C’è un po’ di Bergoglio
in quel Tolstoj
Per il grande scrittore
russo il senso della vita è Dio. Per il papa pure. Ma occorre anche sporcarsi
le mani nell’aldiquà
La casa editrice L’Epos di Palermo e la fondazione Amici di
Tolstoj hanno pubblicato poco tempo fa un libro di notevole interesse e l’hanno
intitolato “Perché vivo”. Il sottotitolo è “Riflessioni sullo scopo e il
significato dell’esistenza”.
Si tratta di saggi e diari scritti da Tolstoj in una fase
della sua vita quando l’ispirazione narrativa gli sembrava del tutto inaridita
mentre urgeva dentro di lui una vocazione fin lì sconosciuta a predicare il
bene e a educare quella che chiamava “la plebe”, i lavoratori, i poveri, gli
esclusi, i servi della gleba, quelli che Gogol avrebbe poi chiamato le anime
morte.
Aveva cinquant’anni l’autore di “Guerra e Pace” e della
“Karenina” e durò trent’anni questa sua predicazione scritta in brevi note
diffuse in tutta Europa e anche in Asia. Fino ai suoi 82 anni, quando fuggì
dalla sua casa e andò a morire nella casa di un ferroviere dove era arrivato
vagando senza meta nelle campagne russe.
“Perché vivo” contiene alcuni di questi saggi, credo i più
significativi. Ne parlo oggi perché la loro attualità è sconvolgente. Non so se
Papa Francesco li ha letti, ma quelle di Tolstoj sembrano parole sue quando si
confronta con la cultura moderna e dialoga con i suoi credenti.
Tolstoj scrisse questi saggi tra il 1880 e il 1910;
l’argentino Jorge Bergoglio divenne Capo della Chiesa cattolica nel 2013 e si esprime con pensieri e parole
modernissime ma scritte un secolo prima da un russo.
Non è sorprendente?
Il tema di fondo lo troviamo nei titoli di alcuni dei saggi
tolstojani, il primo dei quali è intitolato “Di che cosa soprattutto ha bisogno
la gente?” E poi: “Come e perché vivere”. E ancora: “Perché io vivo?”. E segue:
“Credete in voi stessi. Appello ai giovani”. E infine: “Il senso della vita”.
Tolstoj coglie una contraddizione di fondo insita negli
individui della nostra specie: siamo animali animati da istinti animali, ma
siamo al tempo stesso esseri pensanti e consapevoli di invecchiare e di morire.
Questa è la contraddizione, riguarda l’istinto di sopravvivenza e la coscienza
della nostra mortalità.
Questo Problema mi è molto familiare e a esso ho
dedicato sei libri, l’ultimo dei quali uscito pochi giorni fa si pone il
medesimo problema. La conclusione cui arriva Tolstoj è la fede in Dio che a me
sembra invece un’ipotesi puramente consolatoria. Ma per far meglio conoscere ai
lettori la contraddizione tra chi ipotizza un aldilà e chi cerca il senso
soltanto nell’aldiquà, alcune citazioni del libro tolstojano saranno assai
utili.
“L’uomo che ripone la sua vita nei godimenti non sarà mai
tranquillo perché tornerà sempre nella sua mente la morte e morirà disperato.
Proprio per questo si può vivere soltanto per compiere la volontà di Dio”.
“Dio è quella forza
che mi ha fatto così come sono. Se fossi un animale vivrei come vivono
gli animali, senza sapere di vivere e senza chiedermi che cosa mi succederà
dopo. Ma poiché so che morirò, io non posso non sapere che nella mia natura
animalesca è stato posto qualcosa di non animalesco. Perciò io sono un
miscuglio di animalità e spiritualità e mi ha inviato in questo mondo proprio
quell’Essere che io chiamo Dio”.
“Ogni uomo, appena si desta in lui la ragione, ha la
consapevolezza di racchiudere in sé un
essere separato: l’uomo considera se stesso separato da tutti gli altri e vuole
il bene solo per sé; ma quando si rende conto dell’ineluttabilità della morte
considererà la sua separazione priva di senso. La vita d’un essere separato non
è vita ma soltanto apparenza di vita. La vita si manifesta solo quando ci si
rende conto di quell’essere nuovo che è nato dall’animale ed è dotato di
ragione. Se manca questa conclusione si commette lo stesso errore di una
farfalla che, uscita dalla crisalide, continuasse a ritenere di essere quella
crisalide dalla quale è ormai venuta fuori”.
E Infine: “Per salvarsi, non essere infelici,
non soffrire, bisogna dimenticarsi di se stessi e l’unico modo di dimenticarsi
di sé è amare. L’attività più importante della vita, anzi la sola importante,
rimasta segreta agli uomini, consiste nel far accrescere l’amore in se stessi e
negli altri. Possiamo guardare nella vita futura da due diverse finestre. L’una
è in basso a livello animale e attraverso di essa non vediamo che uno spazio
buio e questo ci fa paura; l’altra finestra è posta più in alto, a livello
della vita spirituale e attraverso di essa scorgiamo la luce e la gioia. Che
Dio esista o no, che esista o no la vita futura, in tutti i casi la cosa
migliore che si possa fare è far aumentare in me l’amore perché l’accrescimento
dell’amore accresce senza indugi la felicità. Per trovare la felicità devi
amare la felicità degli altri. Il solo modo di servire se stessi è quello di
servire gli altri e tu riceverai in cambio la più grande felicità del mondo: il
loro amore”.
Queste cose pensava e scriveva Tolstoj. Il mio commento è:ha
snidato Narciso che, amando gli altri, ottiene che gli altri amino lui, cioè
te. Del resto, che cos’altro predica Bergoglio se non ricordarci il motto
evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”? Purtroppo accade sempre più di
rado. Questo miracolo Dio non l’ha fatto forse perché i miracoli non esistono
al di fuori di noi. Solo ciascuno di noi può farlo nell’aldiquà illuminando
quel buio della finestra bassa di cui parla Nev Nikolaevic quando cerca il
senso della vita.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 28 Novembre 2013
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