nella stazione di spionaggio ospitata
all’ambasciata statunitense di Roma. Lì in una soffitta di via Veneto agisce a
tempo pieno un team del Scs, Special Collection Service, gli 007 della
vigilanza elettronica globale.
Come testimoniano i File di Snowden, le loro attività sono
condivise con i colleghi del Five Eyes, il patto di ferro che unisce
l’intelligence americana, brittanica, australiana, canadese e neozelandese.
L’Italia per loro è un sorvegliato molto speciale. Uno dei pochissimi paesi a ospitare
ben due centrali di ascolto del Scs. Ed è anche lo snodo dei cavi in fibra
ottica che uniscono il mondo occidentale con Africa e Medio Oriente, i canali
dove scorrono conversazioni telefoniche, email e traffico web sistematicamente
intercettato dagli inglesi. Non solo: la nostra ambasciata a Washington è stata
presa di mira da due operazioni di spionaggio. Una chiamata misteriosamente
Bruneau. L’altra battezzata con un nome più evocativo: Hemlock ossia cicuta, la
pianta velenosa con cui si uccise Socrate.
E’ la nuova sovranità limitata, la versione elettronica di
quanto accaduto durante la guerra fredda: i file di Snowden mostrano come tutte
le comunicazioni in Italia sono alla portata delle reti americane e
britanniche. I nostri servizi segreti continuano a ripetere che si tratta di
“informazioni non confermate”. Ma gli stessi documenti analizzati da “l’Espresso”
sono stati pubblicati da “Spiegel”, “Guardian”, “Le Monde”, “El Mundo” e
“Sueddeutesche Zeitung”, senza ricevere smentita. Anzi, i governi di Berlino,
Parigi, Madrid hanno reagito con determinazione, convocando gli ambasciatori
statunitensi e chiedendo chiarimenti personalmente al presidente Obama. In
Italia solo mezze dichiarazioni, smentite e blande prese di posizione. Da parte
del premier e dei ministri, ma soprattutto della nostra intelligence. Anche in
questo caso, il copione ricorda un vecchio canone delle trame nostrane: il muro
di gomma, per insabbiare le rivelazioni pericolose o diluirle con altre notizie
come quelle sui tentativi di hacker aggio russi al G-20.
Che lo spionaggio americano non sia stato mirato alla lotta
al terrorismo lo dimostrano i flussi della raccolta di dati sulle telefonate.
Nei documenti di Snowden c’è il calendario delle conversazioni monitorate in
Italia nel dicembre 2012: tra lunedì 10 e venerdì 21 ne controllano quasi 4
milioni al giorno. L’attività degli 007 statunitensi crolla da sabato 22
dicembre: mezzo milione di chiamate vigilate, ancora meno il 23 e la vigilia di
Natale. Poi più nulla fino a venerdì 28, quando catturano mezzo milione di
conversazioni. E quindi ancora silenzio fino all’8 gennaio. Perché? I miliziani
islamici festeggiavano il Santo Natale e l’Epifania? Oppure erano andati a
sciare senza portarsi dietro il cellulare?
No, le finalità di questa gigantesca schedatura sono altre.
Il record di controlli avviene nelle settimane delle dimissioni di Mario Monti
da Palazzo Chigi: l’inizio della campagna elettorale più incerta della Seconda
Repubblica. Il picco massimo scatta giovedì 13 dicembre, quando si conclude il
primo mandato di Giorgio Napolitano, lasciando la nazione senza premier né
presidente. In questo periodo lo spionaggio quotidiano in Italia supera quello
in Francia ed è inferiore in Europa solo a quello nei confronti della Germania.
Le priorità di Washington nella sorveglianza sono indicate in
un altro file di Snowden: al primo posto ci sono “le intenzioni della leadership”,
poi la “stabilità economica”, quindi le “minacce alla stabilità finanziaria” e
gli “obiettivi di politica estera”. Ossia tutto quello che in quei giorni era
messo in discussione dallo scioglimento delle Camere. Se anche lo spionaggio si
fosse limitato al censimento di massa delle conversazioni – chi chiama chi, con
quale sim e da quale cellulare – si tratterebbe di una grave intromissione
nella vita democratica del paese. Ma non si può escludere che siano stati pure
registrati i colloqui e seguiti i movimenti degli apparecchi. Le regole Usa
vietano infatti l’ascolto e la tracciatura degli spostamenti solo nei confronti
cittadini statunitensi.
Capire cosa è successo nel nostro Paese, quali persone e
quali istituzioni sono state spiate dovrebbe essere fondamentale. Anche perché tra gli interessi dell’intelligence americana
c’erano altre questioni di rilevante natura commerciale. Come “i sistemi
d’armamento convenzionali avanzati”, il cuore dell’export di Finmeccanica, e
“la sicurezza energetica”, materia che riguarda molto da vicino l’Eni. In che
maniera i dati catturati possono essersi tradotti in una concorrenza sleale verso
le aziende italiane?
Di fronte allo tsunami di rivelazioni, fino a lunedì 28
ottobre i servizi segreti diretti dall’ambasciatore Giampiero Massolo hanno
fatto catenaccio. Si sono trincerati dietro una serie di distinguo tra
monitoraggio e intercettazioni, smentendo tutte le notizie che riguardavano il
nostro Paese. Il giorno dopo qualcosa è cambiato. Il premier Enrico Letta ha
convocato il comitato di ministri che vigila sulla sicurezza, chiedendo alla
nostra intelligence “ di fare chiarezza”. Marco Minniti, sottosegretario con
delega ai servizi, ha riconosciuto: “ E’ evidente che c’è un problema che
riguarda l’intelligence del paese più potente del mondo, gli Usa”. Per poi
garantire “ su correttezza e lealtà dell’intelligence italiana”, promettendo
che questa difenderà “ i principi di sicurezza e di libertà dei cittadini
italiani senza guardare in faccia nessuno”. E’ sempre stato così? Da decenni
nostri agenti sono abituati ad agire in strettissimo rapporto con i colleghi
americani. Quasi in osmosi, come testimoniano i casi in cui le missioni
congiunte sono finite male: dai finti dossier del Nigergate, passati da Russia
a Washington per giustificare l’invasione dell’Iraq, al sequestro di Abu Omar.
Lo ha ricordato lo stesso Minniti poche settimane fa citando un episodio
avvenuto durante l’esecutivo D’Alema: “I nostri servizi fecero un’operazione ed
un autorevole direttore di un’agenzia straniera venne in Italia e volle
incontrarmi nella mia funzione di sottosegretario ai servizi, per sapere come
era stata fatta. E questo perché, per la prima volta, non avevamo saputo
dettagliatamente ed in anticipo quello che avrebbe fatto l’intelligence
italiana”.
Oggi l’Italia sta perdendo un’occasione imperdibile per
uscire dalla serie B delle potenze internazionali. Dietro la voce grossa di
Germania e Francia cìè un obiettivo strategico: entrare a pieno titolo nel Five
Eyes, il patto di scambio delle informazioni top secret che unisce Usa e paesi
anglosassoni. Per Parigi e Berlino, sedere a quel tavolo è l’unico modo per evitare
altre intrusioni. Roma invece tentenna, incapace di uscire da un passato di
sovranità limitata e muri di gomma.
Gianluca Di Feo – L’Espresso – 7 Novembre 2013
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