Amate I Libri:
Chi Non Legge Non Sa
Niente
Caronda, mitico
legislatore di Catania del VI secolo a.C., disse: “La libertà viene da un
libro”. Per questo il calo dei lettori getta un’ombra pericolosa sul nostro
futuro
La differenza tra ricchi e poveri nella nostra società, in
qualche modo si rispecchia anche nelle librerie. Così il libro della piccola e
quindi povera casa editrice, anche se più importante di tanti libri di grosse
case editrici, è destinato a nascere nell’ombra e a morire nell’ombra.
Il direttore della libreria Borri Book di Roma Termini, forse
impietosito per il destino dei libri poveri meritevoli, ha avuto il coraggio di
mettere in vetrina, accanto ai volumi su Papa Francesco, un libro religioso
“povero” ma controcorrente che non cito, giacchè tv e carta stampata di norma
seguono la regola dei librai. Dice cose nuove, forse discutibilissime ma nuove,
originali. Dei primi si stanno vendendo milioni di copie, del secondo si
venderà qualche copia in più nella libreria del direttore pietoso e coraggioso,
ma il suo destino è segnato.
Elisa Merlo
Perché non ha citato il
libro della piccola casa editrice che stava accanto ai libri di successo su
Papa Francesco delle grandi case editrici? Che tipo di censura le è scattata,
per non indicare il nome dell’autore e il titolo? Per quel che vale questa
pagina, una citazione avrebbe potuto aiutare la segnalazione di quel libro, e
la vendita di qualche copia. Se denunciamo le torture di un sistema e poi non
aiutiamo a correggerle, ci limitiamo a sfogare i nostri sentimenti senza che
nulla cambi.
Da parte mia non ho il
minimo dubbio che le piccole case editrici spesso pubblicano i libri più
interessanti e significativi di quelle delle grandi case editrici. E questo
perché le grandi case editrici, e di conseguenza anche i librai, per stare in
piedi devono seguire le leggi del mercato dove ciò che conta è la notorietà
dell’autore, di solito veicolato dalla televisione, o il titolo ammiccante
capace di sollecitare i bassifondi della nostra anima, più di quanto non conti
l’originalità del contenuto o la forza delle idee.
Oggi il mercato è
vissuto da tutti, e in modo del tutto acritico, come se fosse una legge di
natura. Ed è questa la ragione per cui Marx ebbe a scrivere: “Per il
capitalismo, attento solo al denaro, un mercato di libri non differisce da un
mercato di bestiame”. Se non per il fatto – aggiungo io – che il libro,
rispetto al bestiame, è una merce più povera. Ma chi, come lei, al valore mercantile
preferisce il valore delle idee, giustamente ritiene che il mercato dei libri
conservi una sua peculiarità, della quale i librai dovrebbero tener conto,
evitando di assimilarsi ai commessi del supermercato e di perdere così di vista
ciò che essi veicolano con la loro “merce”.
Cose facili e nobili a
dirsi, ma difficili da sostenersi, in un’economia di mercato assetata più di
novità che di nuove idee.
Questa è la ragione per
cui oggi, nella nostra società che ha velocizzato il tempo, la vita di un libro,
anche di successo, non oltrepassa i tre mesi, dopo di che il libro incomincia a
pesare sugli affitti dei magazzini che accumulano l’invenduto in attesa del
macero. E al macero, insieme ai libri, se ne vanno anche le idee, che oggi non
sembra siano le cose più ricercate, se è vero che solo nell’anno appena
trascorso il mercato dei libri ha registrato un calo del 30%.
In una situazione del
genere che cosa possiamo obbiettare alle case editrici e di conseguenza alle
librerie che riempiono le loro vetrine con una serie di copie tutte uguali
dell’ultimo best-seller (espressione che serve in genere a segnalare quali sono
i peggiori libri in circolazione), se il problema è di stare sul mercato, fuori
dal quale non si diffondono neanche le idee?
Cos’ la cultura, già
collassata nella scuola, collassa anche nell’editoria e, per colpa del degrado
progressivo della nostra scuola che non ha incuriosito né invogliato i ragazzi
a leggere, oggi sono considerati “lettori forti” quelli che leggono almeno
quattro libri all’anno. Ma così la cultura degrada, e il suo degrado determina
due conseguenze pericolose: la prima è che un popolo incolto, e per giunta con
un linguaggio afasico e stentato a cui si aggiunge un analfabetismo di ritorno,
con qualche maggiore difficoltà può uscire dalla crisi che ci attanaglia. La
seconda è che, siccome “guardare” è più facile che “leggere”, si consegna la
cultura per intero alla televisione e ai personaggi che vi compaiono, capaci di
suggestionare e determinare le scelte non solo politiche, ma anche gli stili di
vita appresi per imitazione, senza che un minimo di vaglio critico ci trattenga
dal rinunciare a essere noi stessi con le nostre idee.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 2 Novembre 2013
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