A Chi Fa Comodo
L’Immigrato Clandestino
E’ doveroso dare tutti
i diritti ai migranti: Ma per la politica è più facile criminalizzare loro che
perseguire i datori di lavoro
La contraddizione è evidente: prima celebriamo una fantastica
ragazza quindicenne. Malala Yousafzaisia, sopravissuta a una pallottola in
pieno volto sparata dai talebani che volevano impedirle di andare a scuola, poi
però arrestiamo la quindicenne Leonarda Dibrani facendola scendere dal bus
della gita scolastica davanti ai suoi compagni per deportarla nel Kosovo. Il
suo delitto? Essere venuta in Francia – il mio paese, il paese della fraternità
– con i genitori, migranti e richiedenti asilo, uno status che è stato loro negato.
A questo punto gli studenti, indignati organizzano una protesta, alla quale
segue una decisione del presidente della Repubblica che rivela con la maggior
chiarezza la nostra nevrosi collettiva: la ragazza può rientrare in Francia, ma
senza genitori.
Un Giorno Ergiamo
Barriere insormontabili
per tenere lontani gli africani disperati dall’Europa – fermando anche chi
cerca asilo politico – e quell’altro, dopo che centinaia di queste persone sono
affogate già in vista delle nostre coste, gli italiani dichiarano una giornata
di lutto. Ciò è accaduto solo poche settimane la visita del coraggioso papa
Francesco, arrivato a Lampedusa per testimoniare con quel viaggio la sua
solidarietà con gli oppressi del mondo. Nel frattempo, i nostri diplomatici
continuano nel loro sforzo per tenere gli africani lontano dalle nostre coste
stringendo oscuri patti con regimi che, al riparo dalle telecamere, possono
permettersi di usare metodi drastici. Più importante ancora è che di quei
metodi nessuno possa ritenerci responsabili.
Un giorno riconosciamo al Qatar l’enorme privilegio di
ospitare la Coppa del Mondo di calcio,, l’evento più importante del nostro
sport più popolare che aggrega bianchi e neri, poveri e ricchi. Il giorno dopo
scopriamo che gli stadi sono costruiti da schiavi del nostro tempo, immigrati
dall’India e dal Nepal che non hanno diritti – nemmeno quello di licenziarsi
senza il consenso del datore di lavoro né quello di sollecitare il pagamento di
quanto loro dovuto, e che vivono in dormitori e con servizi igienici indecenti.
Accecati dal denaro che genera il petrolio, scegliamo di voltare lo sguardo
dalle montagne di prove che ci dicono che nei paesi del Golfo lo sfruttamento
dei lavoratori è comune quanto il vento del deserto.
Questi diffusi comportamenti contraddittori, che piagano la
vita di milioni di persone, non sono eventi isolati, ma solo quelli che la
stampa ritiene di cogliere. E la contraddizione non è casuale, ma il sintomo di
un profondo e pericoloso disorientamento. Siamo confusi. Per far funzionare il
mondo nell’era della globalizzazione non si può fare a meno di un intenso
scambio di merci e servizi, di concorrere per aggiudicarsi gli investimenti
stranieri e di far lavorare mano d’opera straniera, inclusa quella a più buon
mercato proveniente dall’Africa o dal Centro America, o, visto dall’altro punto
di vista, di lavorare per gli stranieri.
Eppure, ci sentiamo ancora in debito di
lealtà verso vecchie tribù nelle quali la xenofobia – la paura atavica dello
straniero – e il razzismo sono profondamente radicati. Questi sentimenti sono
moneta comune nel nostro modo di ragionare. E peggio ancora, in maniera più
perniciosa e camuffati appena ispirano le nostre politiche. Siamo approdati a
società nelle quali lo sfruttamento degli immigrati e l’arbitrio nel modo di
trattarli, come nel caso di Leonarda Dibrani, sono diventati routine,
nonostante un quadro generale composto da Costituzioni magnifiche, traboccanti
di diritti umani e dei più nobili ideali. Nelle nostre società sempre più
globalizzate, questa concomitanza degli opposti genera cinismo, ipocrisia e
illegalità, oltre a corrodere l’autorità morale delle nostre istituzioni.
Forse E’Arrivato il momento di dare ascolto alla
protesta degli studenti francesi e di allineare almeno un po’ di più le nostre
politiche ai nostri ideali. Riconosciamo che gli immigrati non sono dei
criminali: vengono da noi per lavorare e ne abbiamo bisogno. Legalizziamo
quelli che sono già qui e approntiamo dei percorsi legali per quelli che non
sono ancora arrivati e di cui abbiamo bisogno. Insistiamo tuttavia anche sui loro
diritti: ciò che vogliamo è che siano trattati come gli altri lavoratori e che
lavorino per lo stessi minimo salariale dignitoso. Imponiamo multe pesanti a
chi assume migranti senza documenti e a chi non li tratta come tutte le altre
persone.
No, l’adozione delle misure che suggerisco non genererà nuovi
flussi di immigrazione. I contadini delle campagne marocchine non si
precipiteranno ad affittare case a Parigi se non saranno certi di trovare anche
un lavoro ben pagato. E no, i migranti non sottrarranno il lavoro ai nati in
Europa. Sono centinaia gli studi che hanno esaminato questi temi e che in
prevalenza hanno concluso che l’immigrazione crea opportunità generando una
concorrenza con i nativi che è appena marginale.
Perché dunque, se la soluzione è così semplice e chiara, non
sono stati ancora compiuti questi passi? La risposta è che politicamente è
molto più semplice criminalizzare gli immigrati illegali che perseguire
penalmente i loro datori di lavoro. Inoltre, la criminalizzazione dei
lavoratori stranieri illegali ne abbassa il costo, perché la minaccia della
deportazione obbliga queste persone a subire senza protestare le discriminazioni
lavorative e salariali.
Per capire come siamo arrivati a queste terribili politiche
dell’immigrazione chiedetevi: chi ha più potere? Lo sceicco o il manovale
nepalese? Il proprietario di un ristorante a Parigi o il fattorino tunisino?
Voi o la vostra colf del Bangladesh?
Traduzione di Guiomar Parada
Uri Dadush – L’Espresso – 7 Novembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento