Chissà Che Sistema Di
Voto Vuole Il Pd
Si oscilla tra
Porcellum al quadrato e Mattarellum. I cui difetti sembrano miracolosamente
spariti. Invece il doppio turno alla francese è stato accantonato per effetto
dei consueti tatticismi.
Per fortuna il Porcellum al quadrato, il sistema elettorale
messo a punto da Pd, Sel e Scelta civica nella commissione Affari
costituzionali del Senato, è stato bocciato. Era una proposta indigeribile e
anche un po’ truffaldina. Indigeribile perché oltre a mantenere la distorsione
del premio – una concezione aberrante delle logiche di rappresentanza –
lasciava intatta sia le liste bloccate sia la differenza di attribuzione dei
seggi tra Camera e Senato. Truffaldina perché spacciava per “doppio turno” non
il sistema francese ma la ripetizione del voto tra le prime due coalizioni se
nessuna superava il 40 per cento dei voti. Ora si volta pagina. In questi
giorni sembra ritornato in voga il Mattarellum, il sistema misto (tre quarti
maggioritario, un quarto proporzionale) con cui abbiamo votato dal 1994 al
2001.
Ma Ci Siamo Dimenticati dei difetti? La complicazione dello
“scorporo” con conseguente nascita delle liste civetta, il mantenimento di una
logica proporzionale, l’àncora di salvataggio per i candidati eccellenti grazie
alla doppia presentazione (maggioritario e proporzionale). Si continua invece a
sorvolare con una leggerezza sospetta sulla ipotesi che ufficialmente dovrebbe
accomunare tutto il Pd: il maggioritario uninominale a doppio turno, come
quello adottato in Francia per l’elezione dei parlamentari (il “vero”doppio
turno). Sui suoi meriti molto è stato già detto e scritto. Per riprendere
l’appello in favore di tale sistema, promosso dal capostipite della scienza
politica italiana, Giovanni Sartori, e firmato da oltre cento scienziati
politici), il vero doppio turno presenta una serie di indiscutibili meriti,
cruciali per migliorare la rappresentanza politica e il rapporto
cittadini-istituzioni.
In breve: la legittimità degli eletti è alta perché essi
necessitano di percentuali elevate per vincere, anche superiori al 50 per cento
quando lo scontro si riduce solo a due contendenti nel secondo turno; la
frammentazione è contenuta perché per accedere al secondo turno bisogna
superare uno sbarramento che (seguendo l’esempio francese) dovrebbe essere
intorno al 15 per cento dei votanti – e allo stesso tempo nessuno è escluso in
partenza perché il candidato di un partito minore ma ben radicato
territorialmente e ben considerato può superare il primo turno e cercare poi il
sostegno dei partiti maggiori al secondo; l’elezione diretta di un candidato
rinforza il rapporto tra elettori ed eletti e allo stesso tempo evita le
degenerazioni insite in un sistema con preferenze; la necessità di assicurare
un lardo sostegno ai propri candidati spinge i partiti a creare alleanze che
prefigurano le colazioni governo.
Nessun Sistema E’
Perfetto, però dato
il contesto italiano questa ipotesi costituisce di gran lunga la soluzione
migliore. Ma come spesso accade nel nostro paese, le soluzioni limpide e chiare
non hanno buona fama nè buona sorte. Il Pd sembra seguire lo stesso percorso
intrapreso nelle trattative per l’elezione del presidente della Repubblica.
Incontri, accordi, scambi con gli altri partiti e soprattutto con l’ex Pdl per
arrivare a una qualche sintesi. Con questo atteggiamento, peraltro benemerito e
generoso, non fa che complicarsi la vita e perder tempo. A meno che questo non
sia il vero dine della ragnatela tessuta in questi mesi, il Pd deve ora
indicare la sua preferenza sulla quale obbligare gli altri a scegliere. In
questo compito non è certo aiutato da Matteo Renzi che si rifugia in una
formuletta, “il sindaco d’Italia”, che in sé non significa nulla. Infatti, se
si discute di un sistema elettorale per eleggere i parlamentari e non il
presidente del consiglio, allora il sindaco di Firenze deve chiarire che vuole
eleggere 630 sindaci d’Italia, tanti quanti sono i seggi della Camera (più i
315 al Senato) . Altrimenti parla d’altro, e cioè dell’elezione del premier sul
modello adottato in Israele negli anni Novanta e poi subito abbandonato per la
sua totale impraticabilità. Ma questo, appunto, è un altro discorso, che va al
di là della riforma elettorale. Alla fine, rimane che il Pd, pur disponendo
della maggioranza assoluta alla Camera, non ha la convinzione o il coraggio di
presentare una sua proposta. In questo modo sarà solo chi lo rappresenta a
essere accusato dell’inazione e della mancata riforma.
Piero Ignazi – L’Espresso – 28 Novembre 2013
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