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giovedì 14 novembre 2013

Lo Sapevate Che: Economia...


Non Violate quel Segreto

Una tassa dal 10 al 20 per cento sui capitali italiani che tornano. Ma niente scudo sui nomi. Così la trattativa si arena

Adesso a Roma sperano che gli americani se lo prendano il più presto possibile. L’arresto del banchiere Raoul Weil, fino a pochi anni numero tre dell’Ubs, la più grande banca elvetica, rischia di creare nuovi ostacoli sul percorso già molto accidentato della trattativa tra Italia e Svizzera sul rientro dei capitali. Weil è stato bloccato il 20 Ottobre a Bologna dove era di passaggio. Su di lui pendeva un mandato di cattura del dipartimento di giustizia di Washington che lo accusa di aver agevolato l’evasione fiscale di 20 mila clienti statunitensi di Ubs.
A prima vista sembrerebbe una controversia tra Berna e gli americani. L’arresto del banchiere finisce però per portare acqua al mulino di chi, in Svizzera, si oppone a un accordo con i Paesi europei per la restituzione dei capitali esportati illegalmente nelle banche elvetiche. Un problema in più anche per il governo italiano che da settimane cerca di riannodare la fila della trattativa con Berna. Non era mai successo che nelle maglie della giustizia restasse impigliato un pesce così grosso. Il top manager svizzero, infatti, era il responsabile della divisione wealth management di Ubs e come tale aveva l’ultima parola sulla gestione dei capitali dei grandi clienti americani. Il governo Usa ha chiesto l’estradizione, ma intanto l’arresto ha ovviamente avuto vasta eco nella Confederazione.
La lobby dei banchieri ne ha approfittato per tornare all’attacco della ministro delle Finanze Eveline Wilmer-Schlumpf. “Ci siamo arresi di fronte alle richieste della comunità internazionale”. Dicono i difensori a oltranza del segreto bancario. E l’accordo che nei mesi scorsi ha fatto scalpore è proprio quello siglato con gli Usa anche per effetto delle pressioni fortissime esercitate dal governo di Obama. L’accordo mette a disposizione del fisco Usa la lista dei contribuenti che hanno nascosto i soldi in Svizzera. Berna ha siglato intese anche con Gran Bretagna e Austria, mentre l’accordo con la Germania, il più importante per i valori in gioco (150 miliardi di capitali in nero), è stato bocciato dal Parlamento di Berlino.Per l’Italia si parla di un tesoro di almeno 120 miliardi di euro depositati illegalmente in Svizzera, ma alcune stime parlano di 180-200 miliardi. Lo schema della possibile intesa ricalca in parte quella siglata con Londra. Sui capitali regolarizzati verrebbe prelevata un’imposta con un’aliquota che potrebbe essere compresa tra il 10  e il 20 per cento sulla base del tempo che i capitali sono rimasti nascosti in Svizzera (più lungo il periodo, più elevato il prelievo). Un nodo centrale è quello della non punibilità di eventuali reati derivanti dall’emersione di capitali in nero. In sostanza il contribuente avrebbe la possibilità di sanare la sua posizione pagando le imposte fissate nell’eventuale accordo italo - svizzero. Aliquote che sarebbero ben più elevate rispetto alle penali irrisorie applicate in occasione delle tre sanatorie varate negli anni scorsi dall’allora ministro Giulio Tremonti e passate alla storia sotto il nome di scudo fiscale. Questa volta gli evasori non solo sarebbero costretti a pagare molto di più. Ma perderebbero una volta per tutte l’anonimato di cui godevano i loro conti in Svizzera. E questo è il nodo principale su cui anche in Svizzera si è acceso il dibattito politico. Widmer-Schlumpf punta a superare il segreto bancario per integrare a pieno titolo il sistema finanziario elvetico in quello globale.
Chi critica il ministro dice invece che senza il mura di riservatezza opposto dalle indagini fiscali straniere la Svizzera è destinata a perdere gran parte della sua attrattiva per gli investitori. Per la Confederazione sarebbe una catastrofe. Basta evocarla per frenare le trattative. Compresa quella con l’Italia.

Vittorio Malagutti – L’Espresso – 14 Novembre 2013

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