Cosa Vengono A
Ricordarci I Disperati Del Mare
Ci rammentano che
abbiamo smarrito i principi
fondanti della nostra
stessa società
Continueranno ad arrivare.
Le torture, le sevizie, le frustate non li fermano.
Il deserto, le montagne, la sete e la fame non li spaventano.
E nemmeno il mare: anche se sanno di poter rimanere sul fondo
“per sempre” sia meglio che “mai”.
Le leggi e i decreti scritti contro di loro non tarpano le
ali dei loro sogni.
I ricatti, gli sfruttamenti, i respingimenti non smorzano il
loro disperato coraggio.
E nemmeno l’odio: se lo prendono addosso senza lamentarsi,
con la non violenza dell’indifeso.
Allora dobbiamo andare a prenderli con le nostre navi
militari; dobbiamo proteggere il loro viaggio e la loro pace; dobbiamo
sottrarli alle carestie, ai conflitti, ai soprusi. Non abbia,o tanto tempo e le
nostre lacrime e le nostre guerre, dopo, non serviranno a niente. E’ un dovere
di umanità, il nostro, e farà bene prima a noi che a loro. Che tanto
continueranno ad arrivare e a sperare.
Paolo Izzo
Se mi dove chiedere che fare per evitare le tragedie a cui
vanno incontro i disperati della terra che giungono da noi, le confesso che non
saprei rispondere. Perché da un lato è evidente che non possiamo accogliere
quanti nei loro Paesi non hanno speranze di vita, e tanto meno di futuro. E il
loro numero è impressionante. Dall’altro non possiamo assistere a questa
continua strage di vite umane con indifferenza e senza un minimo di senso di
colpa. Perché siamo stati noi occidentali, prima col colonialismo territoriale
e oggi col colonialismo economico, coadiuvato dalla fornitura delle armi e
quanti nei paesi del terzo e del quarto monto si contendono il potere, a
sottrarre alle popolazioni le condizioni minime di vita.
Parlo di “colpa” nella stessa accezione in cui la parola fu
impiegata da Karl Jaspers in un corso in un corso di lezioni all’Università di
Heidelberg nel 1946, che oggi possiamo leggere in versione italiana: La questione della colpa (Raffaello
Cortina editore). In quelle lezioni Jaspers denunciava una “colpa giuridica”,
connessa agli eccidi nazisti, di competenza dei tribunali, una “colpa politica”
in quanto tedesco, perché Hitler è stato eletto e la democrazia ci rende responsabili
e quindi, negli errori, colpevoli; una “colpa morale” perché sapevamo quel che
stava accadendo e abbiamo finto di non sapere; ma soprattutto una “colpa
metafisica”, che consiste nel fatto che, dopo le cose che sono accadute, noi
tedeschi siamo ancora vivi. Questa, per noi, è una colpa incancellabile”.
Se applichiamo questo ragionamento a noi occidentali,
certamente non siamo colpevoli di essere nati in Occidente, ma se è vero, come
riferisce il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, che noi
occidentali, pur essendo il 17% della popolazione mondiale, per mantenere il
nostro tenore di vita utilizziamo l’80%
delle risorse della terra, nessuno ci assolve dalla “colpa metafisica” che ci
vede vivi e vegeti a spese dei disperati della terra. I quali, come ci
ricordava Eugenio Scalfari nel suo editoriale su Repubblica di domenica 13 ottobre, giungono da noi, “non come in
Europa, in America del Nord, del Sud, in Australia per circa un secolo
giungevano gli emigranti italiani, perché per affrontare il rischio della
morte, la povertà e la mancanza di lavoro non bastano, ci vuole qualche cosa di
peggio: ci vuole la schiavitù, la ferocia sui deboli, le torture, la morte”.
Il coraggio che li spinge ad affrontare una morte possibile è
pari alla disperazione di chi vede davanti a se la prospettiva di una morte certa.
E non sarà Mai un nostro dispositivo legislativo, come la Bossi-Fini intorno a
cui da noi si accendono discussioni, ad arrestare il loro tentativo per quanti
rischi siano ad esso connessi.
Con la globalizzazione, noi occidentali abbiamo esportato o
tentato di esportare i nostri valori che sono il mercato, la democrazia e i
diritti umani. In realtà quando il mercato configgeva con la democrazia e i
diritti umani non abbiamo avuto esitazione a salvaguardare il mercato a scapito
degli altri valori, col risultato che oggi le merci hanno una libertà di
circolazione che gli uomini si sognano.
E tutto questo in un Occidente, in parte cristiano e in parte
laico, che vien meno sia al principio cristiano che chiede di amare il prossimo
come se stessi, sia al principio laico enunciato con forza dalla cultura
illuministica che parlava di libertà, uguaglianza, e anche se un po’ trascurata
e rimossa, di fraternità. Ma allora in che cosa si riconosce l’Occidente se
vien meno ai suoi principi fondanti? I disperati della terra vengono a
ricordarcelo.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 26 Ottobre 2013
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