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mercoledì 20 novembre 2013

Lo Sapevate Che: L'Antitaliano...


Se Scompaiono I Fatti E le Notizie

Non c’è più la responsabilità della parola. Vincono il gossip volgare e i falsi retroscena che non verificano nulla. Ne risulta un racconto esposto agli inquinatori di pozzi di professione.
Che genera nei lettori la perdita di punti fermi

Scrivere significa assumersi responsabilità. Scrivere è responsabilità. Ormai questo lo sperimenta anche chi non scrive per professione. Prima di scrivere un post su Facebook, ad esempio, che si tratti di un commento a un avvenimento politico o più banalmente all’ultima partita di calcio, si riflette quel tanto che basta per comprendere se il nostro commento sia davvero necessario. Necessario per chi lo leggerà e per noi stessi. Per la nostra storia sul Web, per quello che in quei luoghi virtuali sempre più tangibili rimane di noi. Per quello che, giorno dopo giorno, post dopo post, finisce per costruire una identità parallela. Ho fatto questa premessa perché talvolta chi scrive per professione sembra dimenticare quanto fondamentale sia comprendere perché si sta scrivendo. E a chi è rivolta la scrittura.
Scrivere Per Me ha significato soprattutto misurarsi, condividere, conoscere. Strumento di mediazione tra me e il circostante. Se scrivo di Primo Levi o di Anna Politkovskaya, se parlo di Salamov o di “No, i giorni dell’arcobaleno” in televisione, lo faccio perché questi argomenti sono me. Hanno contribuito e contribuiscono ad alimentare la mia vita e mi aiutano a comprendere ciò che vivo, che vedo, ciò che mi piace e ciò che mi disgusta.
In questo non credo di essere diverso dalla maggior parte delle persone. Quel che senza dubbio mi differenzia, è il privilegio di poter scrivere anche fuori dall’infinito spazio virtuale. Ed è proprio lo spazio che occupano e la diffusione che hanno a rendere pericolose, rischiose, le parole, anche se sono semplicemente recensioni di libri. Rischiose nella misura in cui verranno lette, commentate, riportate. Amate, odiate, condivise, criticate. Le mie parole, le parole di chiunque scriva oggi, devono fare i conti con un tempo in cui la scrittura – giornalistica e letteraria – godeva di una credibilità per noi invidiabile. ! “canali di approvvigionamento” erano eigui, e quella esiguità rendeva tutto più autorevole. Negli spazi assai limitati di quotidiani e riviste, trovava posto quello che veniva percepito come necessario e pressoché immutabile. Oggi, invece, l’informazione è continuamente aggiornata e tutto perde il carattere dell’essenzialità, tutto può essere sostituito, contraddetto, smentito dopo poco. La verifica delle fonti può essere omessa, perché in caso di errore la notizia viene immediatamente modificata, cancellata o ribaltata. Accade così che tra notizia e gossip delle indiscrezioni, del sentito dire, progressivamente finisce per non esserci più differenza. Vincono i retroscena – che spesso non sono altro che la feccia estorsiva del Web-che non devono verificare nulla, ma generare confusione. Il risultato di questo racconto della realtà esposto agli inquinatori di pozzi di professione, genera in chi la legge, la totale perdita di punti fermi. E su chi scrive? Se ciò che scriviamo sappiamo perdersi nel mare magnum degli scritti sfornati senza soluzione di continuità? Di certo ci convinceremo che le nostre parole non sono necessarie e che possiamo tutto sommato sollevarci da ogni responsabilità.
Si inizia, così, a non scrivere più per un pubblico di lettori eterogeneo e si spera il più vasto possibile, ma per parlare a una sola persona. Il giornalista che ci ha criticato la settimana scorsa, il giudice che ci ha condannato l’altro ieri. Ma queste sono pessime giustificazioni per metter mano alla penna o – più verosimilmente – alla tastiera. E’ importante che i nostri scritti non rispondano a necessità di vendetta, di rivalsa personale, che non siano grancassa di acidità, punture, ghigni e sfottò. Incapaci di argomentare o di ragionare si preferisce vomitare, sfottere, motteggiare, guardare le unghie sporche e tralasciare il corpo, sentire un accento e ignorare il discorso, far sentire il lettore parte di una società dove tutti sono in fondo schifosi narcisi. Chi ha ridotto a questo la sua scrittura, sottilmente si compiace di schizzare sterco sul mondo ma ignora che di quello sterco, inevitabilmente, finirà per far parte.
La Responsabilità Della Parola, mai come in questa fase, sembra essere svanita perché tutto può essere modificato, persino graficamente, un attimo dopo essere divenuto di dominio pubblico. La sensazione è che anche le responsabilità – come le parole – siano perennemente modificabili, a seconda di chi governa, di chi decide, di chi comanda.
Roberto Saviano – 21 Novembre 2013


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