In Fuga Da Questo Paese
Che Non Sa Rispettare
Il Dolore Di Due
Genitori
Carissimo Serra,
perdere il proprio figlio unigenito, bello e buono, a 35
Anni, in piena e
promettente carriera, alla vigilia delle nozze e al termine
Di una malattia breve e
oscena, è un’esperienza che ti segna il cuore
E la mente per il resto della vita. Elaborare questo lutto è
difficilissimo. Io sono stato aiutato dal mio lavoro, mia moglie neppure
quello, ma, passati ormai cinque anni, aveva trovato un suo equilibrio. A
turbarlo è giunta, inesorabile, una cartella dell’Agenzia delle entrate per la
mancata denuncia di successione.
Ci eravamo effettivamente dimenticati che nostro figlio era
il nudo proprietario di una casetta di montagna acquistata per lui quando aveva
poco più di vent’anni. Anche uno studente del primo anno di Psicologia potrebbe
spiegare che si è trattato di un meccanismo di rimozione. Sfido chiunque ad
accettare di essere l’erede legittimo del proprio figlio.
Un Paese che offre uno sconto dell’ottanta per cento ai
gestori delle macchinette del videopoker, venditori di disperazione e di morte
e, contemporaneamente, trova il coraggio di chieder soldi, subito e senza
sconto, a chi sta ancora piangendo un figlio, è un Paese fatto di una materia
ignobile ed innominabile, nel quale non val la pena rimanere. Infatti ci apprestiamo a raggiungere mia
sorella ed i suoi figli e nipoti in Olanda, per vivere in un Paese più giusto e
più civile gli anni che ci restano.
Antonio e Maria
Che posso dirvi? Che
posso aggiungere? La burocrazia non è cattiva. E’ stupida. Stupida rispetto
alla materia umana, che non conosce e sulla quale imprime spesso un marchio
ottuso e crudele, come nel vostro caso. E neppure un “mi dispiace” che ti
arrivi in fondo al buco nero dove sei finito…
Capisco la vostra “fuga
in Olanda”.
Il paragone che fate è
di cocente, odiosa ingiustizia: una piaga sociale devastante (l’azzardo
capillare, nei bar, a ogni angolo di strada) viene sopportata e in buona misura
assistita da poteri pubblici ciechi e sordi, o complici di chi specula sulla
rovina umana; mentre contro di voi, e contro il vostro grande e innocente
dolore, arriva un colpo d’ascia del quale non riuscite a darvi ragione.
Vi abbraccio entrambi,
posso solo condividere la vostra impotenza e, per fortuna, anche lo spirito
citale che vi conduce lontano, a sperare in una seconda vita. Scriveteci da
lassù, se volete, se potete, per raccontare a me e ai lettori se ci manca
almeno qualcosa, di questo nostro inutilmente amato Paese.
(…)
Michele Serra – Il Venerdì di Repubblica – 1 Novembre 2013
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