Ai Privati Piace Il
Monopolio
Agli imprenditori
italiani le privatizzazioni degli anni Novanta sono servite per spostarsi verso
settori più protetti dalla concorrenza:
E’ iniziato così il
declino della grande industria nazionale. Che non è ancora finito.
L’Italia sta perdendo le sue grandi imprese pubbliche e
private: ultimi casi di Telecom Italia e di Alitalia, ma prima Montedison,
Olivetti, Omnitel: E la ricollocazione internazionale della Fiat. Domani,
probabilmente, toccherà alla Pirelli uscire dal nostro Paese. Questo fenomeno è iniziato con le
privatizzazioni: conviene riflettere.
L’Italia ha avviato le cessioni ai privati negli anni
Novanta. Prima della globalizzazione che ha abbattuto le frontiere e ha aperto
nuovi mercati facendo anche cadere le barriere ai monopoli pubblici in molti
paesi. E prima della creazione dell’euro, centrata sull’equilibrio delle
finanze pubbliche e sul completamento del mercato interno, con le sue regole
che escludevano aiuti di Stato. Cadeva così la possibilità per gli Stati di
sostenere le proprie imprese pubbliche con capitali, contributi e barriere
normative, mentre cresceva, per gli Stati indebitati, l’esigenza di vendere le
proprietà per far cassa. Intanto la globalizzazione rendeva più difficili i mercati
giù aperti, posta l’emersione di nuovi concorrenti e la diffusione del
progresso tecnico.
L’Insieme Di Questi
Fattori ha concorso
a spingere i grandi imprenditori italiani a spostare il loro interesse dalle
attività in concorrenza alle attività in via di liberalizzazione e
privatizzazione, che ancora godevano di qualche protezione residua. E’ così che
la Fiat si è spostata verso i mercati dell’energia, acquisendo la Montedison
assieme ai francesi di Edf. All’indomani della liberalizzazione, del mercato energetico, la Fiat è uscita, la
Edison (il business energia della Montedison) è rimasta a Edf, mentre la stessa
Fiat incontrava grosse difficoltà sul suo mercato tradizionale dei mezzi di
trasporto. La Olivetti ebbe l’intelligenza di passare per tempo al mondo delle
telecomunicazioni, creando Omnitel all’inizio degli anni Novanta. Poi Omnitel è
stata in parte ceduta a Mannesmann, che l’acquisì del tutto quando Colaninno
fece il primo takeover di Telecom Italia. Alla fine Omnitel confluirà in
Vodafone. La storia è poi proseguita con l’acquisizione del controllo di
Telecom Italia da parte di Pirelli che l’ha ceduta, dopo varie traversie a un
gruppo di investitori fra cui c’era Telefonica, l’azienda spagnola che oggi si
appresta a estendere il suo controllo su Telecom Italia. Intanto, anche Pirelli
ha dovuto subire un cambio di azionariato e oggi è partecipata in misura
rilevante da un fondo di private equità. Diverso è il percorso di Benetton che
dal settore abbigliamento si è esteso a quello delle autostrade, degli
aeroporti e dei punti di ristora<ione nelle infrastrutture di trasporto
(autogrill). Diverso, perché in questo caso non è stato abbandonato il settore di provenienza che resta saldo
nelle mani dello stesso azionista e le attività acquisite sono state mantenute
e sviluppate positivamente. Simile, perché l’estensione dell’attività è
avvenuta nei settori provenienti dal controllo statale e comunque regolati.
Infine l’ultimo capitolo è quello di Alitalia, dove la pressione del governo
Berlusconi impose nel 2008 l’ingresso di alcuni azionisti privati italiani a
fianco di Air France, con il risultato disastroso che è sotto gli occhi di
tutti.
L’Italia Ha Così Visto ridimensionarsi le attività in
concorrenza controllate dai grandi imprenditori italiani, mentre essi si
spostavano verso i settori regolati che si aprivano ai privati. Ma poiché in
molti casi non sono stati investiti capitali sufficienti e/o sono mancate le strategie, molte di queste imprese sono state
poi cedute ad azionisti di altri paesi, oppure come nel caso di Alitalia, sono
sulla via del fallimento. Anche in altri paesi europei si è assistito a questo
processo di spostamento verso i settori ancora protetti, ciò che è naturale
data la maggiore redditività garantita finché la protezione esiste. Ma altrove
sono anche cresciuti dei campioni internazionali che poi sono venuti a fare
acquisti nel nostro Paese. Questo non significa che siamo alle prese con un
processo di deindustrializzazione. L’Italia resta un forte Paese industriale
grazie alle sue aziende medie e piccole, mentre conserva alcune posizioni di
rilievo nel campo finanziario (con Generali) e ha saputo avviare grandi imprese
nel settore trasporti (Ferrovie, Autostrade e Autogrill). Peccato che non siamo
cresciuti nei grandi servizi collettivi che sono parte rilevante dello sviluppo
del mondo moderno e fattori di spinta nelle nuove tecnologie.
Innocenzo Cipolletta – L’espresso – 21 Novembre 2013
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