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venerdì 8 novembre 2013

Lo Sapevate Che: Senza Frontiere...


A Chi Fa Comodo
L’Immigrato Clandestino

E’ doveroso dare tutti i diritti ai migranti: Ma per la politica è più facile criminalizzare loro che perseguire i datori di lavoro

La contraddizione è evidente: prima celebriamo una fantastica ragazza quindicenne. Malala Yousafzaisia, sopravissuta a una pallottola in pieno volto sparata dai talebani che volevano impedirle di andare a scuola, poi però arrestiamo la quindicenne Leonarda Dibrani facendola scendere dal bus della gita scolastica davanti ai suoi compagni per deportarla nel Kosovo. Il suo delitto? Essere venuta in Francia – il mio paese, il paese della fraternità – con i genitori, migranti e richiedenti asilo, uno status che è stato loro negato. A questo punto gli studenti, indignati organizzano una protesta, alla quale segue una decisione del presidente della Repubblica che rivela con la maggior chiarezza la nostra nevrosi collettiva: la ragazza può rientrare in Francia, ma senza genitori.
Un Giorno Ergiamo Barriere insormontabili per tenere lontani gli africani disperati dall’Europa – fermando anche chi cerca asilo politico – e quell’altro, dopo che centinaia di queste persone sono affogate già in vista delle nostre coste, gli italiani dichiarano una giornata di lutto. Ciò è accaduto solo poche settimane la visita del coraggioso papa Francesco, arrivato a Lampedusa per testimoniare con quel viaggio la sua solidarietà con gli oppressi del mondo. Nel frattempo, i nostri diplomatici continuano nel loro sforzo per tenere gli africani lontano dalle nostre coste stringendo oscuri patti con regimi che, al riparo dalle telecamere, possono permettersi di usare metodi drastici. Più importante ancora è che di quei metodi nessuno possa ritenerci responsabili.
Un giorno riconosciamo al Qatar l’enorme privilegio di ospitare la Coppa del Mondo di calcio,, l’evento più importante del nostro sport più popolare che aggrega bianchi e neri, poveri e ricchi. Il giorno dopo scopriamo che gli stadi sono costruiti da schiavi del nostro tempo, immigrati dall’India e dal Nepal che non hanno diritti – nemmeno quello di licenziarsi senza il consenso del datore di lavoro né quello di sollecitare il pagamento di quanto loro dovuto, e che vivono in dormitori e con servizi igienici indecenti. Accecati dal denaro che genera il petrolio, scegliamo di voltare lo sguardo dalle montagne di prove che ci dicono che nei paesi del Golfo lo sfruttamento dei lavoratori è comune quanto il vento del deserto.
Questi diffusi comportamenti contraddittori, che piagano la vita di milioni di persone, non sono eventi isolati, ma solo quelli che la stampa ritiene di cogliere. E la contraddizione non è casuale, ma il sintomo di un profondo e pericoloso disorientamento. Siamo confusi. Per far funzionare il mondo nell’era della globalizzazione non si può fare a meno di un intenso scambio di merci e servizi, di concorrere per aggiudicarsi gli investimenti stranieri e di far lavorare mano d’opera straniera, inclusa quella a più buon mercato proveniente dall’Africa o dal Centro America, o, visto dall’altro punto di vista, di lavorare per gli stranieri.
Eppure, ci sentiamo ancora in debito di lealtà verso vecchie tribù nelle quali la xenofobia – la paura atavica dello straniero – e il razzismo sono profondamente radicati. Questi sentimenti sono moneta comune nel nostro modo di ragionare. E peggio ancora, in maniera più perniciosa e camuffati appena ispirano le nostre politiche. Siamo approdati a società nelle quali lo sfruttamento degli immigrati e l’arbitrio nel modo di trattarli, come nel caso di Leonarda Dibrani, sono diventati routine, nonostante un quadro generale composto da Costituzioni magnifiche, traboccanti di diritti umani e dei più nobili ideali. Nelle nostre società sempre più globalizzate, questa concomitanza degli opposti genera cinismo, ipocrisia e illegalità, oltre a corrodere l’autorità morale delle nostre istituzioni.
Forse E’Arrivato il momento di dare ascolto alla protesta degli studenti francesi e di allineare almeno un po’ di più le nostre politiche ai nostri ideali. Riconosciamo che gli immigrati non sono dei criminali: vengono da noi per lavorare e ne abbiamo bisogno. Legalizziamo quelli che sono già qui e approntiamo dei percorsi legali per quelli che non sono ancora arrivati e di cui abbiamo bisogno. Insistiamo tuttavia anche sui loro diritti: ciò che vogliamo è che siano trattati come gli altri lavoratori e che lavorino per lo stessi minimo salariale dignitoso. Imponiamo multe pesanti a chi assume migranti senza documenti e a chi non li tratta come tutte le altre persone.
No, l’adozione delle misure che suggerisco non genererà nuovi flussi di immigrazione. I contadini delle campagne marocchine non si precipiteranno ad affittare case a Parigi se non saranno certi di trovare anche un lavoro ben pagato. E no, i migranti non sottrarranno il lavoro ai nati in Europa. Sono centinaia gli studi che hanno esaminato questi temi e che in prevalenza hanno concluso che l’immigrazione crea opportunità generando una concorrenza con i nativi che è appena marginale.
Perché dunque, se la soluzione è così semplice e chiara, non sono stati ancora compiuti questi passi? La risposta è che politicamente è molto più semplice criminalizzare gli immigrati illegali che perseguire penalmente i loro datori di lavoro. Inoltre, la criminalizzazione dei lavoratori stranieri illegali ne abbassa il costo, perché la minaccia della deportazione obbliga queste persone a subire senza protestare le discriminazioni lavorative e salariali.
Per capire come siamo arrivati a queste terribili politiche dell’immigrazione chiedetevi: chi ha più potere? Lo sceicco o il manovale nepalese? Il proprietario di un ristorante a Parigi o il fattorino tunisino? Voi o la vostra colf del Bangladesh?
Traduzione di Guiomar Parada

Uri Dadush – L’Espresso – 7 Novembre 2013 

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