Non Violate quel Segreto
Una tassa dal 10 al 20
per cento sui capitali italiani che tornano. Ma niente scudo sui nomi. Così la
trattativa si arena
Adesso a Roma sperano che gli americani se lo prendano il più
presto possibile. L’arresto del banchiere Raoul Weil, fino a pochi anni numero
tre dell’Ubs, la più grande banca elvetica, rischia di creare nuovi ostacoli
sul percorso già molto accidentato della trattativa tra Italia e Svizzera sul
rientro dei capitali. Weil è stato bloccato il 20 Ottobre a Bologna dove era di
passaggio. Su di lui pendeva un mandato di cattura del dipartimento di
giustizia di Washington che lo accusa di aver agevolato l’evasione fiscale di
20 mila clienti statunitensi di Ubs.
A prima vista sembrerebbe una controversia tra Berna e gli
americani. L’arresto del banchiere finisce però per portare acqua al mulino di
chi, in Svizzera, si oppone a un accordo con i Paesi europei per la
restituzione dei capitali esportati illegalmente nelle banche elvetiche. Un
problema in più anche per il governo italiano che da settimane cerca di
riannodare la fila della trattativa con Berna. Non era mai successo che nelle
maglie della giustizia restasse impigliato un pesce così grosso. Il top manager
svizzero, infatti, era il responsabile della divisione wealth management di Ubs
e come tale aveva l’ultima parola sulla gestione dei capitali dei grandi
clienti americani. Il governo Usa ha chiesto l’estradizione, ma intanto
l’arresto ha ovviamente avuto vasta eco nella Confederazione.
La lobby dei banchieri ne ha approfittato per tornare
all’attacco della ministro delle Finanze Eveline Wilmer-Schlumpf. “Ci siamo
arresi di fronte alle richieste della comunità internazionale”. Dicono i
difensori a oltranza del segreto bancario. E l’accordo che nei mesi scorsi ha
fatto scalpore è proprio quello siglato con gli Usa anche per effetto delle
pressioni fortissime esercitate dal governo di Obama. L’accordo mette a
disposizione del fisco Usa la lista dei contribuenti che hanno nascosto i soldi
in Svizzera. Berna ha siglato intese anche con Gran Bretagna e Austria, mentre
l’accordo con la Germania, il più importante per i valori in gioco (150
miliardi di capitali in nero), è stato bocciato dal Parlamento di Berlino.Per
l’Italia si parla di un tesoro di almeno 120 miliardi di euro depositati
illegalmente in Svizzera, ma alcune stime parlano di 180-200 miliardi. Lo
schema della possibile intesa ricalca in parte quella siglata con Londra. Sui
capitali regolarizzati verrebbe prelevata un’imposta con un’aliquota che potrebbe
essere compresa tra il 10 e il 20 per
cento sulla base del tempo che i capitali sono rimasti nascosti in Svizzera
(più lungo il periodo, più elevato il prelievo). Un nodo centrale è quello
della non punibilità di eventuali reati derivanti dall’emersione di capitali in
nero. In sostanza il contribuente avrebbe la possibilità di sanare la sua
posizione pagando le imposte fissate nell’eventuale accordo italo - svizzero. Aliquote
che sarebbero ben più elevate rispetto alle penali irrisorie applicate in occasione
delle tre sanatorie varate negli anni scorsi dall’allora ministro Giulio
Tremonti e passate alla storia sotto il nome di scudo fiscale. Questa volta gli
evasori non solo sarebbero costretti a pagare molto di più. Ma perderebbero una
volta per tutte l’anonimato di cui godevano i loro conti in Svizzera. E questo
è il nodo principale su cui anche in Svizzera si è acceso il dibattito
politico. Widmer-Schlumpf punta a superare il segreto bancario per integrare a
pieno titolo il sistema finanziario elvetico in quello globale.
Chi critica il ministro dice invece che senza il mura di
riservatezza opposto dalle indagini fiscali straniere la Svizzera è destinata a
perdere gran parte della sua attrattiva per gli investitori. Per la
Confederazione sarebbe una catastrofe. Basta evocarla per frenare le
trattative. Compresa quella con l’Italia.
Vittorio Malagutti – L’Espresso – 14 Novembre 2013
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